A. D. 514-565
Abbiamo già mostrato Giustiniano come principe, conquistatore, e legislatore: ci rimane di delinearne il ritratto come teologo99; e ciò che anticipatamente ne dà un'idea sfavorevole, il suo ardore per le materie teologiche, forma uno de' tratti più marcati del suo carattere. Al pari de' suoi sudditi, nutriva in cuore una gran venerazione pe' Santi viventi, e morti. Il suo Codice, e particolarmente le sue Novelle, confermano ed estendono i privilegi del clero, ed ogni volta che nasceva un dibattimento tra un monaco o un laico, propendeva a decidere che dal lato della Chiesa stava mai sempre la giustizia, la verità, l'innocenza. Nelle sue divozioni pubbliche e private assiduo ed esemplare, uguagliava nelle orazioni, nelle vigilie, ne' digiuni le austerità monastiche: ne' sogni della sua fantasia credeva o sperava d'essere inspirato: si tenea sicuro della protezione della Santa Vergine, e di San Michele Arcangelo, e attribuì all'aiuto de' SS. Martiri Cosimo e Damiano la sua guarigione da una malattia pericolosa. Empiè di monumenti della sua religione la capitale e le province100; e quantunque al suo gusto per le arti, ed alla sua ostentazione riferire si possa la maggior parte di que' sontuosi edificii, probabilmente il suo zelo era animato da un sentimento naturale d'amore e di gratitudine verso i suoi invisibili benefattori. Fra i titoli delle sue dignità, quello che più gli piaceva era il soprannome di Pio. La cura degl'interessi temporali e spirituali della Chiesa fu la più seria occupazione della sua vita, e spesso sagrificò i doveri di padre del popolo a quelli di difensore della Fede. Le controversie del suo tempo erano analoghe al suo naturale, e al suo animo, e ben doveano i professori di teologia ridersi in lor secreto d'un principe che faceva l'ufficio loro, e trascurava il suo. «Che potete voi temere da un tiranno che è schiavo della sua divozione? diceva a' suoi colleghi un ardito cospiratore; egli passa le intere notti disarmato nel suo gabinetto a discutere con vecchioni venerandi, e a confrontare le pagine de' volumi ecclesiastici101.» Egli espose il frutto delle sue vigilie in molte conferenze, ove fece gran figura ugualmente per forza di pulmoni, per sottigliezza d'argomenti, e in molti sermoni ancora che, sotto il nome d'editti e d'epistole, annunciavano all'impero la dottrina teologica del Padrone. Nel mentre che i Barbari invadevano le province, o le legioni vittoriose marciavano sotto le insegne di Belisario e di Narsete, il successore di Traiano, ignoto a' suoi eserciti, era contento di trionfare presedendo ad un Sinodo. Se avesse invitato a quelle adunanze un uom ragionevole e disinteressato, avrebbe potuto imparare «che le controversie religiose derivano dall'arroganza e dalla stoltezza; che la vera pietà meglio si manifesta col silenzio e colla sommessione: che l'uomo che non conosce la natura propria, non debbe essere ardito di scandagliare la natura del suo Dio, e che a noi basta il sapere che la bontà, e la possanza sono le attribuzioni della Divinità102».
La tolleranza non era la virtù del suo secolo, nè frequente virtù de' Principi è l'indulgenza verso i ribelli; ma quando si digrada un sovrano ad avere le basse mire e le passioni irascibili d'un teologo polemico, agevolmente è solleticato a supplire coll'autorità alla mancanza de' suoi argomenti, e a punire senza pietà il perverso accecamento di coloro che chiudono gli occhi alla luce delle sue dimostrazioni. Nel regno di Giustiniano veggiamo una scena uniforme, benchè variata, di persecuzione, e per questa pare che abbia superati i suoi indolenti predecessori, sia nella invenzione delle leggi penali, sia nella severità della esecuzione. Egli non assegnò che tre mesi per la conversione o per l'esilio di tutti gli eretici103, e se costantemente dissimulò l'infrazione di questa legge, erano però sotto il suo giogo di ferro privati non solo di tutti i vantaggi sociali, ma di tutti i diritti di nascita che poteano pretendere come uomini e come cristiani. Dopo quattro secoli, i Montanisti della Frigia104 respiravano tuttavia quel salvatico entusiasmo di perfezione, e quel foco profetico, ond'erano stati infiammati da' loro Apostoli, maschi o femmine105, particolari strumenti dello Spirito Santo. Essi all'avvicinarsi de' sacerdoti, e de' soldati cattolici coglievan con trasporto la corona del martirio; perivano nelle fiamme il Conciliabolo, e li congregati; ma l'anima dei primi fanatici viveva ancora la stessa trecent'anni dopo la morte del lor tiranno. A Costantinopoli non aveva la chiesa degli Ariani protetta dai Goti, temuto il rigor delle leggi: in ricchezza e in magnificenza non cedevano i loro preti al senato, e poteano benissimo l'oro e l'argento che loro tolse Giustiniano essere rivendicati come i trofei delle province, e le prede dei Barbari. Un picciol numero di Pagani, tuttavia nascosti tanto nelle classi più costumate, quanto nelle più rozze della società erano odiati dai Cristiani, ai quali forse non piaceva, che veruno straniero fosse testimonio delle lor liti intestine. Fu nominato Inquisitor della fede un Vescovo, il quale non tardò a svelare alla Corte, ed alla città magistrati, giureconsulti, medici, sofisti, sempre adetti alla superstizione dei Greci. Venne loro intimato positivamente di eleggere, senza indugio, o di spiacere a Giove od a Giustiniano, poichè non sarebbe più permesso ai medesimi di celare l'avversione che avevano per l'Evangelo sotto la scandalosa maschera dell'indifferenza, o della pietà. Il patrizio Fozio fu probabilmente il solo, che si mostrasse fermo di vivere e di morire come i suoi antenati; con un colpo di pugnale si tolse alla servitù, e lasciò al Tiranno il miserabile piacere di esporre ignominiosamente agli sguardi del Pubblico il cadavere