A. D. 1081
La conquista della Sicilia era stata più gloriosa che utile a Roberto Guiscardo; nè i possedimenti della Puglia e della Calabria all'ambizione di cotest'uomo bastando, deliberò afferrare, o far nascere l'occasione d'invadere, e soggiogar forse l'Impero dell'Oriente219. Un divorzio, ottenuto sotto pretesto di consanguinità, lo avea separato dalla prima moglie, statagli compagna nell'umil fortuna, e Boemondo nato da queste prime nozze, si trovò alla condizione di imitar piuttosto il suo chiaro padre che di succedergli. La seconda moglie di Roberto, essendo figlia de' Principi di Salerno, i Lombardi acconsentirono a riconoscere per erede di lui Ruggero, nato dalla medesima. Cinque figlie parimente dalla Principessa di Salerno ebbe Viscardo, tutte onorevolmente accasate220, e una di esse fu promessa ancor fanciulla al giovine ed avvenente Costantino, figlio ed erede dell'Imperatore Michele221. Ma una rivoluzione crollò il trono di Costantinopoli: la famiglia reale di Duca nel palagio o nel chiostro fu confinata: e Roberto, trafitto l'animo dalla sciagura della figlia, e dall'espulsione del confederato, pensò a vendicarsi. Un Greco che diceasi padre di Costantino, mostratosi ben tosto a Salerno, mise insieme una novella di trono rassegnato per forza, e di fuga. Il Duca maravigliosamente pronto a ravvisare in quest'uomo il suo amico infelice, pomposamente lo accolse, e come verso persona della dignità imperiale insignita addiccasi. Questo Michele222 dunque trascorse in trionfo la Calabria e la Puglia fra le lagrime e le acclamazioni de' popoli: e il Papa Gregorio VII esortò i vescovi ad adoperarsi coi lor sermoni, i Cattolici col lor braccio, a ritornare questo principe in trono. Roberto e il Greco in famigliari e spessi colloquj vedeansi, e noti egualmente, il valor normanno e i tesori del greco Impero, pubblica fede alle reciproche promesse lor procacciavano. Nondimeno, a confessione de' Greci e de' Latini, cotesto Michele non era che un fantasma, un impostore, un frate scappato dal suo convento, o un servo della greca Corte. Lo scaltro Guiscardo immaginò questo artifizio, sperando che dopo aver dato un'apparenza di giustizia alle sue armi, il falso imperatore tornerebbe nella sua oscurità ad un cenno di chi da questa l'avea ritratto; ma sol la vittoria potea costringere la credenza de' Greci, nè l'ardor de' Latini per tale impresa la credulità de' medesimi pareggiava; i soldati normanni voleano godersi in pace il frutto di lor fatiche, e gl'Italiani fremevano alla sola idea di pericoli cogniti ed incogniti che ad una spedizione oltremare si congiungevano. A fine di far soldati, Roberto non risparmiò donativi, o promesse; nè minacce, così per parte dell'autorità civile, come per parte dell'autorità ecclesiastica; che anzi alcuni atti di violenza hanno dato origine al fattogli rimprovero di avere arrolati, senza distinzioni nè pietà, e vecchi, e fanciulli. Dopo due anni impiegati senza posa in tali apparecchi, l'esercito di terra e le forze navali si adunarono ad Otranto, ultimo promontorio dell'Italia, situato all'estremità del calcagno dello stivale. Roberto si trasferì, accompagnato dalla moglie che ai fianchi di lui combattea, dal figlio Boemondo, e dal greco impostore. Mille trecento cavalieri normanni223, o alla scuola de' Normanni educati, formavano il nerbo di questo esercito composto di circa trentamila uomini d'ogni arma224; cencinquanta navi vennero caricate di truppe da sbarco, di cavalli, di armi, di macchine da guerra, e di torri di legno coperte di cuoio non concio; navilio che era stato allestito in Italia, e la repubblica ragusea, divenuta confederata di Roberto, le galee aveva fornite. All'ingresso del golfo Adriatico le coste dell'Italia e dell'Epiro si avvicinano l'una all'altra. Lo spazio che disgiugne Brindisi da Durazzo, conosciuto sotto il nome di Passaggio Romano, non è largo più di cento miglia225. Rimpetto ad Otranto si restringe di cinquanta226, angustia che suggerì a Pirro, e a Pompeo l'idea sublime, o stravagante di unire con un ponte entrambe le rive. Roberto, prima di imbarcare le sue truppe e le sue