Impressioni d'America. Giacosa Giuseppe. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Giacosa Giuseppe
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Зарубежная классика
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trovare almeno una ventina di fortunati se non proprio di così olimpica nobiltà plutocratica come la sua (vogliono ce ne sia dei più ricchi), degni almeno di stringergli la mano e d'invitarlo a desinare, è da stupire che quelle migliaia, non siano per morte d'inedia ridotte a zero.

      Del resto, la bassa città è più frequentata dai ricchi che dai poveri. Nè i ricchi si lagnano della sua degradazione, nè sembrano avvertirla. I maggiori trafficanti di New-York vi passano buona parte della giornata. La famosa Wall Street, chiamata la via dei milioni, è nel centro di essa. Gli Astor, i Gould, hanno i loro scrittoi in quei rioni. Fu, se non erro, nel dimesso scrittoio del Gould che un disperato minacciò anni sono il vecchio banchiere di farlo saltare in aria con un pugno di dinamite, se non gli dava sull'attimo un milione. Il Gould, intrepido ed incredulo, rifiutò e quegli lanciò a terra la carica che scoppiando l'uccise, lasciando tramortito, ma illeso, il re delle banche. Allo scoppio si gettò impaurito dalla finestra del suo banco che aveva lì presso, il Morosini, un italiano andato mozzo di un veliero in America cinquant'anni or sono e noverato ora fra i maneggiatori di miliardi. I quali miliardi sembrano avere una virtù preservativa perchè anch'egli ne uscì con poche ammaccature.

      Io visitai nel suo studio, in Wall Street, un ricchissimo banchiere che avevo conosciuto anni addietro a Parigi. Uno sportman da disgradarne il Principe di Galles. Egli usa puntualmente al banco dalle dieci della mattina alle quattro pomeridiane, indi se ne va con un'ora e mezza di viaggio in Pensilvania dove dimora colla famiglia in un Club degno delle Mille ed una Notti, chiamato: Toxedo Park. Lo studio di quel raffinato uomo è di gran lunga meno comodo e bello del mio modestissimo. Noto, fra parentesi, e lo seppi da lui stesso, che la piccola casa dov'è il suo banco in Wall Street costò, trent'anni or sono a fabbricarla, quaranta mila dollari (200 mila lire) e che ora gli frutta ogni anno la medesima somma. Tutti quei Cresi sogliono raccogliersi sul mezzodì a far colazione in un Club-ristorante, nei pressi di City Hall, le cui sale sono povere e nude appetto alle sontuosissime degli altri circoli della città alta, cui pure appartengono i suoi frequentatori.

      Chi vuole esaltare ad oltranza la civiltà americana, dirà qui che nel concetto di quegli operosi il lavoro, è austero e non comporta mollezze. Ma gli austeri lavoratori che non sdegnano di sedere a mensa in locali disadorni, vi pasteggiano Champagne a 30 lire la bottiglia e vi si stillano il cervello in esperimenti di alta gastronomia. Il che prova che dove il godimento è intenso, non ne rifuggono e che la loro austerità è sessualità grossa che non vuole scomodarsi per poco e che indugia il piacere e lo condensa per potervisi poi distendere in pieno.

      Non sarà, spero, attribuito ad austerità o ad altre virtù astinenti quel colore orribile e uniforme che nella bassa città tinge dalla prima all'ultima tutte le case di ogni strada. Non si può dire che sia cattivo gusto di tempi andati perchè molte sono ritinte di fresco, nè che quello sia colore più solido e meglio appropriato al clima, poichè il rione accanto ne sfoggia con altrettanta imperterrita sicurezza un altro. È vera indifferenza all'estetica, dove l'estetica non darebbe che un fuggevole compiacimento.

      Le strade che imbocca prime, per l'appunto, chi entra in New-York allo scendere dei vapori transatlantici, sono tinte di rosso da capo a fondo. Le case si descrivono in due parole: muraglie e buchi. Non un fregio, non una fascia, non una cornice, non uno stipite in aggetto. Costruzioni tozze di tre piani e così allineate e livellate per tutta la lunghezza della via, che si direbbe una casa sola interminabile. Mentre andavo internandomi in quei condotti scoperchiati, i più lerci tuguri del mio contado canavesano e valdostano, colle loro logge tarlate, e puntellate, col tetto a gronda e le scalette allo scoperto, mi tornavano alla mente quali squisite opere d'arte. La mente correva da sè, per raffronti ad umilissimi prodotti architettonici quasi temesse dal paragone cogli ottimi un disgusto eccessivo.

