Come Alfonso poscia apprese, era stato quello l’anno più felice della sua vita. Era stata ammalata e, in seguito a prescrizione medica, la povera famigliuola cui apparteneva con grandi sacrifizi l’aveva mandata in campagna. Lì aveva goduto un anno di assoluta libertà.
Gli prese di mano il cappello e lo fece sedere.
– La signorina Annetta verrà subito. Ella attende da molto tempo?
– Da mezz’ora! – disse Alfonso con sincerità.
– Chi l’ha introdotta? – chiese la signorina corrugando le sopracciglia.
– Il signor Santo.
Dava a Santo del signore in omaggio alla persona cui parlava.
Entrò la signorina Annetta e Alfonso si levò in piedi confuso; l’aveva molto agitato la lunga preparazione.
Era una bella ragazza, quantunque, come egli disse a Miceni, il suo volto largo e roseo non gli piacesse. Di statura alta, con un vestito chiaro che dava maggior rilievo alle sue forme pronunciate, non poteva piacere ad un sentimentale. In tanta perfezione di forme Alfonso trovava che l’occhio non era nero abbastanza e che i capelli non erano ricci. Non sapeva dire il perché, ma avrebbe voluto che lo fossero.
Francesca presentò Alfonso. Annetta s’inchinò leggermente mentre stava per sedersi. Era palese che non aveva neppure l’intenzione di dirigergli la parola. Si mise a leggere un giornale che aveva portato seco. Ad Alfonso sembrò ch’ella non leggesse e che i suoi occhi fissassero sempre il medesimo punto sul foglio. Si lusingò ancora ch’ella fosse imbarazzata quanto lui e che volesse cavarsela facendo mostra di leggere. Ella però aveva il volto tranquillamente sorridente.
Meno disinvolta, Francesca volle riprendere il discorso interrotto.
– E abitano sempre ancora quella casa lontana tanto dal villaggio?
Alfonso ebbe appena il tempo di affermarlo. Lasciandosi andare a un risolino di compiacenza che fino ad allora con fatica aveva rattenuto, Annetta disse a Francesca:
– Ero da papà. Si parte doman l’altro; ha acconsentito e promesso.
Francesca parve sorpresa aggradevolmente. La voce di Annetta meravigliò Alfonso; se l’era aspettata meno dolce in un organismo tanto forte.
Le due donne parlavano a bassa voce. Alfonso comprese che Annetta doveva aver strappato con qualche astuzia un consenso al signor Maller. Ignorato del tutto, egli si trovò imbarazzato. Guardò un quadro alla sua destra: il ritratto di un vecchio dai tratti grossolani, gli occhi piccini, la testa calva.
Parve che Francesca indovinasse il suo malessere e volesse riparare alla scortesia di Annetta ch’era stata la prima a parlare a mezza voce. Gli raccontò che avevano progettato un viaggio per Parigi e che, dopo aver resistito per lungo tempo, il signor Maller finalmente acconsentiva di accompagnarle e di lasciare per otto o dieci giorni le sue occupazioni, in piena stagione di lavoro. Si volse di nuovo ad Annetta.
– Ha detto espressamente che io vi accompagnerò?
Anche da lei quel viaggio doveva essere stato molto desiderato.
– Ma certo, – rispose Annetta con un sorriso che Alfonso fu costretto a trovare buono.
Per un intervallo di tempo che a lui parve di un’ora almeno, dovette assistere passivamente al chiacchierio delle due donne, ora fingendo di prestarvi attenzione ed ora volgendo modestamente gli occhi altrove, cioè quando Annetta abbassava la voce e avvicinava la bocca all’orecchio di Francesca. Si sentì sollevato allorché Santo entrò e annunziò l’avvocato Macario.
– Che entri, che entri! – gridò Annetta con gioia, – ci farà ridere.
L’avvocato Macario, un bell’uomo di quarant’anni forse, vestito con grande accuratezza, alto e forte, una fisonomia bruna piena di vita, salutò Annetta imitando Ferravilla: – Oggi più bella del solito… ahi! – Strinse la mano a Francesca la quale subito gli presentò Alfonso; poi, invece di nominare l’avvocato: – I più bei mustacchi della città.
