Il credente pensa che la capacità dâintuire lâinesprimibile grazie a simboli venga da Dio, come più in generale lâarte e quella stessa poesia che ricorre nella Bibbia. Nella Chiesa del I secolo, in cui il Nuovo Testamento si forma per la riflessione teologica sul fatto di Cristo Salvatore realmente risorto, predicato dagli apostoli e dai discepoli, sâuniscono, cioè sono simboli, il Gesú personaggio storico, coi suoi discorsi, i suoi segni, i fatti essenziali della sua vita, e il Cristo glorioso che la Chiesa post-pasquale interpreta e presenta alla luce della sua risurrezione; e ogni autore neotestamentario spiega tutta la storia dellâuomo alla luce di Gesú Cristo, come ad esempio Giovanni, o qualcuno della sua chiesa, nellâApocalisse17 , totalmente allegorica ma storica sotto lâallegoria; ogni autore evangelico inoltre, parla della storia della predicazione, passione, morte e risurrezione di Gesú, come Giovanni nellâironico, teologico quarto Vangelo, il più ricco di simboli fra i quattro ma relativamente al quale non si deve assolutamente opporre simbolo a storia, in nessun caso pensare ad astratte allegorie: non si tratta dâuna narrazione fantastica ed è imprescindibile lâaccettazione non solo dellâesistenza fisica di Gesú di Nazareth, ma pure del suo coincidere sostanzialmente con la figura evangelica che Giovanni descrive, pena la mancata comprensione del messaggio dellâautore, fra lâaltro stimato dagli studiosi per il suo realismo. In altre parole, la storia di Gesú è sì trasfigurata simbolicamente, ma essa è presente e reale e non si tratta affatto di solitaria teologia, né men che mai dâun Gesú solo apparente e non vero uomo come nella gnosi cristianeggiante18 : Giovanni non crea simboli ma li presenta alla luce della reale esistenza di Gesú trasfigurata dallâannuncio messianico che si trova nellâAntico Testamento, in cui gli stessi simboli già sono presenti; il simbolismo di Giovanni si capisce bene se lo si riferisce espressamente alla figura di Gesú Logos del Padre, Messia annunciato dallâAntica Scrittura, che assume la carne verso il 6 âa.C.â19 della storia umana:
âVeniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomoâ20 .
Avvalendosi della simbologia, Giovanni presenta la ragione della gloria di Dio fin dal prologo del suo Vangelo:
âE il Logos si fece carne [sarx]
e venne ad abitare [âpose la sua tenda,â] in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito del Padre,
pieno di grazia e di verità .
Giovanni (si tratta di Giovanni il Battista, non dell'evangelista) gli rende testimonianza
e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno lâha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelatoâ21 .
Si noti che la parola greca originale sarx, carne, ben esprime la debolezza della condizione umana assunta dal Logos-Figlio pienamente, in cui si manifesta la Gloria di Dio Padre â e nellâunicità di Dio, del Figlio e dello Spirito â, una gloria che riesce a comprendere solo chi abbia fede, talmente essa appare scandalosa. Scrive san Paolo: âMentre i Giudei chiedono miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani. Ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei sia Greci, predichiamo Cristo, potenza e sapienza di Dioâ22 . La gloria di Dio si fonda dunque proprio sul suo abbassarsi qui sulla terra e servire gli altri esseri umani fino addirittura alla croce, dove sale (secondo lâevangelista Giovanni così come un re sul suo trono di gloria) e muore per testimoniare la verità e la giustizia châegli prédica come uomo Gesú: al preciso scopo di divinizzare in sé gli altri uomini.23
Il linguaggio simbolico consente assai bene ai quattro evangelisti, e non solo a Giovanni, di passare dal Nazareno storico al Cristo presente e vivo nella Chiesa e, viceversa, di collegare la fede pasquale dei cristiani dâogni tempo a Gesú realmente vissuto, ucciso e risorto. Se gli autori dei Vangeli, peraltro tutti gran teologi contrariamente all'opinione superficiale di critici del Cristianesimo illuministi e positivisti, non stendono mere note storiche, tuttavia dalla storia non prescindono affatto. Secondo i credenti, si tratta di libri scritti alla luce dello Spirito divino nella fede della comunità cristiana, con lâintento, sul ricordo dei testimoni oculari, di provocare o rinforzare in chi ascolta la medesima fede, inducendolo sia alla morale cristiana, cioè alla viva sequela della concreto amore di Gesú di Nazareth per il prossimo durante la sua vita realmente avvenuta, sia, prima di tutto, allâaccoglienza di Cristo risorto e glorificato, coincidente con lâeterno Logos di Dio-Padre, la seconda Persona trinitaria. Troviamo dunque nei Vangeli, come in tutta la Bibbia, un doppio livello di significazione e sorge la necessità dâun doppio piano dâintelligenza da parte del lettore, intelligenza che non può non aver presente la storia, il che vale ovviamente non solo per la ricerca su Dio, ma anche quando lo sguardo s'indirizzi alle figure diaboliche della Bibbia.
Vediamo ora come sia nata l'idea veterotestamentaria di Satana l'accusatore o, per dirla altrimenti, di Satana pubblico ministero nel tribunale divino; e cominciamo col parlare dell'influenza persiana sulla religione giudaica.
Cenno allâinfluenza del Mazdeismo sul Giudaismo -Nascita nel popolo dâIsraele, sotto la soggezione persiana, dellâidea dâun ispettore e accusatore dei peccatori davanti al tribunale di Dio (satan)
Presso i Persiani, con Zoroastro, nasce o si definisce, verso il VI secolo a.C., unâidea religiosa non politeista e non semplicemente monoteista, ma nemmeno dualista anche se glâiddii nel Mazdeismo sono due, gemelli e di forma opposta, come allo specchio; i quali tuttavia originano dallo sdoppiamento d'un unico dio originario benigno, Ahura Mazda, scissosi in due, fin dai primordi, originando uno spirito divino del male, chiamato Angra Mainyu o Arimane, a fronte dello stesso dio del bene Ahura Mazda. Ciascuno dei due ha propria individuale volontà , ed essi sono in lotta sistematica. Essendo i due iddii riferibili a una comune matrice, si tratta d'una sorta di principio bifronte della Divinità , per cui si può parlare d'un credo monista anche se con la forte apparenza di un culto dualista.
Non si deve confondere col vero e proprio dualismo religioso che contempla un solo dio, non due dèi nemmeno qualora originati dalla scissione di un unico iddio originario come nel Mazdeismo. Da