Non sappiamo come avvenne, ma in qualche modo Corrupto o un suo servo in grado di farlo, riuscì a entrare nei sogni della Grande Sacerdotessa Violette, una dei Sette figli diretti del Grande Cigno. Spacciandosi per la Dea le dettò la formula che avrebbe permesso alla nostra specie di sopperire alla scarsa prolificità dovuta al fatto che eravamo semi-alieni in questo mondo. Io ero una sua giovane assistente. Con grandi aspettative preparammo l'intruglio e, come era nostra prassi, lo provammo prima su noi stesse e sui nostri compagni: funzionava! Ci sentivamo più energici e sentimmo avvampare il desiderio di accoppiarci. Dalle analisi, le nostre uova risultarono subito fecondate. Tutti i componenti dello stormo ne bevvero e tutte le femmine deposero uova fertili. Festeggiammo per giorni sognando una grande progenie in grado di purificare in breve tempo tutta Xantis... La progenie effettivamente fu numerosa, tuttavia le cose non andarono esattamente come avevamo immaginato.» Aliah proferì quest'ultima frase con una malcelata vena di sarcastica amarezza. Si alzò, guardò il suo corpo deturpato e, ridendo istericamente, si strappò alcune piume nere da una spalla e le lanciò via con ribrezzo. Dopo qualche istante, riprese: «La Gran Sacerdotessa e noi apprendiste fummo le prime a utilizzare la pozione, l'Inganno di Corrupto, e le nostre uova furono le prime a schiudersi. Ricordo ancora perfettamente la gioia che provai quando vidi le fratture increspare la superficie delle mie tre: per me, sarebbe stata la prima nidiata e rimembro altrettanto bene l'orrore che provai quando vidi gli abomini che ne vennero fuori. I miei figli, i miei unici figli erano neri e deformi con becchi adunchi, artigli d'aquila e voci di corvo. Corsi dalla Sacerdotessa per chiedere aiuto, o forse solo conforto. La trovai immobile con lo sguardo perso nel vuoto: sotto di lei, sette esserini informi, simili ai miei. Nel giro di poche ore, anche le altre consorelle accorsero e tutte si straziavano per lo stesso motivo. Piangemmo, ci disperammo e, insolitamente per la nostra razza, avemmo spunti di aggressione reciproca, ma alla fine, trovammo la forza di reagire. La Sacerdotessa ordinò ad alcune consorelle di volare tra i nidi della nostra comunità e avvertire tutti dell'accaduto, mentre io rimasi con lei per assisterla nella ricerca per la produzione di un antidoto. Passammo diverse notti insonni per trovare una soluzione alchemica, ma come mai era sino ad allora avvenuto, persino l'infallibile Violette faticava a trovarne una veramente efficace. La somministrazione non aveva alcun effetto evidente sui piccoli abomini, tuttavia su di noi, effettivamente, sembrava lenire quello strano senso di inquietudine violenta che si era manifestata. Fu proprio la somministrazione su noi stesse che ci fece compiere un altro errore di valutazione: non ci fece capire quello che stava avvenendo fuori. Erano passati dieci giorni quando, da una finestra, piombò nel laboratorio un mostruoso essere con piume quasi tutte nere. Alzò lo sguardo e, a stento, riconoscemmo in lei Laviah, una consorella. Questa, con un immane sforzo di autocontrollo, ci raccontò che tutti avevano cominciato a trasformarsi nel corpo e nello spirito e che ora regnavano solo morte e caos. Ci disse di fuggire e poi, si tolse la vita recidendosi la gola: lo fece per non uccidere noi. La Sacerdotessa raccolse in una sacca gli ingredienti più importanti, un paio di libri e gli appunti di quanto fino ad allora scoperto. Insieme, spiccammo il volo per fuggire. Mi voltai e vidi per l'ultima volta la Torre di Cristallo, alta fin sopra le nuvole, maestosa e splendente con le sue grandi guglie e i fieri archi che rifrangevano la luce nei colori dell'arcobaleno. Dopo poco tempo, fummo intercettate da uno stormo di centinaia creature simili a Laviah: non più cignani, ma arpie. Violette capì che non era più possibile fuggire e l'unico modo per dare una speranza alla nostra specie era quello di affidarmi i suoi appunti e coprire la mia fuga. Certo, sarebbe stato meglio il contrario, visto che io non ero ancora una vera alchimista; d'altra parte, però, solo lei era in grado di fronteggiare tanti avversari. La Sacerdotessa si fermò in volo per affrontarli e, nell'allontanarmi, udii il suo canto come un lamento rivolto alla Dea. Poco dopo piovve, piovve l'acqua purificatrice di Limpa e quando, ormai lontana, mi voltai, vidi un'enorme spirale nera fatta di arpie convergere verso un unico punto luminoso nel cielo e tante creature abominevoli precipitare intorno ad esso in preda agli spasmi provocati da quella pioggia che per loro era letale. Ero ormai lontana diverse miglia, quando il punto bianco smise di brillare nel cielo.
