«Non metterti più sulla mia strada, la prossima volta potrei non riuscire a fermarmi.»
«Strega, ti denuncerò alle autorità. Sarai tu a finire bruciata viva. Sul rogo. Sulla pubblica piazza. E io starò a guardare mentre le fiamme ti consumeranno. Strega! Strega!»
Quelle parole le riportarono alla memoria l’esecuzione della strega Lodomilla, cui aveva assistito da bambina. Senza proferire altre parole e senza appellarsi di nuovo ai suoi poteri, Lucia si allontanò da quel luogo, sperando che l’eventuale racconto di Elisabetta non fosse stato preso sul serio e ritornò a casa, a Palazzo Baldeschi, un enorme fabbricato che si affacciava sulla Piazza del Mercato. Il palazzo era stato finito di ampliare da pochi anni, sulla base di una costruzione risalente a più di tre secoli prima, per volere di suo zio, il Cardinale Artemio Baldeschi, che era poi il fratello di sua nonna. La sontuosa dimora era ubicata tra la nuova chiesa di San Floriano e la Cattedrale. Quest’ultima era una stupenda chiesa in stile gotico, arricchita da bellissime guglie sulla facciata, dall’ampio interno a tre navate, capace di accogliere oltre duemila fedeli. Purtroppo era stata costruita sulla base del tempio di Giove e delle antiche Terme romane, senza che chi l’aveva a suo tempo edificata si fosse preoccupato troppo di fortificare le fondamenta. Per cui la costruzione era pericolante e si sarebbe dovuta abbattere per lasciare il posto a una nuova chiesa dedicata al patrono della città, San Settimio, le cui reliquie erano conservate nella cripta dell’antica cattedrale. Per ora, il Cardinale celebrava la Santa Messa ogni domenica nella chiesa di San Floriano, e aveva ottenuto anche che l’annesso convento, che doveva essere destinato ai frati dell’Ordine Domenicano, diventasse invece sede del Tribunale della Santa Inquisizione, essendo lui l’Inquisitore Capo. I Domenicani erano stati pertanto relegati in un convento più a valle, realizzato in una vecchia costruzione del dodicesimo secolo, in prossimità della chiesa di San Bernardo e del convento delle suore Clarisse della Valle.
A Lucia si strinse il cuore quando, dopo qualche giorno, fu convocata dallo zio Artemio nel suo studio, nell’altra ala del palazzo rispetto a quella abitata da lei e dalla sua nonna. Lo studio dello zio era una stanza enorme, arredata in maniera sfarzosa, le pareti arricchite da arazzi, il pavimento in parte ricoperto da un enorme tappeto. Un’intera parete era occupata da una libreria, contenente testi sacri e profani, manoscritti di pregevole fattura e alcuni testi stampati, tra cui una copia della Divina Commedia di Dante Alighieri, realizzata anni prima da Federico Conti nella sua stamperia jesina. Lucia avrebbe dato chissà cosa per poter consultare quei testi, ma le era stato sempre tassativamente proibito.
L’odore dei velluti che ricoprivano sedie e poltrone contribuivano a rendere l’aria della stanza pesante e irrespirabile, quasi al limite del soffocamento. Le finestre che si affacciavano sulla piazza permettevano al Cardinale di lanciare lo sguardo al cuore nevralgico della sua città, tenendo sotto controllo i suoi illustri concittadini, ma erano sempre chiuse in maniera ermetica, per impedire ai rumori della piazza e delle strade di disturbare la concentrazione del più alto prelato del luogo. La carica cardinalizia gli permetteva di poter essere al di sopra di ogni altro incarico politico, potendo impugnare anche qualsiasi decisione del Capitano del Popolo, che risiedeva nel non molto lontano Palazzo del Governo. Il potere conferitogli da Papa Alessandro VI, e confermatogli dai suoi successori, Pio III, Giulio II e Leone X, era infatti al tempo rispettato e temuto da tutte le altre autorità locali.
Il Cardinale offrì la mano inanellata alla nipote perché la baciasse, poi la invitò a sedersi in una delle imponenti seggiole disposte di fronte alla sua scrivania.
«Lucia, mia cara nipote, non sei più una bambina, ed è giunto il momento di trovare per te un uomo che sia un degno marito. Se nei tuoi pensieri non c’è nessun altro giovane, vorrei proporti il figlio del Capitano del Popolo, Andrea. Ha venti anni, è un bel giovane ed è bravo sia a cavalcare che a maneggiare le armi», si rivolse a lei, mentre puliva le lenti dei suoi occhiali di squisita fattura veneziana con un piccolo panno. In attesa che la giovane rispondesse, alitò di nuovo sulle lenti, le sfregò con il panno e quindi inforcò gli occhiali, fissando il suo sguardo penetrante negli occhi di Lucia.
