–Signore! signore!
Il cuore gli balzò in petto; ma e' non si mosse. Intanto la voce ripigliava più forte: signore! ohè, signore?
Si avanzò allora fino al murello, e si provò a guardare. Gli era per l'appunto il giardiniere, che aveva rizzato la povera pianta, e stava col viso in aria a cercare di lui. I cocci del vaso erano sparsi sul terreno, ma il terriccio di castagno era agglomerato tuttavia intorno alle radici; la vittima respirava ancora.
–Signor…. signor…. La mi scusi; non so il suo riverito nome.
–Laurenti, ai vostri comandi, brav'uomo.
–Signor Laurenti, veda….. questa è roba sua;—proseguì il giardiniere, levandosi con una mano il cappello, e additando la camelia coll'altra.
–Che? come?—gridò Laurenti.—Oh la mia povera camelia! E come mai la è caduta? Forse il vento….
–Oh, non ha tirato vento, stanotte;—rispose il giardiniere.—Sarà stato quel tristo d'un Grigio. Sa Ella? un gatto bellissimo, ma e' ci ha il ticchio di scorazzar la notte, per dar la caccia ai topi. Si sarà arrampicato per l'edera fino alla fila dei vasi, e avrà fatto lui il malanno.
–Ah!—esclamò Laurenti. E siccome il Grigio non era lì per protestare, la calunnia ebbe corso.
–Mascalzone d'un Grigio!—proseguì il giardiniere,—se lo colgo, n'ha a toccare una serqua!
–Oh no; povera bestia!—disse Laurenti, che non voleva far bastonare un innocente, quantunque gli giovasse lasciarlo accusare.—Esso ha operato a fin di bene per ammazzarci i topi, e non gli s'ha a dare un castigo. Poi non è un gran male, quello che ha fatto; soltanto mi rincresce un tratto per quella pianta….
–Sicuro, una bella pianta! Camellia maculata Adhemari!—sentenziò il giardiniere dopo averne esaminati i bianchi petali chiazzati di rosso cupo.—Ma per ventura non la s'è fatta un gran male. Il peso del vaso la fece cader ritta.
–Ah, manco male.
–E purchè la sia rimessa subito in terra.. Veda, non ci ha che un ramo guasto, ma il tronco è sano, e le radici del pari; la terra non pare quasi che abbia fatto quel salto.
–Manderei a torla;—soggiunse timidamente Laurenti,—ma non ho il servitore in casa.
–Che! la porto io;—rispose il giardiniere, alzando il cespo da terra con molta accuratezza.
–Voi? Mi duole davvero che v'abbiate a pigliare questa molestia.
–Son pochi passi, signor…. signor Laurenti. C'è qui presso la postierla che mette nella viottola; due salti e sono da Vossignoria. Ah Grigio, Grigio! Ne fa sempre qualcheduna delle sue.
E così accagionando il povero Grigio, l'amico giardiniere s'incamminò per la discesa del prato, verso la postierla che aveva accennata a Laurenti.
Il nemico era dunque costretto ad accettare battaglia. Il primo colpo da gran capitano era fatto; e' bisognava saper fare il secondo; entrato in dimestichezza col giardiniere, cavargli le parole di bocca.
Laurenti andò a riceverlo sull'uscio di strada. Gli era un uomo sui cinquantacinque, piuttosto alto della persona, robusto e vegeto, dalle labbra tumide, indizio di bontà, e dagli occhi limpidi ed arguti. I capegli corti e brizzolati, in ragione dell'età; sulle guancie, sul mento e sul labbro superiore si scorgeva quella tinta turchiniccia che è segno di una folta barba, ma accuratamente rasa di fresco; e che fosse rasa di fresco, ante lucem, e per mano del suo legittimo padrone, lo dicevano cinque o sei tagli disposti in tutti i versi, con qualche goccia di sangue rappreso sui margini. Portava una camicia di tela grossolana, ma di bucato, il collare della quale si ripiegava in due lasagne sulle risvolte di un panciotto di pannolano cenericcio, partito a quadrelli, come i calzoni; ed aveva il capo coperto da un cappello di feltro nero, dalla testiera bassa e tonda, e dalla tesa larga, come usavano un tempo i cavalieri, e come usano adesso i contadini della Polcevera. Del resto, in maniche di camicia, come soleva stare tutto il giorno.
