— Non so se l’odio o lo ami, so solamente che voglio trovarmi dinanzi a lui per dirgli che la sua rivale la calpesterò, la farò a brani, la polverizzerò come fosse di creta.
— Non la toccherai! Io amo la tua rivale e voglio farla mia, dovesse andar di mezzo la mia e la tua vita.
— Tu! tu ami la mia rivale!
— Sì, io l’amo, io l’adoro e tanto che senza di lei non potrei vivere.
— Tu ami una spregevole almea!
— È bella come un urì del paradiso di Maometto e più superba di te.
Elenka si slanciò su di lui e l’afferrò per le braccia con tal forza da strappargli un grido di dolore.
— Ma io l’odio, l’odio, la esecro questa almea! urlò ella.
— E io l’amo, l’adoro! urlò Notis.
— Vuoi adunque che ci facciamo la guerra? Io sarò senza pietà.
Il greco le mostrò i beduini che stavano osservandoli appoggiati indolentemente ai loro moschettoni.
— Basterebbe un mio cenno per fiaccare Abd-el-Kerim, le disse. Tu sei pazza, Elenka, e io più pazzo di te per suscitare simili questioni inutili. Tu vuoi Abd-el-Kerim e io te lo cedo; io voglio Fathma e io l’avrò.
— Hai ragione, rispose Elenka, sforzandosi a sorridere, noi siamo pazzi. Che devo fare ora? Io voglio vedere Abd-el-Kerim, conducimi da lui adunque e lascia a me la cura d’affascinarlo come l’affascinai a Chartum.
— Adagio, sorella, andiamo adagio, disse Notis con un fare misterioso. Tu sai già in qual modo Abd-el-Kerim fu rapito e come egli mi creda morto da un bel pezzo. Lo sceicco Fit Debbeut lo rinchiuse nel sotterraneo fingendosi un amante di Fathma e dicendogli che l’avrebbe fatto morire di fame. È giusto quindi che tu sii capitata fra queste ruine per puro caso o dietro ad un semplice indizio e che assumi l’aria di una liberatrice anzichè di una affascinatrice. Ti pare?
— Satana stesso non sarebbe stato capace d’architettare un piano migliore.
— Grazie, sorella, rispose Notis ridendo. Tu adunque scenderai nel sotterraneo in compagnia di due dongolesi e lo libererai dopo di avergli parlato dell’antico vostro amore e d’averlo persuaso a dimenticare Fathma.
— Bene e della mia rivale che accadrà?
— Bisogna che tu estirpi dal tuo cuore ogni idea di vendetta poichè l’almea diverrà mia moglie.
— Sei pazzo, cento volte più pazzo di Abd-el-Kerim. Non so cosa darei per tuffare le mie mani nel sangue caldo della mia rivale.
— E io darei dieci anni della mia vita per vedere il mio rivale agonizzante ai miei piedi. Siamo in pari condizioni, lasciamo adunque che scampino. Vattene a trovare adunque il traditore e che Allàh ti assista.
Il greco gettò un fischio prolungato; tutti i beduini gettarono gli archibusi ad armacollo, piegarono le tende, caricarono i loro utensili sui mahari e sui cammelli e s’internarono nella foresta. Fit Debbeud li seguì dopo d’essersi assicurato che ogni traccia dell’accampamento era scomparsa e di aver comandato a due dongolesi di andare a mettersi presso la galleria.
— Quando avrai finito, manda un fischio e io apparirò, disse il greco a sua sorella, dopo di che si allontanò a rapidi passi nella direzione presa dalla banda.
Elenka se ne rimase lì, ritta, colle braccia abbandonate lungo il corpo, le ciglia aggrottate e come in preda a un profondo pensiero. Si guardò lentamente d’attorno quasi sorpresa di vedersi sola, poi si rizzò fieramente con un gesto risoluto e s’avvicinò ai due dongolesi che l’aspettavano immobili come due statue all’entrata dell’oscuro corridoio.
— Conducetemi dal prigioniero, diss’ella con una emozione che invano cercava di nascondere.
