«Ah, per come te le tiri dietro tu, non credo che tarderai molto a chiamarmi!»
Mi fermai a cena da loro e, tra una battuta e l'altra, un bicchiere di vino rosso, una grappa e un punch al mandarino, risalii in auto con un tasso alcolemico superiore al consentito, ma felice di aver passato una serata tra veri amici.
Decisi di ritornare nelle Marche non in aereo, ma affrontando il lungo viaggio con la mia auto, così anche Furia avrebbe viaggiato con me.
Autunno/inverno 2009/2010
VERONICA…
L’autunno è ormai avanzato, anche se la temperatura è anc ora gradevole. Le giornate si sono accorciate e già alle 20,30 è notte fonda. La ragazza, esile anche se piuttosto alta, dai capelli biondi corti, tagliati a maschietto, avanza lentamente, claudicante, aiutandosi con una stampella. Nella mano libera dalla stampella, un sacchettino di carta contenente la sua frugale cena. Raggiunge la tettoia della fermata dell’autobus, all’inizio di Viale Trieste e si siede a fatica sulla panchina. Si guarda intorno per assicurarsi che non ci sia alcun malintenzionato in circolazione. L’unico passante è il veterinario che continua ad abitare in quel quartiere, forse perché ha casa e studio lì e, al contrario della maggior parte delle famiglie italiane non ha ceduto alla tentazione di trasferirsi dall’altra parte della città. Fortunatamente una presenza rassicurante, che a quell’ora fa fare la passeggiata serale al suo simpatico cagnolino bianco. La ragazza consuma il suo panino in pochi morsi, poi cerca il pacchetto delle sigarette, ma si accorge che quello che ha in tasca è ormai vuoto. Leonardo Albini si materializza dall’oscurità come solo lui sa fare, come fuoriuscisse all’improvviso da un mantello d’invisibilità. I suoi movimenti non riescono a sfuggire solamente ad un’altra persona, la Dottoressa Zanardi, la Commissario del Distretto di Polizia, che immancabilmente è sul marciapiede dell’altro lato della strada, appoggiata con le spalle al muro mentre finge di giocherellare con le chiavi della sua auto. Leonardo si siede nella panchina accanto alla ragazza e le depone sulle ginocchia delle cartine e del tabacco. Lei si fa la sua sigaretta e se l’accende.
«Sei sicura di voler sapere? Credimi, la vendetta non paga.»
«Ma lascia in bocca un buon sapore, come questo tabacco.»
Leonardo scrive un nome e un indirizzo su una cartina, lasciandola in mano alla ragazza.
«È una persona in vista. Sei sicura che la targa fosse quella?»
«Ce l’ho stampata nella mente. Mi ha investito lì, su quelle strisce pedonali, ed è scappato via. Ma prima di sprofondare nel buio ho letto bene quella targa.»
«E perché non l’hai riferito alla polizia?»
«L’ho fatto, eccome, dopo che mi sono risvegliata dal coma. Hanno controllato e mi hanno detto che forse avevo visto o ricordavo male, sulla carrozzeria non c’era alcun segno relativo all’incidente. E certo, nel frattempo il tipo avrebbe avuto tutto il tempo di far ripulire l’auto! E poi ormai della polizia non mi fido più da tempo.»
Solo un leggero accento tradisce l’origine slava della ragazza, di nome Anna. Più di sedici anni fa era giunta dalla Serbia insieme ai suoi genitori, era una bimba di poco più di 4 anni. Suo padre, per sbarcare il lunario, aveva subito indotto la moglie alla prostituzione. La donna era giovane e attraente e il quartiere si prestava bene a quel tipo di “business”. Ma una sera il papà di Anna, ubriaco fradicio, cominciò ad accusare sua moglie di non mettere giù tutti gli introiti per la famiglia ma di tenersi qualcosa per le sue civetterie, per i vestiti, per le scarpe, per le calze. La lite finì con una coltellata. Anna vide il padre scappare, per non fare mai più ritorno, mentre la madre giaceva sul pavimento in preda a un’abbondante emorragia. La bambina sapeva digitare i numeri di emergenza sul cellulare. Riuscì a comporre il 118 e far giungere i soccorsi in tempo. Ma la polizia non rintracciò mai il padre, che probabilmente era riuscito a ritornare al suo paese d’origine. La sua mamma tirò avanti a malapena, facendo lavoretti improvvisati, come donna delle pulizie o badante per gli anziani, senza più vendere il suo corpo, ma guadagnando molto meno. Anna aveva 14 anni quando la sua mamma, stanca della vita, fece l’insano gesto. Scese in strada avanti casa, si versò della benzina addosso e si diede fuoco. Una fine orribile, di cui fortunatamente Anna non fu testimone diretta. Tornando da scuola, vide una specie di fantoccio annerito sul marciapiede, come se qualcuno avesse bruciato una grossa bambola, e fece fatica a capire che quello era il corpo della sua povera mamma. Un capannello di curiosi intorno a quel tizzone ancora fumante, ma nessuno che avesse preso il coraggio di cercare di soccorrerla. E il tutto era avvenuto in pieno giorno.
