A. 408
Nel passare che fece l'Imperator da Bologna, fu suscitato e quietato un ammutinamento delle guardie per la segreta politica di Stilicone, il quale dichiarò le istruzioni che aveva, di decimare i colpevoli, ed attribuì alla propria intercessione il merito del perdono. Dopo questo tumulto, Onorio abbracciò per l'ultima volta il Ministro, ch'ei risguardava allora come un tiranno, e proseguì il suo viaggio verso il campo di Pavia, dove fu ricevuto con le fedeli acclamazioni delle truppe, che v'erano adunate pel servizio della guerra Gallica. La mattina del quarto giorno ei recitò, come era istruito, un'orazion militare alla presenza dei soldati, i quali dalle caritatevoli visite e dagli artificiosi discorsi d'Olimpio erano stati disposti ad eseguire una sanguinosa e nera cospirazione. Al primo segnale, che fu dato, trucidarono gli amici di Stilicone, che erano gli Ufficiali più illustri dell'Impero, vale a dire i due Prefetti Pretoriani della Gallia e dell'Italia, i due Generali della Cavalleria e dell'Infanteria, il Maestro degli Uffizi, il Questore, il Tesoriere, ed il Conte dei domestici. Molti altri furono uccisi; si saccheggiaron più case; la furiosa sedizione continuò fino alla sera, ed il tremante Imperatore, che fu veduto per le strade di Pavia senza le sue vesti e senza il diadema, cedè alle persuasioni del favorito, condannò la memoria degli uccisi, e solennemente approvò l'innocenza e la fedeltà dei loro assassini. La notizia del macello di Pavia empì l'animo di Stilicone di giusti e tetri timori; ed immediatamente convocò nel campo di Bologna un'assemblea dei confederati condottieri, ch'erano attaccati al suo servizio, e che si sarebber trovati involti nella rovina di lui. L'impetuosa voce dell'adunanza richiese altamente le armi e la vendetta; domandò di marciare senza differire un momento sotto le bandiere d'un Eroe, che tante volte gli aveva condotti alla vittoria; di sorprendere, opprimere, ed estirpare il perfido Olimpio, ed i suoi degenerati Romani; e forse di porre il diadema sul capo dell'ingiuriato lor Generale. Invece di eseguire una risoluzione, che avrebbe potuto giustificarsi dal buon successo, Stilicone restò dubbioso, finattantochè fu irreparabilmente perduto. Tuttavia ignorava il destino dell'Imperatore; diffidava della lealtà del proprio partito; e vedeva con orrore le fatali conseguenze, che provenivano dall'armare una folla di licenziosi Barbari contro i soldati ed il popolo dell'Italia. I confederati, impazienti del suo timido e dubbioso indugio, precipitosamente si ritiraron con timore e con isdegno. Sull'ora di mezza notte, Saro, guerriero Gotico, rinomato fra i Barbari stessi per la sua forza e valore, ad un tratto invase il campo del suo Benefattore, saccheggiò il bagaglio, tagliò a pezzi i fedeli Unni, che guardavan la sua persona, e penetrò fino alla tenda, in cui il Ministro pensoso e senza dormire meditava sul pericolo della sua situazione. Stilicone con difficoltà si sottrasse alla spada dei Goti; o dopo aver dato un ultimo e generoso avviso alle città d'Italia di chiudere ai Barbari le loro porte, la sua fiducia o disperazione l'indusse a gettarsi dentro a Ravenna, ch'era già pienamente in potere de' suoi nemici. Olimpio, che aveva assunto il dominio d'Onorio, fu prontamente informato, che il suo rivale erasi rifuggito come supplichevole all'altare della Chiesa Cristiana. La bassa e crudele indole dell'ipocrita era incapace di pietà o di rimorso; ma piamente affettò d'eludere, piuttosto che di violare il privilegio del Santuario. Allo spuntar del giorno comparve il Conte Eracliano con una truppa di soldati alle porte della Chiesa di Ravenna. Il Vescovo si contentò d'un solenne giuramento, che l'Imperial messo tendeva solo ad assicurarsi dalla persona di Stilicone: ma appena lo sfortunato Ministro fu indotto ad uscire dal sacro limitare, ch'ei produsse l'ordine dell'immediata esecuzione di lui. Stilicone soffrì con tranquilla rassegnazione gli ingiuriosi nomi di traditore e di parricida; represse l'inopportuno zelo dei suoi seguaci, ch'eran pronti a tentarne un'inutile liberazione, e con una fermezza, non indegna dell'ultimo Generale Romano, piegò il collo alla spada d'Eracliano168.
La turba servile del Palazzo, che aveva per tanto tempo adorato la fortuna di Stilicone, affettò d'insultare la sua caduta; e studiosamente negavasi, come punivasi con rigore, la più distante relazione col Generale dell'Occidente, che sì recentemente era servita di titolo per le ricchezze e per gli onori. La sua famiglia, congiunta per mezzo d'una triplice parentela con quella di Teodosio, invidiava la condizione dell'infimo contadino. Il suo figlio Eucherio fu sorpreso, mentre fuggiva; ed alla morte di quell'innocente giovane successe il divorzio di Termanzia, che aveva occupato il luogo della sorella Maria, e che era restata vergine, com'essa, nel letto Imperiale169. Gli amici di Stilicone, ch'erano scampati dalla strage di Pavia, furono perseguitati dall'implacabil odio d'Olimpio; e s'esercitò la crudeltà più squisita per estorcer la confessione d'una perfida e sacrilega congiura. Essi morirono nel silenzio: la fermezza loro giustificò la scelta170, e forse assolvè l'innocenza del loro protettore; e la dispotica forza, che potè togliergli la vita senza processo, ed infamar senza prove la sua memoria, non ha giurisdizione veruna sull'imparziale suffragio della posterità171. I servigi di Stilicone son grandi e manifesti; i suoi delitti, siccome sono vagamente esposti nel linguaggio dell'adulazione e dell'odio, sono oscuri almeno ed improbabili. Circa quattro mesi dopo la sua morte fu pubblicato un editto in nome d'Onorio per ristabilire la libera comunicazione dei due Imperj, ch'era stata sì lungamente interrotta dal pubblico nemico172. Il Ministro, la fama e fortuna del quale dipendeva dalla prosperità dello Stato, fu accusato di dare l'Italia ai Barbari, ch'egli aveva più volte vinto a Pollenzia, a Verona, ed avanti le mura di Firenze. Il suo preteso disegno, di porre la corona sul capo al figlio Eucherio, non poteva condursi a fine senza preparativi e senza complici; e l'ambizioso padre non avrebbe sicuramente lasciato il futuro Imperatore fino al ventesimo anno della sua età nell'umile posto di Tribuno dei Notari. Anche la religione di Stilicone fu attaccata dalla malizia del suo rivale. Devotamente si celebrò l'opportuna e quasi miracolosa liberazione dall'applauso del Clero, il quale sosteneva, che la restaurazione degl'Idoli e la persecuzione della Chiesa sarebbe stato il primo passo del Regno d'Eucherio. Il figlio di di Stilicone però ora stato educato nel seno del Cristianesimo, che suo padre avea costantemente professato, e sostenuto con zelo173. Serena aveva tolto il suo magnifico monile dalla statua di Vesta174; ed i Pagani esecravano la memoria del sacrilego