munizioni, mandò innanzi quindici galee comandate da Boemondo, affine di soggiogare o minacciare l'isola di Corfù, riconoscere l'opposto lido, e assicurare ne' dintorni di Vallona un buon porto alle sue truppe. Boemondo compiè la sua traversata e il suo sbarco, senza accorgersi di nemici. Sperienza fortunata pe' Normanni, e che diè a divedere a quale scadimento l'incuria de' Greci avesse ridotta la loro marineria! Le isole e le città marittime dell'Epiro all'armi di Roberto, o al terror del suo nome cedettero, e poichè ebbe toccate le coste di Corfù (la quale isola accenno col suo nome moderno) condusse la sua squadra e il suo esercito ad assediare Durazzo. Cotesta città, dal lato di Occidente, chiave dell'Impero greco, dalla sua antica fama, da recenti fortificazioni, dal patrizio Giorgio Paleologo vincitore di diverse battaglie nell'Oriente, da un presidio tolto dalle province di Albania e di Macedonia, in ogni età vivai di eccellenti soldati, era difesa. Pericoli e sciagure d'ogni genere nel durar di questa impresa provarono l'animo di Guiscardo: nella stagione la più propizia dell'anno, la flotta di lui che stavasi lungo la costa, venne d'improvviso assalita da una fortuna di mare; e piogge miste a neve, e furiosi venti d'ostro ingrossarono l'Adriatico, talchè un nuovo naufragio la sinistra fama degli scogli Acroceraunj riconfermò227. Andati in pezzi o portati lontano e vele, e alberi, e remi, si videro coperti il mare, e le rive di frantumi di navigli, d'armi e cadaveri, e la maggior parte delle munizioni le acque inghiottirono o danneggiarono. Sottrattasi con grande stento al furore dell'onde la ducale galea, Roberto si fermò sette giorni sul vicino promontorio per raccogliere gli avanzi della sua flotta, e rianimare il depresso coraggio de' suoi soldati. I Normanni non erano più quegli audaci piloti che aveano scoperto nuove acque sull'Oceano, dalla Groelandia al monte Atlante, que' piloti che erano stati veduti sorridere sui perigli da poco che offre l'onda mediterranea. Piansero nel durare della procella, e tremarono all'avvicinare de' Veneziani, che mossi dalle preghiere e dalle promesse della Corte di Bisanzo venivano ad assalirli. Le pugne del primo giorno mal non tornarono a Boemondo, giovine imberbe228 che i legni del padre suo comandava, ma le galee veneziane rimasero tutta notte ferme sull'áncora, a guisa di mezza luna, ordinate. La maestria di loro fazioni, il modo vantaggioso onde collocati aveano i proprj arcieri, la forza delle lor chiaverine, il fuoco greco somministrato ad essi dall'Imperatore, li fecero nel secondo giorno padroni della vittoria. I legni pugliesi o ragusei alla costa si ripararono: molti videro tagliare le gomene, e in poter cadettero del vincitore; oltrechè, la guernigion di Durazzo, con una abile sortita, portò fin nelle tende di Roberto la strage e il terrore: vennero introdotti soccorsi entro la piazza, e appena gli assedianti più non padroneggiarono il mare, si videro privi de' tributi, e delle vettovaglie, che dianzi le isole, e le città marittime ad essi inviavano. Si arroge, che un contagioso morbo travagliò ben tosto l'esercito dei Normanni, onde perirono privi di gloria cinquecento cavalieri; e la perdita delle genti di Guiscardo non ascese a meno di diecimila uomini, sol che si voglia dedurla dal registro de' funerali, e supponendo che tutti i morti l'onor di esequie ottenessero. Solo, imperterrito, in mezzo a tante calamità, il Duca normanno, intantochè nuove forze dai lidi pugliesi e siculi ritraeva, conquassava colle sue macchine d'assedio, e tribolava, ora dando scalate alle mura, ora adoperandosi contro le fondamenta di queste, Durazzo. Ma la solerzia e il valore di lui, in un valore eguale, e in una solerzia superiore, scontraronsi. Avendo egli condotto a piè del baluardo una torre mobile che racchiudea cinquecento soldati, mentre stava per abbassarne la porta, o il ponte levatoio, una enorme trave lo arrestò nell'impresa, e il fuoco greco in un istante la sua torre gli consumò.
Intanto che i Turchi dal lato orientale, le truppe di Guiscardo dall'occidentale, il romano impero invadeano; il