Il campo di una legione Romana presentava l'aspetto di una città fortificata75. Appena ne era segnato la spazio, i guastatori ne spianavano esattamente il terreno, e toglievano ogni impedimento che potesse interromperne la perfetta regolarità. La sua forma era perfettamente quadrangolare; e può calcolarsi che un quadrato, del quale ogni lato era quasi due mila piedi, bastava per l'accampamento di 20000 romani; sebbene un simil numero delle nostre truppe presenterebbe al nemico una fronte di un'estensione più che triplicata. In mezzo al campo, il Pretorio o sia quartier generale, signoreggiava tutti gli altri; la cavalleria, l'infanteria e gli ausiliari occupavano i loro respettivi posti; le strade erano ampie e perfettamente diritte, e si lasciava da tutte le parti uno spazio vuoto di 200 piedi tra le tende e il terrapieno. Questo era ordinariamente alto dodici piedi, armato con una linea di palizzate forti e incrociate, e difeso da una fossa profonda e larga dodici piedi. Questo importante lavoro si faceva dai legionari medesimi, ai quali l'uso della zappa e della vanga non era meno familiare che quello della spada o del pilo. Una valorosa attività può sovente esser dono della natura: ma una diligenza così paziente non può esser frutto che dell'abito e della disciplina76.
Ogni volta che la tromba dava il segno della partenza, il campo era quasi in un istante disfatto; e le truppe correvano ai loro ordini senza tardanza o confusione. Oltre le loro armi, che i legionari appena consideravano come un imbarazzo, portavano ancora i loro utensili da cucina, gl'instrumenti di fortificazione, e la provvisione di molti giorni77. Sotto questo peso che opprimerebbe la delicatezza di un soldato moderno, erano avvezzati a fare di passo regolare quasi venti miglia in sei ore78. All'apparir del nemico gettavano il lor bagaglio, e con evoluzioni facili e rapide convertivano la colonna di marcia in ordine di battaglia79. I frombolieri e gli arcieri scaramucciavano alla fronte; gli ausiliari formavano la prima linea, ed erano secondati o sostenuti dal nerbo delle legioni. La cavalleria copriva i fianchi, e le macchine militari erano poste nella retroguardia.
Tali erano le arti della guerra, con le quali gl'Imperatori Romani difesero le loro vaste conquiste, e conservarono lo spirito militare in un tempo, in cui ogni altra virtù era oppressa dal lusso e dal dispotismo. Se nella considerazione de' loro eserciti noi passiamo dalla loro disciplina al lor numero, non sarà facile il definirlo con sufficiente esattezza. Si può computare però che la legione, la quale per se stessa era un corpo di 6831 soldati romani, poteva con i suoi seguaci ausiliari ascendere a quasi 12500 uomini. Lo stato delle truppe di Adriano e de' suoi successori in tempo di pace non era composto di meno che di trenta di questi formidabili corpi; e formava molto probabilmente una forza permanente di 375000 uomini. In vece di esser confinate tra le mura delle città fortificate, che i Romani riguardavano come il rifugio della debolezza o della pusillanimità, le legioni erano accampate sulle rive dei gran fiumi, e lungo le frontiere dei Barbari. Siccome i loro quartieri restavano per la maggior parte fissi e permanenti, possiamo arrischiarci a descrivere la distribuzion delle truppe. Tre legioni bastavano per la Britannia. La forza principale era sul Danubio e sul Reno, e consisteva in sedici legioni distribuite in questo modo; due nella Germania inferiore, e tre nella superiore; una nella Rezia, una nel Norico, quattro nella Pannonia, tre nella Mesia, e due nella Dacia. La difesa dell'Eufrate era affidata a otto legioni, sei delle quali erano poste nella Siria, e le altre due nella Cappadocia. Riguardo all'Egitto, all'Affrica e alla Spagna, siccome erano molto lontane dal divenire importante teatro di guerra, una sola legione manteneva la domestica tranquillità di ciascuna di queste vaste province. Neppur l'Italia era lasciata priva di forza militare. Quasi 20000 soldati scelti, e distinti con titoli di coorti della città e di guardie pretoriane, vegliavano alla salvezza del Monarca e della capitale. I Pretoriani, come autori di quasi tutte le rivoluzioni che lacerarono l'Impero, richiameranno ben presto e strepitosamente la nostra attenzione; ma nelle loro armi e nelle loro istituzioni non possiamo trovare alcuna circostanza che li distingua dalle legioni, se questa non fosse una splendida comparsa, ed una disciplina men rigorosa80.
La forza navale mantenuta dagl'Imperatori potrebbe sembrare inadeguata alla loro grandezza; ma era sufficientissima ad ogni util disegno del Governo. L'ambizione dei Romani era limitata alla terra, nè mai quel popolo bellicoso fu animato dallo spirito intraprendente, che aveva spinto i naviganti di Tiro, di Cartagine e anche di Marsilia ad estendere i confini del mondo, e ad esplorare le più remote coste dell'Oceano. Era per li Romani l'Oceano un oggetto di terrore anzi che di curiosità81; tutta l'estensione del Mediterraneo, dopo la distruzion di Cartagine e l'estirpazione dei pirati, era inclusa dentro le loro province. La politica degli Imperatori era soltanto diretta a conservare il pacifico dominio di questo mare, ed a proteggere il commercio dei loro sudditi. Con queste mire di moderazione, Augusto pose due flotte permanenti nei porti più adatti dell'Italia, una a Ravenna sull'Adriatico, l'altra a Miseno nella baia di Napoli. Pare che l'esperienza col tempo convincesse gli antichi, che subito che le loro galere eccedevano due o tre ordini di remi, erano più atte ad una vana pompa che ad un servizio reale. Augusto medesimo, nella vittoria di Azio, avea veduto la superiorità delle sue leggieri fregate (chiamate liburnie) sopra i grandi, ma lenti castelli del suo rivale82. Di queste liburnie esso compose le due flotte di Ravenna e di Miseno, destinate a dominare, una la divisione orientale del Mediterraneo, e l'altra l'occidentale, e ad ogni squadra unì un corpo di diverse migliaia di marinari. Oltre questi due porti, che posson considerarsi come le due sedi principali della marineria romana, ci aveano di considerabili forze a Frejus sulla costa della Provenza, e l'Eusino era difeso da quaranta bastimenti e tremila soldati. A tutto ciò aggiungasi l'armata navale che proteggeva la comunicazione tra la Gallia e la Britannia, ed un gran numero di navi continuamente mantenute sul Reno e sul Danubio per inquietare il paese, o impedire il passaggio dei Barbari83. Ora se noi recapitoliamo questo stato generale delle forze imperiali, sì della cavalleria che dell'infanteria, delle legioni, degli ausiliari, delle guardie e della marina, il più largo computo non ci concede di portare il numero della milizia di mare e di terra a più di 450000 uomini; potenza militare, che per quanto possa formidabil parere, fu uguagliata da un Monarca dell'ultimo secolo, il cui regno è ristretto nei confini di una sola provincia dell'Impero romano84.
Noi abbiam procurato di esporre lo spirito che moderava, e la forza che sosteneva la potenza di Adriano e degli Antonini. Prenderemo ora a descriver con chiarezza e precisione le province una volta unite sotto il loro dominio, ma adesso divise in tanti Stati indipendenti e tra loro nemici.
La