Il Cardinale, quasi sessantenne, a parte i capelli grigi, era una persona ancora forte, robusta, dalla figura alta e slanciata; gli occhi marroni dallo sguardo acuto spiccavano sulla pelle chiara del viso, che nonostante l’età non appariva ancora solcata da rughe evidenti. Solo in quei rari momenti in cui sorrideva si formavano, ai lati degli occhi, delle zampe di gallina. Lucia sapeva che non era di certo quello il motivo per cui era stata convocata, e cercava di penetrare nella mente dello zio per sapere cosa in effetti volesse, ma i pensieri di lui erano sigillati dietro barriere invisibili e molto resistenti. La nonna l’aveva avvertita, lo zio Artemio faceva parte della famiglia e, come tutti i suoi membri, era dotato di poteri, forse più forti di quelli di tutti loro. Eppure, all’apparenza e agli occhi del popolo, egli aveva dedicato la sua vita a combattere la stregoneria e l’eresia.
«Se è uno stregone anche lui, perché combatte i suoi simili?», aveva chiesto un giorno Lucia alla nonna.
«Perché è dalla loro sconfitta che lui riesce ad aumentare i suoi poteri. Non girargli mai le spalle, non ti fidare mai di lui, se scoprisse che sei una creatura dai poteri forti, anche se sei sua nipote non esiterebbe a condannarti al rogo, e guardarti bruciare, mentre anche i tuoi poteri si trasferiscono a lui. Quando sei in sua presenza, non pensare, lui legge i tuoi pensieri, anche i più nascosti, e in più impedisce a te di leggere i suoi.»
Ed era vero! In quel momento Lucia stava sperimentando che non riusciva in alcun modo a penetrare nella sua mente, era come se non avesse pensieri, eppure ne doveva avere.
«Dovrei sapere se mi piace, conoscerlo e capire se posso innamorarmi di lui.»
«Innamorarsi, che parolona! Nelle famiglie nobili come la nostra ci si sposa in base a un contratto. La famiglia trova un buon partito per la ragazza e lei onorerà il marito che le è stato scelto. Ma voglio venirti incontro. Io e il Capitano del Popolo, Guglielmo dei Franciolini, organizzeremo una festa in cui avrete modo di conoscervi, tu e Andrea. E ora vai, ti farò sapere quando si terrà la festa.»
Senza ribattere, Lucia si era già alzata dalla sedia e stava per congedarsi, quando il Cardinale le rivolse ancora la parola.
«Ah, dimenticavo», disse, quasi fosse una cosa a cui non dava affatto importanza. «Mi hanno riferito che qualche giorno fa hai soccorso una tua compagna alla quale si erano incendiati gli abiti. Brava, noi Baldeschi dobbiamo distinguerci in questa città e far vedere che aiutiamo gli altri in ogni circostanza.»
In quel momento Lucia ebbe la percezione della mente dello zio che stava perlustrando gli angoli più remoti del suo cervello. Non riusciva ancora a imporsi di non pensare, ma cercò di ricordare la scena nel suo pensiero in maniera diversa da come era accaduta nella realtà. Ecco, Elisabetta si era avvicinata al falò che il Mastro tintore aveva acceso davanti alla sua bottega all’inizio della discesa del Fortino, per mettere a bollire il pentolone dell’acqua in cui avrebbe immerso i tessuti da tingere con i suoi colori sgargianti. Un lembo del saio della ragazzina era stato lambito dalle fiamme, che erano salite in un lampo ed erano giunte a bruciarle i capelli. Per fortuna, all’improvviso si era messo a piovere e Lucia, che passava di lì per caso aveva osservato la sua pelle arrossata e aveva tirato fuori dalla bisaccia un vasetto di unguento a base di Aloe e semi di lino, un rimedio naturale per le scottature che preparava la nonna.
«Brava, sono fiero di te!», ripeté il Cardinale.
Lucia uscì dalla stanza, sperando in cuor suo di aver buggerato lo zio, anche se non poteva esserne sicura.
Se sa davvero che sono una strega e ho poteri che lui potrebbe invidiarmi, che cosa farà? Mi terrà sotto controllo finché non sarà sicuro delle mie capacità per poi sbattermi senza pietà su un rogo e guardarmi morire tra le fiamme? Ma allora perché propormi un marito? Mah, forse questo è un gioco politico. Far sposare sua nipote con il figlio del Capitano del Popolo aumenterà ancora di più il suo potere temporale su questa città, in cui ancora troppi abitanti si proclamano ghibellini. Non mi stupirei che lo zio voglia accentrare su di sé sia il potere religioso che quello politico. Stai in guardia, Lucia, e non ti far abbindolare né dallo zio, né da questo giovane Andrea.
Avrebbe