Entrò col cespo di camelia tra le braccia, salutando il giovanotto con quel sorriso che vuol dire: ci conosciamo, e non occorrono altri complimenti.
–Dove vuole Vossignoria che mettiamo questa povera ammalata?—disse egli, appena ebbero fatti pochi passi nel viale.
–Di qua, se non vi spiace, galantuomo.
–Galantuomo, sì certo, e Giacomo per sovrappiù, con licenza di Vossignoria;—aggiunse il giardiniere, che, come il lettore ha già veduto, era uomo faceto anzichenò.
–Orbene, Giacomo, venite qua, in fondo al giardino. C'è molta terra di quella che si confà alle camelie e posta a solatìo. Qui la metteremo, ed il Grigio sarà bravo, se verrà a buttarmela giù.
–Gatto indemoniato!—disse Giacomo, mentre deponeva il suo fardello sul ciglio dell'aiuola.—Se non fosse perchè distrugge i topi… Già, con licenza di Vossignoria, gatti e donne, diceva mio padre, buon'anima, nemici necessarii.
–O come, tutti a mazzo? chiese Laurenti, ridendo.
–Perchè no? Così gli uni, come le altre, debbono stare in casa; ma gli uni amano far le scappate sui tetti, e le altre….. volesse Iddio che ci andassero! In quella vece, amano andare attorno, con tanto di crinolino, e orecchini d'oro, e fanno gettare i quattrini a palate.
–Siete ammogliato, forse?
–No, per la grazia di Dio. Non nego d'essere stato lì una volta per pigliarla pur io; ma la donna ci ha avuto più giudizio di me, e n'ha sposato un altro. Baie, in fin dei conti; o dove diamine sono andato a parare?
–E chi ha cura delle vostre robe, e chi vi ammanisce il desinare?
–Che! o non ci ho le mani, io? Un po' d'acqua in pentola, poi un pizzico di sale, e il suo bravo spicchio di manzo a bollire, fino a che non sia cotto, o che il Grigio non me l'abbia cavato fuori, come fa qualche volta. Oh, non ha paura lui che la pentola scotti.
–Gli è proprio un gatto terribile, questo Grigio?
–Sicuro, ed io l'avrei già fatto correre di buone gambe, se egli non fosse il cucco, il beniamino, della signora Tonna.
Quella signora Tonna fu come una stilettata nel cuore di Laurenti. Tonna! Aspettava un nome leggiadro, e si udiva dir Tonna. Non già che, se la signora della palazzina si fosse chiamata Tonna, ei non l'avrebbe amata del pari; forse quel nome, portato da lei, sarebbe diventato anche bello. Ma per la prima volta, così alla sprovveduta, sentirsi a dire: la signora Tonna!
Chiedo scusa per Laurenti a tutte le signore Antoniette che mi leggono, se egli non potè mandar giù quel diminutivo, così poco vezzeggiativo, del loro nome, e se io pure sono costretto a pensarla come lui. Elleno poi, in nessun caso, neppure nel santuario della famiglia, non si lascino chiamar Tonna, nè Tonietta, e sarà tanto di guadagnato per tutti.
–Chi è la signora Tonna?—dimandò il giovinotto, dopo una breve sosta.—È la vostra padrona, forse?
–O che, le pare? È la donna di casa, la governante, e che so io; vecchia zitellona che biascia paternostri, legge le Vite dei Santi e mangia biscottini.
Laurenti respirò con tanto di polmoni, come dovrebbe respirare Encelado, se gli levassero l'Etna dallo stomaco.
Intanto il trapiantamento della camelia era condotto a buon fine, e il giardiniere dilettante, non volendo lasciarsi fuggire il giardiniere maestro, fino a che non si sbottonasse del tutto, lo tenne a bada col fargli vedere per ogni verso il teatro delle sue geste agronomiche e botaniche, considerate con molta attenzione, e lodate con acconcie parole dal sentenzioso orticoltore.
–Vossignoria conosce il mestiere a menadito. Già, loro signori, quando ci si mettono, vengono a capo d'ogni cosa.
Sempre intento a trovare un nuovo appicco al discorso