Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
Ma Limpa giunse a perseguitarci
Tron divertito dai nuovi risvolti decise di allargare la Contesa
In antitesi a Corrupto inviò Limpa della Conservazione
E il Diamante risplendette nella Volta Celeste
Ella aprì un varco da cui scaturì il suo Emissario
Il Cigno di Cristallo solcò i cieli con una scia di polvere splendente
Tutti gli elfi da essa investiti provarono sollievo e gioia: il loro aspetto mutò
Crebbero in statura e in purezza, i capelli divennero rilucenti come i diamanti
Gli Elfi di Cristallo ci mossero guerra e cruenti furono gli scontri
La Guerra i Quattro era finita
Nessuno aveva prevalso
Ma una nuova Contesa si era aperta
Tanti Nuovi Dei giunsero e vi presero parte
Nuove razze furono generate e tante altre guerre furono combattute
Fiumi di sangue furono versati e molto magicka fu dissipato
Il rito originale continuava, ma da tempo immemore, la parte finale era stata omessa dalla tribù, forse perché contemplava il graduale declino della loro razza e soprattutto perché, ormai, tutti ritenevano falsa e fastidiosa l'ultima strofa. Non era possibile che i deboli umani, giunti in epoche più recenti, fossero stati generati direttamente da Tron in persona.
Djeek amava recitare il Rito, perché lo portava a fantasticare, ma fantasticare poteva essere letale per un goblin... Infatti, se prima era tardi, dopo le sue elucubrazioni, lo era molto di più. Dove avrebbe trovato il coraggio di presentarsi a Hork con il sacco vuoto? Il tempo che gli restava non sarebbe bastato neanche se i ratti della Grantana fossero usciti, come per magia, tutti allo scoperto. Fu esattamente allora che proprio la fantasia gli fece balenare un'idea bizzarra.
rg.191.FFF.F1E.8:08/04/11522 (Dharta Misathon)
Nuovi arrivi.
Djeek impugnò il bastone che lo superava in altezza di almeno mezzo piede e, sollevando schizzi, si mise a correre rumorosamente verso la grande tana delle nutrie. Era buio e c'era la nebbia, ma nessuna delle due cose infastidiva più di tanto la sua vista da goblin. Arrivò a una montagnola di argilla con alcuni fori a cui facevano capo profondi cunicoli nei quali centinaia di roditori trovavano rifugio. Djeek l'aveva ribattezzata Grantana ed era una specie di scatola dei desideri. Purtroppo, ogni tentativo di penetrarvi era risultato vano. Diverse volte, aveva provato a scavare, ma l'operazione era lenta e le creature facevano in tempo a spostarsi in zone sicure della complessa rete di tunnel. Aveva provato a versare dell'acqua, ma questa defluiva per poi essere assorbita nel terreno in profondità. Nemmeno appiccare il fuoco in prossimità delle buche era servito.
Stavolta, però, disponeva di un nuovo strumento. “Se grazie a questo bastone, quell'umano ha stanato e messo allo spiedo il Grande Mostro della Palude, io potrei riuscire a stanare almeno qualche roditore” pensò Djeek senza troppa convinzione.
Strinse forte l'impugnatura, imitando goffamente la posizione dell'elementalista, socchiuse gli occhi e si sforzò cercando di scuotere la montagnola con il pensiero. Purtroppo, non accadde nulla. Provò altre volte sbarrando gli occhi o serrando i denti: niente, niente di niente!
Alla fine, stremato e rassegnato, si genuflesse reggendosi al bastone. Attraverso di esso, sentiva flebili e lontane le vibrazioni che si trasmettevano sul terreno: erano i ratti che si muovevano e scavano sotto la superficie. Già altre volte, poggiando l'orecchio a terra, aveva potuto sentirli: così vicini eppure, così irraggiungibili. Gli sembrò quasi di vederli lì sotto, immaginò di poter penetrare nel cunicolo e seguirli nei loro nascondigli. Sentì i loro passi furtivi quasi come se gli passassero sul ventre e, come in un sogno, immaginò di schiacciarseli addosso con le braccia: avvertì il loro sgomento nel vedere le loro tane tremare e crollargli addosso. Sentì il calore del loro sangue scorrergli sul petto e l'inebriante odore dell'adrenalina che trasudava dalla loro pelle.