Anna fu affidata a una casa famiglia, ma se ne scappò subito, andandosene a vivere per strada e iniziando a fare lo stesso lavoro che aveva visto fare alla sua mamma quando lei era piccina, con il risultato di guadagnare quel poco per poter mangiare. Spesso, quando i suoi “clienti” vedevano che era poco più che una bambina, o se la davano a gambe levate per paura di essere accusati di pedofilia, o la ricompensavano al massimo con 20 Euro, tanto era una ragazzina, le bastava poco per vivere, giusto quanto bastava per comprarsi da mangiare.
«Vai da un avvocato, portagli quel nome e ci penserà lui a farti risarcire», le consiglia Leonardo.
La ragazza scuote la testa.
«Non ho soldi da dare a un avvocato. Quel bastardo la deve pagare e farò tutto da sola, stanne certo. Questa gamba non ritornerà mai più come prima. Il femore è rimasto stritolato sotto le ruote di quel SUV enorme. Per quanto i medici si siano dati da fare, la gamba è rimasta diversi centimetri più corta dell’altra, e in più mi continua a fare un male boia. Proprio nel momento in cui ero riuscita a dare una svolta alla mia vita. Avevo superato le selezioni e sarei stata presa come modella. Avevo un lavoro e una carriera avanti a me, e ora nessuno più mi chiamerà per una sfilata di moda o per uno spot pubblicitario, dovrò ritornare a battere il marciapiede per sopravvivere.»
Leonardo, senza ribattere ulteriormente, lascia alla ragazza un’altra cartina e un po’ di tabacco sufficiente a farsi un’altra sigaretta e si allontana. Attraversa la strada e passa vicino a Veronica, la poliziotta che lo sta tenendo d’occhio.
«Non è che non si noti che tu mi stia alle costole. Quando la capirai che sono un tipo pulito? Dovrei portarti a letto per fartelo capire. Staresti bene con me e mi cercheresti per altri motivi.»
«Evita di fare il galletto. Piuttosto, ti ho visto chiaramente passare la “dose” a quella ragazza. Ti sei dato allo spaccio, ora?»
«Te l’ho detto, sono pulito», risponde Leonardo sollevando le braccia. «Puoi perquisirmi se vuoi, se fossi uno spacciatore avrei altre dosi addosso, non è così, commissario?»
Veronica lo tasta ben bene e riesce a tirargli fuori dalle tasche, oltre il portafoglio, il tabacco, le cartine, l’accendino e un pacchetto di Marlboro.
«Come diavolo fate a farvi le sigarette con questa robaccia? Mah!» La donna sfila una Marlboro dal pacchetto e se la accende, poi restituisce il tutto all’uomo. «Tanto prima o poi ti becco con le mani nel sacco, e ti faccio fare una bella vacanza in un’amena frazione di Ancona che si chiama Montacuto. Al fresco, in una residenza con le sbarre alle finestre e circondata da un’altissima recinzione.»
«Credo che farò prima io a portarti in una camera da letto e far l’amore con te. Sei già cotta a puntino», replica Leonardo, confezionandosi abilmente una sigaretta con il tabacco e accendendola sotto lo sguardo esterrefatto di Veronica. Ognuno dei due se ne va per la sua strada, mentre Anna rimane ancora seduta a lungo sotto la tettoia della fermata del bus. A un certo punto si alza e, passo dopo passo, con la calma che richiede la sua incerta andatura, raggiunge l’indirizzo fornitole da Leonardo. Studia la villetta, studia i suoi occupanti e già, nella sua mente, si delineano le azioni e i tempi della sua vendetta.
Il giorno dopo, Anna è già pronta all’azione. Ha confezionato la Molotov seguendo alla lettera le istruzioni: funzionerà. L’adrenalina che circola nel sangue è a livelli talmente alti da farle dimenticare qualsiasi dolore. Sono le tre di notte e non c’è anima viva in circolazione. Abbandona la