I dongolesi accesero le torcie e s’inoltrarono nel corridoio camminando con somma precauzione, per la tema di calpestare sulla coda di qualche aspide che poteva tenersi celata in fra i rottami. Elenka li seguì in silenzio, guardandosi attorno con crescente curiosità.
Man mano che procedeva sentiva il cuore battere con maggior violenza e vaghi timori l’agitavano. Si avrebbe detto che aveva paura di trovarsi di fronte al fidanzato, al traditore, là, sotto quelle cupe ed umide vôlte e in presenza di due selvaggi, e guardava con orrore il fondo del corridoio e le umide pareti sulle quali strisciavano con un ronzìo lugubre migliaia di scorpioni grigi, di vermi, di lucertole e di spaventevoli tarantole. Le pareva di essere in preda ad uno spaventevole sogno.
— Gran Dio! andava mormorando. Così terribilmente l’odiava Notis per seppellirlo in quest’orrida tomba?
D’un tratto uno dei dongolesi s’arrestò e si volse verso di lei con un crudele sorriso sulle labbra.
— Udite? chiese con una voce che l’eco rendeva sepolcrale.
Elenka rabbrividì e tese l’orecchio. Dal fondo del corridoio venivano dei gemiti interrotti, del mormorii vaghi che andavano man mano crescendo per poi morire improvvisamente come se colui che li avesse emessi fosse d’un sol colpo morto.
— Chi è? chiese ella spaventata.
— Il prigioniero che muore di fame, rispose il dongolese.
— Miserabili!…
— Il greco così ha voluto.
— Tira innanzi, disse Elenka con aria minacciosa.
I dongolesi ubbidirono e poco dopo si arrestavano dinanzi alla porticina ferrata sulla quale scorgevansi delle sculture rappresentanti degli ibis, uccelli tenuti per sacri dagli antichi Egizi e Nubi cui dedicavano spesso dei templi. Elenka tremò tutta nell’udire i lamenti e le sorde imprecazioni dello sventurato Abd-el-Kerim, che contorcevasi fra gli spasimi della fame.
La porta venne con gran fatica aperta. Ella strappò una torcia dalle mani dei dongolesi, fe’ a loro cenno di aspettarla all’uscita del corridoio ed entrò risolutamente nel sotterraneo umido e freddo.
In sulle prime non fu capace di vedere che dei pipistrelli che svolazzavano mandando strida di spavento all’apparire di quella improvvisa luce, poi scorse in un angolo, sdraiato a terra, colla testa fra le mani, l’Arabo Abd-el-Kerim. Tutta la sua collera che ancora rimanevagli in fondo al cuore svanì come la nebbia al sole: una profonda compassione generata dall’immenso amore che nutriva ancora pel traditore, la prese e rimase ritta sulla porta senz’essere capace di dir verbo.
— Chi è l’assassino che viene ad assistere alla mia agonia? chiese con voce rauca l’arabo fissando due occhi stravolti su Elenka.
Quella voce ferì il cuore di Elenka.
— Abd-el-Kerim, diss’ella.
— Chi mi chiama? Chi mi cerca quaggiù in questa tomba? continuò l’arabo con trasporto feroce che la eco rendeva doppiamente cupo.
— Non mi riconosci più adunque?
Vi rispose un brontolio lungo simile a quello di una belva irritata.
— Guardami in volto, Abd-el-Kerim, guardami bene.
— Chi sei? domandò l’arabo facendo uno sforzo per alzarsi.
— Elenka, la tua fidanzata, che viene a salvarti.
— Tu!… Tu!… ruggì l’arabo con indefinibile accento d’odio.
S’aggrappò ai muri come un pazzo, si alzò, si spinse innanzi barcollando, poi retrocesse come se avesse visto una spaventevole apparizione.
— Ah! esclamò egli ironicamente. Sei tu, Elenka, la bella e buona Elenka che diceva di amarmi tanto e che mi fece cacciare in quest’orrida tomba perchè morissi di fame e di gelosia. Vattene orribile creatura, vattene!....
Elenka s’appoggiò