Lo sviluppo di una nuova religione, apparecchiato da coteste condizioni di cose, fu favorito dalla forma del reggimento politico della Mecca. Questa città era stanza di parecchi rami della schiatta di Adnân; tra i quali a poco a poco prevalse la tribù dei Koreisciti, mercatanti, come si vuol che significhi il nome: e certo lo meritavano per essere, più che niuna altra gente, solerti e intraprendenti nei traffichi. Un Kossai, koreiscita, impadronitosi del sacerdozio della Caaba, chiamò alla Mecca altri rami di sua tribù; cacciò o assoggettò le vecchie genti, che di allora in poi veggiamo sempre confederate o clienti di case koreiscite; e sì ridusse la potestà politica in un consiglio degli anziani koreisciti detti Sâdât, ossiano i signori;140 aristocrazia, della quale ei si fe' capo, e come principe della città. Chiara mi sembra la distinzione del potere esecutivo e del legislativo nella rozza repubblica della Mecca; sottile forma di reggimento, che parrà stranissima in uno Stato ove non era potere giudiziario, nè magistrati civili o penali; ma le costumanze universali delle tribù spiegano cotesta anomalia. Alla morte di Kossai i discendenti di lui si contesero, e alfine si divisero l'autorità esecutiva; talchè rimaneano ereditarii in poche famiglie gli uficii pubblici: adunare il consiglio; dare i segni del comando ai capitani in caso di guerra; riscuotere una contribuzione per sussidio ai pellegrini poveri; soprantendere alla distribuzione delle acque; tener le chiavi del tempio; promulgare il calendario, cosa di grave momento, per cagion della tregua. Ma il reggimento non può dirsi oligarchia, poichè, se gli uficii eran pochi e sovente cumulati, il potere supremo risedea non in quelli ma nel consiglio. Durò tal ordine politico finchè l'islamismo non lo ridusse a municipalità. Negli ultimi anni intanto del sesto secolo, privati cittadini avean riparato al difetto delle leggi penali, nella stessa guisa che avvenne molti secoli appresso in Europa. Avendo un Koreiscita sfacciatamente preso la roba d'un mercatante straniero, parecchi generosi, e tra quelli si notava Maometto giovane di venticinque anni, s'adunarono a convito, si ingaggiarono a proteggere i deboli, cittadini o stranieri, liberi o schiavi, che ricevessero alcun torto alla Mecca da uomini di qual famiglia che si fosse. Chiamaronsi la lega dei Fodhûl, dal nome di quella più antica che ricordai di sopra: e giurarono il patto, invocando l'Iddio supremo, e libando in giro una coppa di acqua del sacro pozzo Zemzem. Questa era l'Arabia innanzi la predicazione di Maometto, ai tempi dell'ignoranza come opportunamente li nominarono i Musulmani.
Nacque Maometto (a. 570) della tribù koreiscita, della nobile progenie di Kossai per Hascem, soprannome che in lingua nostra suonerebbe Frangi-pane, e fu ricompensa data dai poveri al bisavolo del Profeta. Unico figliuolo di giovane coppia, Maometto venne al mondo dopo la morte del padre; perdè la madre a sei anni; poco appresso, l'avol paterno: rimase orfanello e povero in tutela dello zio Abu-Taleb, uomo di alto affare nella città. Secondo il costume, era stato allevato in una tribù beduina, ove si avvezzò alla dura vita del deserto; ma lo rimandarono a casa, credendolo indemoniato, per insulti di epilessia. Fe' parecchi viaggi in Siria e altrove con le carovane: e una ne condusse per conto di Khadigia, donna vedova e giovane. Avvenente e ben complesso della persona; piacevole al tratto; amato da tutti per probità, gravi costumi, saviezza e bel parlare, gli altri diergli il nome di Amîn, che noi diremmo il fidato; Khadigia invaghissene e lo sposò. Così nella tranquillità d'una mediocre fortuna e nella pace domestica, ch'ei non prese altre mogli mentr'ebbe Khadigia, visse infino ai quarant'anni, praticando le virtù che appartengono ad uom privato, amando il raccoglimento e la solitudine, senza far parlare altrimenti di sè. Non si rese chiaro nelle armi fino alla guerra civile ch'egli accese, nella quale poi non mostrossi gran capitano, e moltissimi l'avanzarono di fierezza e valor nella mischia. Da meno di tutti gli altri Koreisciti, ch'eran pure i più tristi poeti dell'Arabia, ei non fe' mai versi, non potea ripeterne senza guastarli. Vantossi di non saper leggere nè scrivere; il che non tolse ch'apprendesse le tradizioni nazionali e straniere, i principii filosofici e i libri sacri d'altri popoli, che, tra quel fermento di intelletti, gli tornavano da cento bocche diverse; tra gli altri da un parente della moglie, ch'era de' quattro ricercatori della vera religione d'Abramo.
Di quegli elementi disparati Maometto prese ciò che seppe e potè adattare ai bisogni degli Arabi. Ne compose un sistema religioso e politico, semplice, vasto, ottimo alla prova; poichè e rigenerò una nazione più prontamente che non l'abbia mai fatto altra legge, e contribuì non poco all'incivilimento d'una gran parte del genere umano, e si regge tuttavia, nè par disposto a morire. Il disegno di tal religione potrebbe adombrarsi in questo modo. Tolti da' Giudei e dai Cristiani e racconci un po' all'arabica i dommi cardinali: Dio uno, senza compagni, senza nè genitori nè figliuoli, vivente, eterno, immateriale, onnipossente; creazione; gradazione di esseri ragionevoli, angioli, demonii, genii, uomini; vita futura; giudizio universale; premio ai credenti e virtuosi di soggiornare in eterno in giardini lieti d'acque e di frutta, con modeste donzelle dagli occhi negri; supplizio agli empii il fuoco sempiterno; predestinata da Dio ogni cosa, fin chi crederebbe e chi no; ciò non ostante, come per divin trastullo, messi gli uomini tra la tentazione perpetua di Satan, e la voce dei profeti; profeti o apostoli tutti que' dell'antico testamento e Gesù Cristo; rivelati il Pentateuco e il Vangelo; ultimo e massimo apostolo Maometto; l'ultima edizione de' comandi del Creatore scritta ab eterno; recitata a brani dall'angiolo Gabriele all'apostolo illitterato, il quale venia ripetendo la rivelazione, e sì chiamolla Korân, ossia lettura. Primissimo dovere degli uomini verso Dio, la fede, anzi l'assoluto abbandono in lui; che ciò significa islâm, e indi son detti musulmani i credenti, ossia abbandonati in Dio: idea cristiana sotto nuovo nome. Il culto tra giudeo ed arabo: frequenti preghiere, pellegrinaggio alla Mecca, digiuni, con una lunga appendice di purificazioni da osservarsi e impurità da scansarsi; raccomandandosi alla coscienza di ciascuno le pratiche private, le pubbliche alla scambievole vigilanza