Emilia trattenne le lacrime, e seguì il padre nel salotto ov'erano riuniti i domestici. Sant'Aubert lesse con voce sommessa l'uffizio dei morti, e vi aggiunse preghiere per l'anima dei defunti. Durante la lettura, gli mancò la voce, e le lacrime inondarono il libro; si arrestò, ma le sublimi emozioni d'una devozione pura innalzarono successivamente le sue idee al disopra di questo mondo, e versarono infine il balsamo della consolazione nel suo cuore.
Finito l'uffizio, e ritirati i domestici, egli abbracciò teneramente la sua Emilia. « Mi sono sforzato, » le disse, « di darti fino dai primi anni un vero impero su te stessa, e te ne ho rappresentata l'importanza in tutta la condotta della vita; questa sublime qualità ci sostiene contro le più pericolose tentazioni del vizio, ci richiama alla virtù, e modera parimente l'eccesso delle emozioni più virtuose. Vi è un punto in cui esse cessano di meritare questo nome, se la loro conseguenza è un male; qualunque eccesso è vizioso; il dispiacere medesimo, sebbene amabile ne' suoi primordi, diviene una passione ingiusta, quando uno vi si abbandona a spese dei propri doveri. Per dovere io intendo parlare di ciò che si deve a sè stessi, al par di quello che si deve agli altri, un dolore smoderato infiacchisce l'anima, e la priva di quei dolci godimenti che un Dio benefico destina all'ornamento della nostra vita. Emilia cara, invoca, fa uso di tutti i precetti che hai da me ricevuti, e di cui l'esperienza ti ha così spesso dimostrato la saviezza… Il tuo dolore è inutile; non riguardare questa verità come un'espressione comune di consolazione, ma come un vero motivo di coraggio. Non vorrei soffocare la tua sensibilità, figlia mia, ma moderarne soltanto l'intensità. Di qualunque natura possano essere i mali, ond'è afflitto un cuore troppo tenero, non si deve sperar nulla da quello che non lo è. Tu conosci il mio dolore, sai se le mie parole sono di quei discorsi leggieri fatti a caso per arrestare la sensibilità nella sua sorgente, e il cui unico fine è di far pompa d'una pretesa filosofia. Ti dimostrerò, cara figlia, ch'io posso mettere in pratica i consigli che do. Ti parlo così, perchè non ti posso vedere, senza dolore, consumarti in lacrime superflue e non fare veruno sforzo per consolarti; non ti ho parlato prima, perchè avvi un momento in cui qualunque ragionamento deve cedere alla natura. Questo momento è passato, e quando lo si prolunga all'eccesso, la trista abitudine che si contrae, opprime lo spirito al punto di togliergli la sua elasticità, tu urti in questo scoglio, ma son persuaso che mi proverai col fatto di volerlo evitare. »
Emilia, piangendo, sorrise al genitore. « O padre! » esclamò, e le mancò la voce. Avrebbe aggiunto senza dubbio: Io voglio mostrarmi degna del nome di vostra figlia. Ma un movimento misto di riconoscenza, di tenerezza e di dolore l'oppresse di nuovo: Sant'Aubert la lasciò piangere senza interromperla, e parlò di altre cose.
La prima persona che venne a partecipare alla sua afflizione fu un certo Barreaux, uomo austero, e che sembrava insensibile; il gusto della botanica li aveva legati in amicizia, essendosi incontrati spesso sui monti. Barreaux erasi ritirato dal mondo, e quasi dalla società, per vivere in un bellissimo castello, all'ingresso de' boschi, e vicinissimo alla valle. Come Sant'Aubert, egli era stato crudelmente disingannato dall'opinione che aveva avuta degli uomini, ma, al par di lui, non si limitava ad affliggersene ed a compiangerli; sentiva più sdegno contro i loro vizi, che compassione per le loro debolezze.
Sant'Aubert fu sorpreso nel vederlo. Lo aveva invitato spesso a venire a visitare la sua famiglia, senza avervelo mai potuto decidere; quel giorno venne senza riserva, ed entrò in casa come uno dei più intrinseci amici della famiglia. I bisogni della sventura parevano averne addolcita la ruvidezza e domati i pregiudizi. La desolazione di Sant'Aubert parve l'unica sua occupazione; le maniere, più che le parole, ne esprimevano la commozione: parlò poco del soggetto della loro afflizione, ma le sue attenzioni delicate, il suono della sua voce, e l'interesse dei suoi sguardi esprimevano il sentimento del suo cuore; e questo linguaggio fu benissimo inteso.