– Se sapesse la fatica che mi costa di conservarli in tale stato; glielo racconto io, altrimenti anche questo le racconterebbe la signorina.
Alfonso atteggiò il volto ad un sorriso; stava peggio di prima. La disinvoltura di Macario non gli toglieva l’imbarazzo e glielo faceva sentire meglio.
Annetta aveva deposto il giornale. Si appoggiava indolentemente con ambedue le braccia al tavolo:
– C’è una novità, caro cugino! ti sorprenderà!
Aveva l’aspetto di deriderlo.
Macario finse dispiacere:
– La so già. Infatti non l’avrei mai creduto. Lo zio abbandona la città in piena stagione di affari! Queste mura sono poi solide che dalla sorpresa non cadano? L’ho incontrato sulle scale e mi ha raccontato la novità, però con tutt’altra faccia di quella che hai tu adesso!
Gestiva parlando; aveva degl’indugi durante i quali metteva le mani all’altezza delle orecchie, quasi accennando con le dita tese a dei sottintesi che Alfonso non comprendeva.
– Capisco che non ne sia lieto, – disse Annetta. – Quando però qui si vuole, – e si toccò coll’indice la fronte, – basta.
Macario asserì che d’inverno Parigi era più noioso che d’estate. Pareva prendesse una piccola rivincita per una disfatta toccatagli; si capiva ch’egli aveva cercato d’impedire questo viaggio.
– D’inverno hanno sempre qualche cosa per il capo che ne fa gente intrattabile. Ogni giorno Parigi si occupa di un solo argomento che preoccupa tutti, ma tutti. Un giorno della caduta di un ministero, l’altro del discorso di un deputato, il terzo di un omicidio. Sempre noiosi! – concluse.
Annetta, che in questa descrizione riconosceva il Parigi dei romanzi, esclamò:
– Sempre simpatici!
Aveva cercato invano quel Parigi in un suo viaggio precedente.
– Affari di gusti. Si va da un amico, non ti parla che della revolverata toccata a Gambetta; si tratta con qualcuno d’affari ed il vostro cliente è preoccupato dalle revolverate e da Gambetta; si va dal calzolaio e anche lui non vi parla che di Gambetta e qui meno male.
Alfonso rise forte dello scherzo perché non trovava di mettere una parola nel discorso e credette doveroso di dar prova che vi partecipava.
– A teatro si sta bene, d’inverno, a Parigi; una bella première vale il viaggio.
Non traspariva più l’intenzione di sminuire il trionfo di Annetta e parlava più serio, rivolto ad Alfonso, forse per ringraziarlo della risata.
– Assisteremo alla première dell’Odette – gridò con gioia Francesca.
La dimane avrebbero telegrafato per farsi prenotare ai posti.
Macario si rivolse ad Alfonso chiedendogli se era impiegato da suo zio e da quanto tempo lo fosse. Avutone risposta, gli raccontò che sulle scale lo zio l’aveva prevenuto che troverebbe presso Annetta un suo impiegato, corrispondente in parecchie lingue. Alfonso rispose a monosillabi. Alla comunicazione delle lodi di Maller s’inchinò sorpreso e le attribuì a un malinteso. Eppure Maller doveva aver parlato proprio di lui. Macario sapeva ch’egli veniva dal villaggio e gli chiese se soffrisse di nostalgia.
– Alquanto, – rispose Alfonso.
Volle completare la parola secca con l’espressione del volto e vi riuscì.
– Passerà, vedrà! – gli disse Macario; – ci si abitua a tutto a questo mondo; di abitare in una città poi, venendo da un villaggio, molto facilmente, credo.
Annetta si divertiva poco a quel discorso e senza riguardo lo interruppe. Al suono della sua voce, Alfonso alzò il capo credendo che anch’essa volesse fargli qualche domanda e subito disilluso cercò di mascherare il motivo del suo movimento con l’aspetto di un’attenzione intensa.
– Sai che