— E mia sorella?… Elenka lo ama, e forse più di prima.
— La faccenda diventa imbarazzante. E che vuoi fare adunque?
— Fra due o tre giorni Elenka sarà qui e bisogna che prima del suo arrivo schiacci o meglio svelga dal cuore dell’arabo l’amore che ha per Fathma.
— Non trovo altro mezzo che quello di strappargli addirittura il cuore, disse tranquillamente il bandito.
— Ti ripeto che non deve morire.
— Aspetta un momento. E se io mi spacciassi per un amante di Fathma?
— Ebbene?
— Lascia pensare a me o tu vedrai che gli farò perdere ogni speranza di rivedere Fathma e gli farò comparire Elenka come una salvatrice. Il Profeta stesso non potrebbe fare di più.
— Se vi riesci compero da te Fathma a peso di talleri.
— Non chiedo di più. Ora andiamo a trovare il mio rivale e poniamo in opera i nostri progetti.
Lo sceicco s’inumidì le labbra con una tazza di merissak, accese un ramo d’albero resinoso, uscì dalla tenda e guadagnò l’entrata di un corridoio che aprivasi sotto una specie di piramide smussata e che si sprofondava tortuosamente sotto terra.
Vi entrò camminando con precauzione fra rottami d’ogni sorta e s’arrestò, pochi minuti, dopo dinanzi ad una porticina ferrata e bassa. Tese l’orecchio: al di fuori s’udiva brontolare il tuono e ruggire il vento sotto le grandi foreste e nel sotterraneo s’udivano le bestemmie e i lamenti del prigioniero. Un satanico sorriso apparve sulle labbra dello sceicco.
— Il mio prigioniero si trova a disagio nel sotterraneo, mormorò egli beffardamente. Lo faremo diventare idrofobo.
Aprì la porticina ed entrò in una specie di cantina umidissima e tanto fredda da gelare le membra. In un canto scorse subito Abd-el-Kerim, addossato alla parete, coi pugni chiusi, la faccia contratta dalla collera e dal dolore e gli occhi fuori dalle orbite che schizzavano fiamme. Fit Debbeud emise un grande scroscio di risa che l’eco ripetè più volte.
— Che fate, giovanotto mio? chiese egli, sghignazzando.
L’arabo scattò in piedi come una belva e lo guardò torvamente.
— Miserabile! urlò con voce strozzata, facendoglisi addosso colle braccia tese.
Lo sceicco trasse flemmaticamente un pistolone e puntandolo verso di lui, disse duramente:
— Se tu alzi una mano verso di me, ti faccio scoppiar la testa.
— Sei un brigante! urlò l’arabo furibondo.
— Si vede che tu conosci bene gli uomini. Non ti sei ingannato qualificandomi per un bandito.
Abd-el-Kerim lo guardò sorpreso.
— Ma che vuoi fare di me? Perchè mi hai rapito? Che ti ho fatto io per cacciarmi in quest’inferno? Chi te l’ordinò? Chiese con ira concentrata.
— Non credeva che un uomo par tuo si sentisse in vena di parlar tanto. Meglio così; noi discorreremo come vecchi amici.
Impiantò la torcia in terra, si sedette su di un mucchio di rottami, trasse di saccoccia il suo scibouk, lo riempì e accesolo aspirò tre o quattro boccate di fumo con una flemma che avrebbe fatto invidia ad un Inglese.
— Tu mi chiedevi il perchè ti seppellii in quest’inferno, diss’egli, calcando su ogni parola. Se vuoi che te lo dica schiettamente, una donna è la causa di tutte le tue disgrazie.
Abd-el-Kerim indietreggiò fino al muro e sentì un freddo sudore imperlargli la fronte. Un timore, un presentimento sinistro l’assalì.
— Una donna!… balbettò. Una donna!
— Conosci tu un’almea che si chiama Fathma?