Come risvegliandosi da una visione, Djeek aprì gli occhi e vide una valanga di ratti evacuare terrorizzati dalla montagnola semi-crollata. Si lanciò alla caccia e, nel giro di un minuto, aveva già riempito il sacco.
Era salvo: ciò lo rendeva felice e, per la prima volta, fiero di sé. Poco dopo, un altro pensiero, ancora più divertente, gli stampò sul volto butterato un ghigno ferino, cioè l'equivalente goblin del sorriso. «Non vedo l'ora di vedere la faccia di Kitzo: il sacco è più pieno di prima!» pensò ad alta voce.
Raggiunse il luogo del nascondiglio e, mentre con fare reverenziale riponeva nella fessura il bastone, pensò di conferirgli un nome. «Lo chiamerò Grande Verme.» Cioè il modo gergale usato per riferirsi all'emissario di Corrupto. Come il Verme Primordiale aveva stanato gli elfi grigi dalla caverna, così il suo aveva stanato i ratti dai loro cunicoli.
Arrivò nei pressi dell'abitato a notte fonda, proprio mentre Hork stava provvedendo a reclutare nuovi piccoli. Era suo compito, al termine dello svezzamento, sottrarre i cuccioli alla madre per portarli al vivaio che, volutamente, era posto nella zona proibita alle femmine. Bisognava recidere immediatamente i legami di nascita: la famiglia era un vezzo che la società goblin non poteva permettersi. Nessuno conosceva i propri genitori e nulla escludeva che un figlio un giorno potesse inconsapevolmente uccidere il padre, oppure che potesse ingravidare la madre o una sorella. Ciò era in perfetta coerenza con il fatto che i vincenti avessero diritto di vita e di morte sui più deboli e che a loro spettasse di trasmettere il proprio seme senza limitazione alcuna: solo così il branco sarebbe diventato sempre più forte.
Hork faticò non poco per sopraffare le feroci resistenze della femmina: dopo aver ricevuto un morso sul braccio e un profondo graffio sulla guancia, era riuscito a torcerle il polso dietro alla schiena e a piantarla contro il muro esterno della capanna. Fu in quel momento che l'addestratore annusò che ella era di nuovo pronta all'accoppiamento. Così, decise di approfittarne prima che gli altri se ne accorgessero. Non fece in tempo a strapparle il vestito, che venne preso per la collottola e sbalzato indietro di diversi piedi da Ghuk, un goblin esploratore. Questi acciuffò per il peli della testa la femmina che tentava la fuga e si preparò a inseminarla. Nel frattempo, Hork si stava rialzando tramortito. Però, un altro maschio, Rok, rifilandogli con noncuranza un calcio violentissimo, lo rimandò a terra dolorante. Quest'ultimo si lanciò per interrompere Ghuk che nel frattempo si stava già accoppiando e ne scaturì una rissa brutale. La femmina ne approfittò per darsi alla fuga. Tuttavia, mentre passava vicino a Hork che giaceva a terra, questi ebbe il riflesso di afferrarle la caviglia facendola cadere. L'addestratore si alzò sulle gambe malferme per lo stordimento e stava per lanciarsi sulla goblin, quando vide arrivare Hutzo, uno dei razziatori più feroci. Si immobilizzò e balbettò qualcosa come: «Signore, stavo giusto venendo a chiamarti! Quei due indegni volevano... ouch!» Ricevette un pugno nello stomaco, che lo sollevò di tre piedi, seguito da una ginocchiata in faccia mentre ricadeva.
«Vai a prendere i cuccioli, e torna a fare la mammina al vivaio! Verme!» gli intimò il bruto. Poi, emise un ringhio che raggelò gli altri due contendenti i quali si dileguarono all'istante. Con una mano, afferrò per il collo la povera femmina facendole entrare le unghie nella pelle e la sollevò per accoppiarsi. Quando ebbe finito, la getto via come uno straccio e se ne andò.
“Questa volta, è andata in maniera piuttosto tranquilla” pensò Djeek mentre si affrettava ad allontanarsi dal luogo della scena. Spesso, gli scontri per la riproduzione erano molto più violenti, con morti e mutilati tra i pretendenti. Succedeva sempre così: la malcapitata di turno, nel marasma, si ritrovava a essere presa con la forza da molti maschi e alla fine, era impossibile conoscere esattamente il padre della figliata. Però, questo era un bene per il branco.
Mestamente, Hork raccolse i sei cuccioli che dall'inizio non