A questo punto chiesi a Roberta di avvicinare il palmare all'orecchio e le riferii quanto era emerso dall'interrogatorio del padre di Thomas. Roberta annuì e si rivolse di nuovo alla ragazza.
«Va bene, Samantha. Mi stanno informando che il Signor Giorgio sta vuotando il sacco su quanto è successo tra voi due ieri sera. Se ci sarà il sospetto che abbia abusato di te, dovrò chiamare l'assistente sociale e farti sottoporre a visita medica per appurare se il tuo corpo è stato violato. Una visita così di solito non è piacevole per una ragazzina come te. Poi dovremmo perquisire la tua stanza per vedere se, oltre il tabacco, fumi anche qualcos'altro. Se vuoi evitare tutto ciò, dicci quello che sai.»
Samantha si fece un'altra sigaretta, per prendere tempo, e l'accese. Poi, con aria rassegnata, parlò.
«E va bene, stronza poliziotta impicciona. Non è successo niente tra me e Giorgio. A me piace provocare e mi andava così. Credo di sapere dove si sia andato a rifugiare Thomas. Giù al porto, tra lo scalo commerciale e il porticciolo turistico, ci sono delle capanne di pescatori, inutilizzate in questo periodo. Ci siamo andati a volte a fare l'amore, credo che lo troverete in una di quelle capanne.»
Diedi immediate istruzioni a Roberta.
«Conosco bene il porto, di capanne di quel genere ce ne sono a centinaia, e Thomas può essere in una qualsiasi. Dobbiamo essere veloci a trovarlo. Se il ragazzo è sensibile potrebbe tentare il suicidio. Passa dalla sua abitazione e prendi un indumento che Thomas abbia indossato e non sia stato lavato. Manda qualcuno qui a casa mia a prendere Furia e fa’ in modo che fiuti l'indumento. Ritroverete di certo il ragazzo.»
Furia svolse egregiamente il suo compito. Quando i colleghi fecero irruzione nel capanno dalla porta sbarrata su cui Furia raspava con la zampa, Thomas era già sopra uno sgabello con una corda intorno al collo. Quando sentì sfondare la porta, il ragazzo saltò rimanendo appeso alla corda, ma Roberta e Gaetano furono veloci a soccorrerlo e il tentato suicidio non ebbe conseguenze tragiche. Il ragazzo fu riportato in Questura, dove i suoi genitori lo attendevano. Visto che dal mio PC vedevo tutti, colleghi e famiglia Vindici, riuniti davanti alla webcam, non potei fare a meno di fare la paternale attraverso lo schermo del computer.
«Signori, per questa volta è andata bene e ne siamo tutti contenti. Ma vi prego, risolvete i vostri problemi in famiglia. Mi sento di dirvelo con il cuore, come futura mamma. Tu, Thomas, non meriti quella ragazza, quindi o lei cambia carattere o tu cambi fidanzata.»
Il ragazzo annuì, indicando che aveva capito.
«E voi, signor Giorgio e signora Elisabetta, non dovete sentirvi in dovere di stare insieme sotto lo stesso tetto solo per salvare una facciata dietro la quale non c'è nulla. Meglio essere separati e sereni che insieme ma in conflitto. Un figlio è molto più tranquillo sapendo che i propri genitori vivono ognuno una vita autonoma, che non dover essere testimoni di strane situazioni che si verificano in casa. Insomma, o vi volete bene e vivete la vostra vita coniugale, oppure pensate da subito alla separazione e a un eventuale divorzio.»
Non ho mai saputo, e con tutta sincerità neanche mi interessa, come fossero andate a finire le relazioni tra Thomas e Samantha e tra Giorgio ed Elisabetta. L'importante per me era aver visto la mia squadra all'opera e aver appurato che potevo dormire sonni tranquilli e cominciare a pensare esclusivamente alla mia maternità.
Il ventuno Marzo diedi alla luce una splendida bambina: Aurora.
