La risurrezione di Cristo è da intendersi alla lettera, è unâopera concreta di Dio nella quale agiscono lâamore e la potenza del Padre, è lo storico risultato di unâazione diretta di Dio su Gesú e non sui suoi apostoli e discepoli: lâoperazione dei mitici sui Vangeli non era scientificamente corretta, a uno studioso che si occupasse seriamente di scritti di autori parimenti antichi, Tacito, Giuseppe Flavio, Cesareâ¦, non âverrebbe mai in mente di attribuire loro una siffatta libertà nel trasformare i referenti e nellâesprimere un significato nascosto diverso dal senso convenzionale delle parole usateâ6 . Per prima cosa, âsi dovrà lasciar parlare il testo in discussione in ciò che esso ha da dire di per se stessoâ7 . Ad esempio, nella lettera di Paolo ai Romani8 è scritto, con attendibile significato letterale: âMa se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato9 una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dioâ; e nella sua seconda lettera ai Corinzi troviamo: âAnimati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesú, risusciterà anche noi con Gesú e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di lode alla gloria di Dio. Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giornoâ.10
Tuttavia, anche se la Risurrezione, come lâincarnazione, la vita e la morte di Gesú, è da intendere alla lettera pena il crollo del Cristianesimo, noi troviamo utile parlare di Dio eterno e infinito e della sua azione, indirettamente, col ricorso alla simbologia, tramite analogie e metafore afferrabili perché basate sulla nostra finita esperienza filtrata dalla nostra limitata psiche. Però, attenzione! se è vero che il linguaggio biblico ricorre al simbolo, questâultimo è da intendersi secondo il suo etimo, non nel significato corrente più generico. Simbolo deriva dal verbo greco syn-bállein = mettere assieme11 e nellâoriginario significato si riferisce allâuso nellâantica Grecia di spezzare irregolarmente un oggetto in due parti così che il possessore dâuna di esse, vale a dire del simbolo, potesse in seguito farsi riconoscere dalla controparte col farla combaciare con lâaltra. Nella Bibbia questo congiungere il significante simbolico e il concetto divino che sâintende significare e che riguarda una realtà (realtà non oggettivamente comprensibile dalla mente umana perché è infinita), consente, per comâè strutturata la psicologia dellâuomo, di capire di Dio quanto basta. Leggendo nel Vangelo secondo Giovanni della luce [di Cristo], si comprende non solo che non si tratta dâunâastrazione non partecipe della figura del Salvatore e che non si sta alludendo a una fonte materiale di luce, ma pure che si sta parlando di qualcosa di spiritualmente splendido, per via di similitudine trattandosi dâuna realtà ineffabile per noi, creature dalle menti magnifiche ma pur sempre limitate.
A titolo d'esempio, andiamo allâAntico Testamento, precisamente al Salmo 36:
âà in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la tua luceâ12 .
In questo versetto ricorrono due simboli biblici della Divinità , simboli che torneranno nel Vangelo di Giovanni: la sorgente dâacqua viva e la luce. Qui la fonte luminosa non ha fisicità , è astratta e indipendente da qualunque astro ed è presente ovunque come pura illuminazione spirituale. à lo splendore divino, è la luce del volto di Dio, come nel Vangelo sarà quella del volto di Cristo il Figlio, luce fatta dâunâessenza che non è materia, però non disgiunta dal creato ma presente spiritualmente in ogni suo aspetto. La proposizione, nella Genesi, âDio disse: âSia la luceâ. E la luce fuâ13 è la prima proferita dal Creatore, ed è per quella luce che il cosmo prende a esistere, vivo, compresi gli astri creati successivamente, ovviamente al di là della scienza che non è qui coinvolta al contrario della poesia: la luce spirituale viene solo da Dio, anzi è Dio stesso, e continua a mantenere lâesistente. Il Creatore esprime la sua essenza nel creato e immediatamente giudica buono quanto fa, già nel versetto successivo: âDio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebreâ14 ; vide, in altri termini, che lâespressione di sé nel creato era splendida cosa divina, luce del suo Essere proiettata nellâesistente. Poi la luce si fa fisica, Dio la divide dalle tenebre e fa il giorno e fa la notte; tuttavia la notte è metafora del peccato e dunque il simbolo è a sua volta presente: come poco dopo si saprà quando Adamo sarà tentato e peccherà , Dio intende concedere la libertà allâuomo che sta per creare, permettendogli di scegliere di fare la volontà divina, nella luce, o di porsi nelle tenebre tentando di sostituirsi a lui quale centro del mondo ed eliminandolo così dalla propria vita. Alla luce incorruttibile generata da sé che sâesprime nel primo giorno della Creazione, la Bibbia non farà più riferimento fino al Nuovo Testamento dove, nel richiamo a quei primi versetti della Genesi, la luce sarà uno dei simboli di Cristo. Leggiamo nel Vangelo di Giovanni, al capitolo 1 versetto 4:
âIn Lui era la vita
e la vita era la luce degli uominiâ15 .
Cristo è visto come la luce in quanto Salvatore dal peccato e dalla morte; è il Logos, cioè lâIdea, cioè il Progetto di Dio di Slavezza per lâessere umano fin dapprima della Creazione.
Si può notare per inciso che il termine Lògos viene normalmente tradotto in italiano con le parole Verbo oppure Parola, perdendo una parte essenziale del significato; infatti con parola sâintende già l'espressione e non si richiama il precedente Progetto, l'Idea divina di Salvezza dell'umanità .
La stessa figura d'Adamo ha valenza simbolica, il suo nome Ha-adam significa L'uomo nel senso di l'essere umano (homo) maschio (vir) e femmina (mulier) d'ogni tempo (nella Genesi è scritto: âDio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò16 ) e il peccato adamitico è l'archetipo del peccato di ciascuna donna e di ciascun uomo d'ogni tempo: ogni peccato è sempre frutto di cattivo orgoglio, così come quello originale, è scelta arbitraria contro la legge morale divina, è volersi far miseramente dio onnipotente al posto del vero Dio onnipotente.
Il ben noto divieto edenico di Dio all'Uomo maschio e femmina di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male si può fraintendere, se non si conosca il significato siimbolico dell'espressione "bene e male" e del verbo "conoscere"; si può pensare, cioè, a una condanna della scienza e della filosofia,a un peccato "prometeico" che potrebbe, persino, essere visto da certuni non come peccato ma come un merito dell'essere umano, proprio come l'impresa di Prometeo contro un egoista Zeus che non voleva cedere il fuoco ai miseri uomini; invece no, la ricerca era tenuta in alto onore anche dagli antichi ebrei e, in particolare, proprio nel colto ambiente del secondo Tempio nel cui à mbito veniva scritta la Genesi nel VI secolo avanti Cristo: secondo il linguaggio simbolico antico ebraico "bene e male" indica tutto il Creato di Dio e "conoscenza" significa possesso (non solo carnale, ma in senso generale); dunque il vero divieto divino è quello di voler impossessarsi del Creato come se fosse proprio, cioè di volersi sostituire a Dio ignorandolo; in altri termini ancora, il divieto è quello di farsi Dio al posto del vero e unico Creatore. Il frutto simbolico di quell'albero altretanto simbolico è il peccato di superbia di volersi fare simili a Dio, proprio secondo la tentazione