A quell'epoca dolorosa, Sant'Aubert fu visitato dalla sua unica sorella, la signora Cheron, vedova da qualche anno, la quale abitava allora nelle proprie terre vicino a Tolosa. La loro corrispondenza era stata poco attiva: le espressioni non le mancarono però; ella non intendeva quella magia dello sguardo, che parla così bene all'anima, e quella dolcezza di accenti, che versa un balsamo salutare nei cuori afflitti e desolati. Assicurò il fratello che prendeva il più sincero interesse al suo dolore, lodò le virtù della sua sposa, ed aggiunse quanto immaginò di più consolante. Emilia non cessò dal piangere fin ch'essa parlò. Sant'Aubert fu più tranquillo, ascoltò in silenzio, e cambiò tenore di conversazione.
Nel partire, la signora Cheron li pregò di andarla presto a trovare. « Il cambiamento di soggiorno vi distrarrà non poco, » diss'ella; « fate malissimo ad affliggervi tanto. » Suo fratello comprese la verità di queste parole, ma sentiva più ripugnanza di prima a lasciare un asilo consacrato alla sua felicità. La presenza della sposa aveva reso quei luoghi tanto interessanti per lui, che ogni giorno calmando l'amarezza del suo dolore, aumentava la vaghezza delle sue rimembranze.
Egli aveva cionnonpertanto doveri da compiere, e di questo genere era una visita al cognato Quesnel; un affare importante non permetteva di differirla più a lungo, e desiderando d'altronde di scuotere Emilia dal suo abbattimento prese seco lei la strada d'Epurville.
Quando la carrozza entrò nel bosco che circondava il suo antico patrimonio, e che scoprì il viale di castagni e le torricelle del castello, nel pensare agli avvenimenti trascorsi in quell'intervallo, e come il possessore attuale non sapesse nè apprezzare, nè rispettare un tanto bene, Sant'Aubert sospirò profondamente; alla fine, entrò nel viale, rivide quei grandi alberi, delizia della sua infanzia e confidenti della sua gioventù. A poco a poco il castello mostrò la sua massiccia grandezza. Rivide la grossa torre, la porta vôlta d'ingresso, il ponte levatoio, ed il fosso asciutto che circondava tutto l'edifizio.
Il romore della carrozza chiamò una folla di servitori al cancello. Sant'Aubert scese, e condusse Emilia in una sala gotica; ma gli stemmi, le antiche insegne della famiglia non la decoravano più. Le travi, e tutto il legname di quercia del soffitto, erano stati tinti di bianco. La gran tavola, ove il feudatrio faceva pompa tutti i giorni della magnificenza e dell'ospitalità sua, dove il riso ed i lieti canti avevano così spesso rimbombato, questa tavola non esisteva più; le panche istesse che circondavano la sala, erano state tolte. Le grosse pareti non erano ricoperte che di frivoli ornamenti, i quali dimostravano quanto fosse gretto e meschino il gusto ed il sentimento del proprietario attuale.
Sant'Aubert fu introdotto nel salotto da un elegante servitore parigino. I coniugi Quesnel lo ricevettero con fredda garbatezza, con qualche complimento alla moda, e parvero aver obliato totalmente di aver avuto una sorella.
Emilia fu sul punto di versare lacrime, ma ne fu trattenuta da un giusto risentimento. Sant'Aubert, franco e tranquillo, conservò la sua dignità senza mostrare di avvedersene, e pose, in soggezione Quesnel; il quale non poteva spiegarsene il motivo.
Dopo una conversazione generale, Sant'Aubert mostrò desiderio di parlargli da solo a solo. Emilia restò colla signora Quesnel, e fu tosto informata come per quel giorno istesso fosse stata invitata una società numerosa: essa fu costretta di sentirsi dire che una perdita irrimediabile non deve privare di verun piacere.
Quando Sant'Aubert seppe di questo invito, sentì un misto di disgusto e d'indignazione per l'insensibilità di Quesnel, e fu quasi tentato di tornarsene al momento al suo castello; ma sentendo che, a suo riguardo, era stata invitata a venire anche la signora Cheron, e considerando che Emilia avrebbe potuto un giorno provare le conseguenze dell'inimicizia d'un simile zio, non volle esporvela; d'altra parte, la sua istantanea partenza sarebbe parsa senza dubbio poco conveniente a persone, che mostravano nondimanco un sì fiacco sentimento delle convenienze.
Fra i convitati si trovavano due gentiluomini italiani, uno chiamato Montoni, parente lontano della signora Quesnel, dell'età circa quarant'anni, di ammirabile statura; avea fisonomia virile