A Edmondo De Amicis,
A te, che hai veduto nella mia Legge Oppia alcun che di buono, a te, che hai cuore pari allo ingegno, a te, che io amo sopra tutti i miei fratelli nell'arte, è dedicata l'opera mia.
Certo, avrei dovuto intitolarti una cosa migliore. Senonchè, ad aspettare che l'ingegno mio dèsse frutto veramente degno di te, avrei dovuto durarla di troppo, e questa pubblica testimonianza di affetto sarebbe stata anco rimandata «al limitar di Dite». Abbiti dunque, lontano amico, questa mia Legge Oppia, e fàlle il buon viso, che solevi fare al tuo
Di Genova, il 21 dicembre del 1872.
INTERLOCUTORI
BIRRIA, servo.
MIRRINA, liberta.
CLAUDIA VALERIA, moglie di L. V. Flacco.
MARZIA ATINIA, figlia di Claudia.
VOLUSIA, figlia di Claudia.
ANNIA LUSCINA, matrona romana.
MARCO FUNDANIO, tribuno.
LICINIA, moglie di M. P. Catone.
FULVIA, sorella di Catone.
LUCIO VALERIO, tribuno.
TITO MACCIO PLAUTO, poeta comico.
MARCO PORCIO CATONE, console.
ERENNIO, littore.
IL CÒRAGO.
MATERINA, moglie di Erennio.
IL BANDITORE.
ATTO PRIMO
La scena rappresenta l'interno di un tablino e parte dell'atrio, nella casa del console Lucio Valerio Flacco, sul Velia. – Pareti ornate di fregi e dipinti; soffitto a cassettoni dorati; solaio a musaico. – Nel fondo, a destra e a manca del tablino, le fauci, che mettono all'interno della casa; sui lati, l'una a riscontro dell'altra, due cortine alzate. – In mezzo alla sala, un monopodio di marmo, con suvvi uno scrigno ed altri arnesi di lusso; tutto intorno, seggioloni e scanni. – Lateralmente, distribuite a giuste distanze lungo le pareti, alcune edicole, che recano, effigiate in maschere di cera, le immagini degli antenati della Gente Valeria. – Verso il proscenio, a sinistra del riguardante, il Larario, colle statuette degli Dei Lari, sorretto da una mensola di marmo, che ha da piedi un'ara da incenso. – In un angolo del tablino, il canestro da lavoro, coi gomitoli e coi rocchetti dentro.
(Birria è vestito di una tunica bigia, con maniche corte, stretta ai lombi da una cintura nascosta sotto le pieghe ricadenti dal petto. Capegli rossi e ricciuti. Calzari di cuoio. – Mirrina è vestita di una tunica talare e del peplo. Capegli pettinati alla greca. Braccia ignude. Suole allacciate, al collo del piede da maglie e correggiuoli intrecciati).
Ah, giuro pel Dio Saturno che non è lieta cosa servire in casa di consoli. Onor de' padroni, carico alle spalle dei servi! Ecco qua; due volte al giorno lo si spolvera, questo tablino del malanno. E l'essèdra, poi, s'ha da tenerla sempre in assetto, pei ricevimenti magni. Poi c'è da curare il triclinio, poi da badare all'uscio di casa, che è sempre affollato di visite. Come son farfalline, coteste matrone! Su e giù, qua e là, continuamente in volta come le rondini, «Filò la lana, stette in casa sua»; così canta l'epitaffio. Ma gua', delle mie padrone non si potrà dire il medesimo?
(mettendo da banda il canestro da lavoro)
Filarono la lana, quando non le ci avevano altro a che fare; stettero in casa, quando aspettavano visite. E avanti a ripulire; avanti a spolverare!
(passando attraverso la scena)
Tu brontoli sempre, peggio del tuono.
Venere ti guardi, Mirrina liberta! Son essi per me, quei fiori?
Vedete che ceffo da inghirlandare di rose! E' sono per gli dei Lari; va via!
Mirrina, che modi son questi? Da ieri vendicata in libertà per grazia profumata del Console, che non sa negar niente alla moglie, già metti contegno col tuo amato Birria?
Amato!.. quel coso!.. Rosso di pelo e buono a nulla è tutt'uno.
Non hai sempre detto così, ed io potrei ricordarti…
Lasciami pe' fatti miei, mal arnese… schiavo… delizia dello staffile!
(divincolandosi da lui, per andare al Larario)
Non ci hai proprio altro di meglio a profferirmi per colazione, stamane?
(accostandosi timidamente, mentre ella sta disponendo i fiori sulla mensola)
Mirrina, o come s'è fatto leggiadro il tuo collo, dacchè non ha più tema del collare di bronzo!
E tu ammiralo!
Farei meglio ancora…
(senza voltarsi)
Che cosa?
Vi coglierei il fiore che non hai voluto darmi pur dianzi.
(chinandosi per baciarla sul collo)
Numi, ei lo vuole davvero! Eccoti il fiore!
(assestandogli una guanciata)
Ah, gli è di cinque foglie e pizzica come quel dell'ortica. Or dunque, la è rotta?
Tienla per tale.
Vedete, che albagìa! Se non par Tanaquilla regina…
Regina sicuro! Impara ad obbedire, perchè, quind'innanzi, comanderanno le donne.
(andandosene gravemente col suo canestro tra mani)
Ah, sì, ci hai ragione; fin da ier sera me ne ero avveduto.
(voltandosi indietro)
E da che?
Oh bella! da che il padrone è partito. Ah, povero Console! Egli va sicuro e tranquillo a combattere i Galli Boi; ma non sì tosto egli ha messo il piede fuor della porta Nomentana, che in casa sua spadronan le femmine. Ma bada; il padrone non è partito, e per Ercole, egli ha da sapere ogni cosa.
Che inventi tu adesso? Il padrone è a quest'ora colle legioni sulla via di Reate.
Era, ma gli è tornato in fretta e in furia stamane. Lo ha veduto il figliuolo di Erennio littore, che è passato or dianzi di qua, mentre io stavo in sull'uscio. E' pare che il padrone avesse a indettarsi di cose gravi col suo collega Marco Porcio Catone, poichè gli è corso da lui ed eglino sono tuttavia in istretto colloquio. E credi tu che, tornato in città, non vorrà dare una scorsa a casa? Ah, tu la smetti adesso? Or bene, e noi lo avvertiremo, noi che nulla sappiamo; gli diremo noi di una certa porticina sul vicolo, a cui s'è tolto il catenaccio; gli daremo noi la lista delle persone che hanno ad entrar di soppiatto in casa.
Birria, tu non dirai nulla.
E perchè di grazia?
Perchè… tu sei buono.
Rosso di pelo? Eh via!
Il rosso è color senatorio.
Ma