      Ma la bruttezza del luogo è così assoluta che nulla può attenuare il disgusto. E lo crescono e lo mutano in sorda inquietudine i frequenti apparecchi di salvamento per i casi d'incendio. Nulla fa più pensare al pericolo che le vistose difese contro di esso. Ogni due finestre scende rasente la facciata della casa da un piano all'altro e dal più basso a terra, una scaletta ferrea a pioli, destinata alla fuga degli abitanti quando avessero a crollare le scale interne. Quelle scalette sono, come la casa, dipinte del color di fiamma viva, di maniera che danno quasi una visione permanente d'incendio, mentre rivelano la poca resistenza dei materiali e la fragilità delle costruzioni. Nell'alta città quelle pendule scalette non usano più. Il meraviglioso servizio delle pompe le ha rese inutili e l'estetica le ha bandite. Perchè durano in quei rioni dove sono quanto negli altri, solleciti ed efficaci i soccorsi dei pompieri e più vigorosa la spinta delle acque? Perchè occorsero un tempo, e perchè ivi non torna conto di mutare per abbellimento, nessuna cosa.

      Tuttavia la bassa città ha essa pure qualche bell'edifizio e qualche punto pittoresco. Non parlo delle fastose sedi dei grandi giornali delle quali la grandiosità è squilibrata ed il fasto teatrale. Esse tengono una accanto all'altra un lato della piazza municipale dove stanno il palazzo del Governo, e quello immenso ed ormai insufficiente della posta. La chiesa della Trinità che sorge poco discosto, costrutta come quasi tutte le chiese d'America, nello stile fiammante inglese, passerebbe forse inosservata in una città europea, e nei recenti quartieri della stessa New-York, ma in mezzo a tanta secchezza di fabbriche, esprime una grazia riposata che mette pace nell'animo. Le s'apre ai fianchi un vecchio cimitero, fitto di alberi venerandi e di lapidi muscose mezzo nascoste nell'erbe: un recesso quieto che fa pensare ai tempi in cui le vie e le case circostanti invece che al solo lavoro erano date insieme al lavoro ed alla vita.

      Io andai pensando più volte se la separazione assoluta del luogo dove l'uomo opera ed intende ai guadagni, da quello ove si riduce a vivere la vita, non contribuisca sempre più ad inasprire il formidabile individualismo degli americani. È certo che la casa, l'home degli inglesi, esercita sull'animo nostro un'azione mitigante, lo predispone e lo inclina all'esercizio delle virtù altruistiche. Chi abbandona la mattina i dolci luoghi della vita domestica e va e rimane per traffici fino a sera, in luoghi dove non ne resta nessuna traccia, e dove non c'è traccia nemmeno in altre vite somiglianti che gli ricordino la propria, si avvezza in breve a sdoppiare quasi interamente la propria natura, a separarne gli elementi effettivi dai volitivi ed intellettuali, lascia a casa l'umanità amorevole e soccorrevole per armarsi soltanto negli affari, di un egoismo aspro ed ingrato. Da ciò quella bella sentenza degli americani: Business is business – Gli affari sono gli affari – la quale autorizza ed incoraggia tutte le trappolerie e le soperchierie ed esclude dai traffichi, non dico la carità, che non domando tanto, ma la coscienza ed il rispetto dell'altrui diritto alla vita.

      Quanto negli aspetti della bassa New-York sa ancora di grazia e di gentilezza, appartiene al tempo in cui la città ristretta in quei confini era di fatto abitata e non, come ora, frequentata solamente in certi giorni, in certe ore e per certe ragioni. Nè quel tempo è molto lontano. Sessant'anni or sono New-York terminava là dove sorge la City Hall: il palazzo del comune. È curioso notare come nè allora nè, non ostante i continui ingrandimenti, molto tempo di poi, essa fosse consapevole della propria vitalità espansiva. Lo spazio compreso fra la City Hall e la punta al mare misura una quindicesima parte di lunghezza della città d'oggi e nel suo punto più largo, vale a dire alla base del cono che si appunta al mare, una metà della larghezza media attuale. New-York è oggi trenta volte più grande che nel 1830, e questi dati stanno piuttosto al disotto che al disopra del vero. Or bene, quando si volle edificare nel 1830 il palazzo del comune e lo si collocò alla estremità superiore della città, l'onore dei marmi, a dispetto del disegno che ne voleva rivestito tutto l'edificio, fu conceduto alla sola facciata prospiciente l'abitato, perchè l'opposta che dava sui prati non ne meritava la spesa.

      Vent'anni or sono, visto il gran diffondersi del cattolicismo e raccolti i quattrini, il Capitolo di New-York deliberò di erigere una cattedrale. L'arcivescovo, uomo illuminato ed accorto, designò all'uopo un luogo a monte della città, nell'aperta campagna, a qualche chilometro dall'abitato. Pensate lo stupore e le risa del Capitolo, dei fedeli e dei rivali presbiteriani. Monsignore fu trattato di pazzo o poco meno; si fecero le burlette sulla cattedrale in villeggiatura, sul viaggiare dei canonici per recarsi all'ufficio e dei fedeli per accorrere alle funzioni. L'arcivescovo aveva un bel dire che le cattedrali se non per omnia sæcula, si devono edificare per secoli parecchi e rifarsi dei recenti ingrandimenti a presagio e promesse maggiori in tempo assai prossimo: gli altri concedevano che