Da allora, mi prodigo in una vita da esule e sempre da allora, conduco incessantemente le mie ricerche per ottenere un antidoto efficace. Forse Violette avrebbe trovato una soluzione nel giro di alcune settimane, mentre io, in millenni, sono solo riuscita solo a rallentare la trasformazione, ma come puoi vedere dal mio aspetto, non ad arrestarla né, tanto meno, a farla regredire. Eppure, la mia pozione è molto potente, visto che è risultata efficace sulla tua maledizione. Temo che, finché non avrò superato la maestria con la quale Violette ha miscelato l'Inganno di Corrupto, il mio antidoto non sarà abbastanza efficace. Ma come potrò io superare una dei sette diretti figli del Cigno di Cristallo? E poi, se mai dovessi riuscire nella mia impresa, come farò a somministrarlo alle arpie?» Su quegli interrogativi, quasi dimenticando ciò di cui stava parlando, cominciò a camminare avanti e indietro nella capanna mormorando frasi incomprensibili che esprimevano frammenti di ragionamenti complessi. «Ehm... se il sangue di un puro miscelato con estratto di loto quando la Luna di Cristallo è in congiuntura con la Nebulosa Marcia venisse fatto bollire usando come catalizzatore una piuma di cignano... no, non può funzionare perché l'ossigeno reagirebbe con i residui ferrosi… altrimenti facendo vaporizzare sangue di goblin corrotto e ripristinato....no, no, no!»
Continuò così per alcuni minuti, finché Djeek non decise di intervenire per darle un po' di conforto. «Ehm... Signora. Non prendertela. Mi hai detto che prima assomigliavate a cigni e ora a corvi. Una volta, ho visto un cigno e, se può confortarti, non mi è sembrato un granché, anzi direi proprio che sono meglio i corvi. Secondo me il Grande Corrupto vi ha fatto un favore: ora siete più prolifici e da quel che so, le arpie sono un po' dappertutto e, inoltre, siete diventati anche meno ingenui.» Convinto di averla risollevata, concluse con candida soddisfazione: «Non devi prendertela per qualche piuma nera, in realtà esse ti donano.»
Aliah arrestò immediatamente i suoi ragionamenti e rimase immobile per qualche istante: stentava a credere a quello che aveva appena udito. Poi, scattò di colpo prendendo il goblin per il collo e, facendogli entrare le dita artigliate nella carne, gli urlò in faccia: «Stupida e miserrima creatura di Corrupto! Come puoi prenderti gioco così della madre delle disgrazie, della caduta di un'intera grandiosa stirpe? E io, come potuto confidarmi con un simile abominio?»
Stava quasi per strangolarlo quando, in un lampo di lucidità, si interruppe perché si accorse di qualcosa di anomalo. Lo lasciò e cominciò a riflettere ad alta voce. «I suoi occhi sembravano sinceri quando ha parlato: possibile che non volesse intenzionalmente offendermi? Strano... Vediamo: se io fossi un goblin alla mercé di qualcuno, sicuramente farei di tutto per non provocarlo, striscerei come un verme attendendo con astio il momento giusto per fuggire o vendicarmi. Che razza di goblin sei?»
Djeek fece per risponderle, ma fu subito interrotto: «Taci! Chi ti ha detto che puoi parlare! ...uno scherzo della natura, un goblin ingenuo quanto un cignano, un goblin... puro.» Prese a ridere istericamente. «Sei un vero insulto per Corrupto stesso: un figlio reietto. Penso proprio di lasciarti in vita: sono convinta che la tua esistenza leda l'orgoglio del tuo Dio, almeno quanto la mia misera condizione addolori il cuore di Limpa» concluse.
Per quanto sollevato dalla decisione presa dalla strega, Djeek rimase affranto a causa delle parole da lei pronunciate. Esse, evidentemente, avevano colto nel segno descrivendolo con cruda sintesi proprio per quello che, interiormente, era convinto di essere: una creatura malriuscita di Corrupto e come tale, sentiva di aver meritato tutti i maltrattamenti e gli scherni a cui i suoi simili lo avevano sottoposto. Eppure, il Dono lo aveva comunque aiutato a lenire il dolore della sua piaga: quindi, il suo Dio non lo aveva rinnegato del tutto. Fu in quel momento che si rese conto che anche la ferita al polpaccio era perfettamente guarita e con sorpresa esclamò: «La mia gamba! È come nuova!»
«Ah, sì! Per me è stato facile curarla» continuò la fattucchiera. «Strana ferita quella: in alcuni punti sembrava indurita come dall'incantesimo di pelle di pietra e, nonostante fosse lercia di fango, era incredibilmente quasi priva di infezioni. Se non fosse che tu sei solo