1 LA FONDAZIONE DI AESIS
297 A.C.
L'uomo che stava arando i fertili campi sulla parte declive della collina esposta a oriente non sapeva cosa fosse il ferro, ma neanche il bronzo. L'aratro era di selce ed era trainato da una coppia di docili uri, dal mantello bruno e le corna enormi, e bisognava esercitare molta forza su di esso per farlo affondare nel terreno in maniera efficiente. Kakin aveva ereditato dal padre, appartenente all’etnia dei Galli Senoni, muscoli possenti, che sembravano scolpiti tanto erano in rilievo nello sforzo del lavoro nei campi. Dalla madre aveva invece ereditato i lineamenti delicati del viso, più tipici delle popolazioni che vivevano al di là dell'Appennino, gli Umbri, ma soprattutto gli Etruschi.
Aveva già venticinque anni, ne avrebbe vissuti al massimo altri dieci, forse quindici, ma non aveva ancora trovato una donna adatta a lui. Proprio a causa della sua discendenza mista, sia le donne di origine gallica sia quelle di origine umbra temevano ritorsioni da parte delle loro famiglie, qualora si fossero accoppiate con quel bel giovane che abitava sulla collina. Del resto anche lui ci teneva alla sua indipendenza e non si sarebbe mai mescolato con i nuovi arrivati, i Romani, che avevano attraversato il fiume Sentino ed erano scesi lungo la vallata dell'Esino per iniziare a fondare l'accampamento da cui avrebbero sferrato l'assalto ai Galli Senoni. In quella limpida giornata di inizio autunno, mentre preparava i propri campi a ricevere i semi del grano, guardava l'accampamento dei Romani prendere forma nella collina opposta, al di là della quale, più a valle, scorreva il fiume. Accampamento che, nel giro di pochi giorni, aveva assunto la conformazione tipica. Sotto la guida di due consoli, erano state tracciate le due strade principali, che si incrociavano ad angolo retto tra loro nella parte più alta della collina, il Cardo Massimo e il Decumano Massimo. Girando lo sguardo alla sua destra, l'uomo vedeva le sagome delle montagne appenniniche stagliarsi evidenti contro il cielo azzurro. Riconosceva il monte più alto, dalla forma familiare, per essersi recato diverse volte alle sue pendici, affrontando due giornate di duro cammino, al fine di procurarsi un ottimo alimento che alcuni suoi lontani parenti Umbri ricavavano dal latte delle pecore che allevavano nei verdi pascoli montani. La madre e il padre gli avevano insegnato la strada quando era ancora un bambino di poco più di dieci anni. L'ultima volta che vi era stato, i suoi cugini gli avevano parlato dei Romani, che avevano fondato un importante insediamento al di là di quelle montagne, sulla riva di un fiume che avevano dedicato a un loro Dio, Giano. I Romani avevano armi in bronzo, ma anche in un altro metallo, fino a quel momento quasi sconosciuto nella penisola italica, che li rendeva invincibili anche davanti a un'incredibile superiorità numerica dei nemici. Proprio per l'importante presenza di quel metallo nelle zone limitrofe al fiume dedicato al Dio Giano, che era poi il Dio della guerra, quella vallata in mezzo alle montagne era diventata un'importante fucina di fabbricazione delle armi in ferro da parte dei fabbri romani. Così l'insediamento aveva preso il nome di Faber Janus. Sanniti, Umbri ed Etruschi si erano coalizzati per cercare di arginare l'avanzata dei romani, che avevano ormai conquistato l'intero Lazio e cercavano di estendere la loro supremazia ad altre regioni della penisola.
«Combatteremo a fianco di Gellio Ignazio, il duce sannita», dissero a Kakin i suoi cugini pastori. «Abbiamo forze almeno tre volte superiori a quelle dei Romani. Non permetteremo la loro avanzata oltre il fiume Sentino.»
«Fate attenzione! I Romani hanno armi in grado di sconfiggere anche eserciti molto potenti. Le vostre spade si spezzeranno sotto i colpi delle loro, fatte di un metallo che fa scintille quando colpisce la roccia, e rimarranno solo cadaveri sotto i loro colpi.»
Quando,