avea diminuito il valore e la quantità dei presenti, ai quali essi avevan diritto, o per uso o per trattato, nell'innalzamento al trono dei nuovi Imperatori. Espressero e comunicarono essi a' loro nazionali un forte sentimento dell'affronto che facevasi alla nazione. Gli animi dei loro Capi, facilmente irritabili, furono inaspriti dal sospetto di esser disprezzati; e la marzial gioventù corse in folla a' loro stendardi. Avanti che Valentiniano fosse in istato di passare le alpi, i villaggi della Gallia erano in fiamme; e prima che il suo general Dagalaifo potesse andare incontro agli Alemanni, questi avevano già posto in sicuro gli schiavi e le spoglie nelle foreste della Germania. Al principio dell'anno seguente la militar forza di tutta la nazione ruppe in profonde e sode colonne il riparo del Reno nel mezzo al rigore d'un inverno settentrionale. Furon disfatti e feriti mortalmente due Conti Romani; e le bandiere degli Eruli e dei Batavi caddero nelle mani dei vincitori, che spiegarono con insultanti clamori e minacce il trofeo della loro vittoria. Le bandiere furono ricuperate: ma i Batavi non si eran purgati dalla macchia del disonore e della fuga loro agli occhi del severo lor giudice. Valentiniano era d'opinione, che i suoi soldati dovessero apprendere a temere il lor comandante, prima che potessero cessare di temere il nemico. Furono solennemente adunate le truppe, ed i tremanti Batavi circondati dall'esercito Imperiale. Valentiniano allora, salito sul Tribunale, quasi che sdegnasse di punir la codardia con la morte, impresse una nota d'indelebile ignominia negli uffiziali, la cattiva condotta e pusillanimità de' quali si trovò essere stata la prima occasione della disfatta. I Batavi furon deposti dal loro grado, spogliati delle armi, e condannati ad esser venduti per ischiavi al maggiore offerente. A questa tremenda sentenza le truppe caddero prostrate a terra; supplicarono che si calmasse lo sdegno del loro Sovrano; e si protestarono, che se gli avesse accordato loro di fare un'altra prova, si sarebbero dimostrati non indegni del nome di Romani e di suoi soldati. Valentiniano, che affettava ripugnanza, finalmente cedè alle loro istanze: i Batavi ripresero le armi, e con esse l'invincibil risoluzione di lavare il lor disonore nel sangue degli Alemanni
89. Dagalaifo aveva scansato il principal comando, e quest'esperto Generale da cui erano rappresentate forse con troppa prudenza l'estreme difficoltà dell'impresa, ebbe la mortificazione di vedere avanti il termine della campagna, che il suo rivale Giovino cangiò quegli ostacoli in decisivi vantaggi sopra le forze disperse dei Barbari. Alla testa d'un ben disciplinato esercito di cavalleria, di infanteria e di truppe leggiere, Giovino s'avanzò con cauti e rapidi passi fino a Scarponna
90, nel territorio di Metz, dove sorprese una grossa divisione di Alemanni, prima che avessero tempo di prender le armi; ed animò i suoi soldati con la fiducia di una facile e non sanguinosa vittoria. Un'altra divisione o piuttosto armata nemica, dopo una crudele e licenziosa devastazione dell'adiacente paese, si riposava sulle ombrose rive della Mosella. Giovino, che aveva osservato il terreno coll'occhio di Generale, tacitamente si approssimò per mezzo d'una profonda e selvosa valle, fino a poter distintamente conoscere l'indolente sicurezza dei Germani. Alcuni stavan bagnando le robuste lor membra nel fiume: altri pettinavano i lunghi e biondi loro capelli; ed altri bevevano gran quantità di prezioso e delicato vino. Ad un tratto essi udirono il suono della tromba Romana; e videro nel loro campo il nemico. Lo stupore produsse il disordine; a questo successe la fuga e l'abbattimento; e la confusa moltitudine dei più bravi guerrieri fu trafitta dalle spade e dai giavelotti dei legionari e degli ausiliari. I fuggitivi corsero al terzo e più considerabile corpo, che si trovava nelle pianure Catalaunie vicino a Scialons nella Sciampagna; furono in fretta richiamati i distaccamenti sparsi ai loro stendardi, ed i Capi dei Barbari, ammoniti ed irritati dal fato dei loro compagni, si prepararono ad incontrare in una decisiva battaglia le vittoriose forze del Luogotenente di Valentiniano. Il sanguinoso ed ostinato combattimento durò tutta una giornata di state con egual valore e con dubbio successo. Ma prevalsero finalmente i Romani con la perdita di mille dugento soldati. Vi restarono morti seimila degli Alemanni, e quattromila feriti; ed il valente Giovino, dopo avere inseguito i fuggitivi residui del loro esercito fino alle sponde del Reno, tornò a Parigi a ricever l'applauso del suo Sovrano e le insegne del Consolato pel seguente anno
91. Il trionfo dei Romani fu macchiato in vero dal trattamento che fecero al Re prigioniero, il quale fu da essi appiccato ad un patibolo, senza che lo sapesse lo sdegnato loro Generale. Questo vergognoso atto di crudeltà, che potrebbe imputarsi al furor delle truppe, fu seguito dalla deliberata uccisione di Witicab figlio di Vadomairo, Principe Germano, di costituzione di corpo debole ed infermiccia, ma d'ardimentoso e formidabile spirito. Il domestico assassino di lui fu instigato e protetto da' Romani
92; e la violazione delle leggi d'umanità e di giustizia dimostra la segreta loro apprensione della debolezza del cadente Impero. Rade volte nei pubblici consigli si adotta l'uso del pugnal traditore, sin tanto che si conserva qualche fiducia nella forza aperta del brando.