— Fathma! Fathma tu hai detto? Che vuol dire? Per Allàh, tu mi schianti l’anima!…
— È proprio per schiantarti l’anima che io sono sceso in quest’inferno, disse beffardamente lo sceicco.
— Ah! sciagurato! urlò il povero arabo facendo atto di saltargli addosso.
— Non muoverti, per mille saette! gli intimò lo sceicco ripigliando il pistolone con gesto minaccioso. Sta in guardia, ti ripeto.
Abd-el-Kerim si cacciò disperatamente le mani nei capelli e mugghiò come un toro.
— Ma che ti feci io, assassino? che vuoi da me? chiese.
— Odimi, ma non muoverti, se vuoi che ci lasciamo da buoni amici. Io sono lo sceicco Fit Debbeud ed amo alla follìa la donna che tu ami.
— Chi?… Fathma?…
— Sì, amo Fathma, ma l’amo, come ti dissi, alla follìa. Io seppi che tu l’amavi e che ella ti corrispondeva, e giurai in cuor mio di togliere l’ostacolo che mi sbarrava il cammino. Ebbi la fortuna di pigliarti e ti seppellii quaggiù per farti crepar di gelosia e sopratutto di fame.
— Non è possibile!… Non è possibile!… urlò Abd-el-Kerim. Fathma non ama che me, mi ha giurato che sarà mia, e mia sarà.
— È ben perchè ha giurato che sarà tua, che io ti spedisco all’altro mondo. Morto te, mi amerà voglia o non voglia.
— Ah! Cane!…
— Zitto, giovanotto mio. Se vuoi vi è un mezzo per riscattare la libertà.
— Quale? chiese l’arabo che ebbe un raggio di speranza.
— Quello di recarti da Fathma e di sputarle in volto in segno di supremo disprezzo.
— Taci, miserabile, taci!… Io ti sbrano co’ miei denti!
— Addio, giovanotto, disse il beduino alzandosi. Oggi stesso partirò per Chartum con Fathma e tu rimarrai seppellito in questa tana che sarà anche la tua tomba.
L’arabo cacciò un urlo disperato e si gettò sul bandito, ma questi stava in guardia. Si trasse prontamente da un lato e gli scagliò su un fianco un sì terribile pugno che il prigioniero cadde come morto.
— Addio, giovanotto, ripetè lo sceicco sogghignando.
Lasciò cadere una manata di datteri, spense la torcia e se ne andò tranquillamente, sbarrando la porta dietro alle spalle.
Per dieci minuti lo sventurato Abd-el-Kerim non fu capace di muoversi tanto era stato forte il pugno scagliatogli dal bandito, poi con uno sforzo disperato si rizzò in piedi e si precipitò innanzi, colla speranza d’arrivare alla porta. Ma le tenebre erano profonde ed andò ad urtare contro un muro umido viscido al quale contatto rabbrividì.
— Aiuto!… Aiuto! urlò egli con voce semi-spenta.
L’eco del sotterraneo solo rispose alla disperata invocazione. Egli si mise a correre all’intorno come un pazzo, urlando e bestemmiando, chiamando Fathma che ormai credeva perduta, incespicando ad ogni istante, cadendo e risollevandosi. Trovò la porta, vi cozzò furiosamente contro cercando di scassinarla, ma non riuscì nemmeno a scuoterla. I capelli gli si rizzarono sulla fronte, la disperazione lo prese e per un istante gli balenò in mente l’idea d’infrangersi il capo contro le pareti.
— Aiuto! Aiuto, Fathma! urlò ancora lo sventurato.
Retrocesse barcollando come un ubbriaco e tese gli orecchi. Al di fuori tuoneggiava fortemente e s’udiva il vento urlare nel corridoio; un tuffo impetuoso d’aria umida giunse fino a lui.
— Dove sono? si chiese egli con una voce che più nulla aveva d’umano. Che è successo? Perchè mi han rapito? Dov’è Fathma, la mia povera fidanzata, la mia disgraziata almea? Sono in preda forse