Mentre gli Alemanni sembravano umiliati dalle recenti loro calamità, restò mortificato l'orgoglio di Valentiniano dall'inaspettata sorpresa di Mogunziaco o Magonza, città principale dell'alta Germania. Nel tempo meno sospetto d'una solennità Cristiana, Rando ardito ed abile Capitano, che aveva lungamente premeditato l'attacco, passò improvvisamente il Reno; entrò nella non difesa città, e ritirossi con una gran quantità di schiavi d'ambedue i sessi. Valentiniano risolvè di prendere una severa vendetta sopra tutto il corpo della nazione. Fu ordinato al Conte Sebastiano d'invadere il loro paese con le truppe dell'Italia e dell'Illirico probabilmente dalla parte della Rezia. L'Imperatore in persona, accompagnato da Graziano suo figlio, passò il Reno alla testa d'un formidabile esercito, che era sostenuto d'ambe le parti da Gioviano e da Severo, Generali della cavalleria e dell'infanteria dell'Occidente. Gli Alemanni, essendo incapaci di impedire la devastazione dei loro villaggi, piantarono il campo sopra un'alta e quasi inaccessibil montagna nel moderno ducato di Virtemberga, e con fermezza aspettarono l'avvicinarsi dei Romani. Valentiniano espose la propria vita ad un imminente pericolo per l'intrepida curiosità, con cui volle persistere ad esplorare un passo segreto e non guardato. Una truppa di Barbari uscì ad un tratto da un'imboscata; e l'Imperatore, che spronò fortemente il cavallo verso una ripida e sdrucciolevole scesa, dovè lasciarsi dietro il proprio scudiere, e l'elmetto magnificamente ornato d'oro e di pietre preziose. Al segno di un assalto generale, le truppe Romane circondarono e salirono da tre diverse parti la montagna di Solicinio. Ogni passo che facevano, accresceva loro l'ardore, ed abbatteva la resistenza del nemico; e poscia che le riunite lor forze ebbero occupata la sommità del monte, impetuosamente spinsero i Barbari verso il declive settentrionale, dove era situato il Conte Sebastiano per impedir loro la ritirata. Dopo tal segnalata vittoria Valentiniano tornò ai suoi quartieri d'inverno a Treveri; dove promosse la pubblica gioia colla rappresentazione di trionfali e splendidi giuochi93. Ma il saggio Monarca, invece d'aspirare alla conquista della Germania, limitò la sua attenzione all'importante e laboriosa difesa della frontiera Gallica contro un nemico, la forza di cui era rinnovata da uno sciame di coraggiosi volontari, che di continuo venivano dalle più lontane tribù del Settentrione94. Sulle rive del Reno, dalla sua sorgente fino allo stretto dell'Oceano, s'eressero frequenti e considerabili fortezze ed opportune torri; l'ingegno d'un Principe, abile nelle arti meccaniche, inventò nuove operazioni e novelle armi; e le sue numerose reclute di gioventù, sì Romana che Barbara, venivano esercitate rigorosamente in tutti gli esercizi di guerra. Il progresso dell'opera, alla quale si opposero ora le modeste rappresentanze, ed ora gli attacchi dei nemici, assicurò la tranquillità della Gallia pei nove seguenti anni dell'amministrazione di Valentiniano95.
Questo prudente Imperatore, che diligentemente praticava le savie massime di Diocleziano, procurava di fomentare e d'eccitar le interne divisioni delle tribù della Germania. Verso la metà del quarto secolo il paese (probabilmente della Lusazia e della Turingia) da ambe le parti dell'Elba era occupato dall'incostante dominio dei Borgognoni, guerriero e numeroso popolo della razza dei Vandali96, l'oscuro nome del quale appoco appoco s'estese ad un potente regno, e finalmente è restato ad una florida Provincia. Sembra, che la circostanza più considerabile negli antichi costumi dei Borgognoni fosse la diversità della civile ed ecclesiastica loro costituzione. Si dava il nome di Hendino al Re o Generale, e quello di Sinisto al sommo Sacerdote della nazione. La persona di quest'ultimo era sacra, e perpetua la sua dignità; ma il governo