Almice si sentì sopraffatto, aveva appena perso tutti i legami con la sua famiglia. Non si rese conto del tempo trascorso fino a quando una delle guardie non lo spinse giù dalle scale. Il giovane uscì dalle sue fantasticherie e capì di avere già un proprietario. La guardia lo introdusse nel negozio in cui erano precedentemente entrati con l'altro ragazzo. I due si guardarono spaventati senza sapere cosa gli riservasse il destino; apparentemente, li avevano venduti allo stesso padrone. Un uomo, che Almice non aveva notato prima, si alzò per salutare altri quattro che entrarono nel negozio, parlarono per un momento e uno di loro si avvicinò ai ragazzi, esaminandoli attentamente. Almice lo riconobbe come uno di quelli che erano stati nella tenuta del mercante il giorno prima, aveva una carnagione scura, naso aquilino e capelli neri, circa venticinque anni e uno sguardo gentile. Parlarono di nuovo e quell'uomo tirò fuori dalla veste una borsa di cuio e pagò con una manciata di monete il proprietario del negozio.
Con un sorriso rassicurante, si rivolse a loro, parlandogli in quella lingua sconosciuta, e due colpi di bastone colpirono il dorso dei giovani, indicando che era passata l'ora della gentilezza e che era il momento di mettersi in marcia. Almice si stava stancando dei sorrisi amichevoli e dei colpi sulla schiena.
L'uomo si diresse verso l'interno della città, entrando attraverso la porta sud della piccola muraglia. Gli altri tre lo seguivano, spingendo e deridendo Almice e l'altro ragazzo. La città era una rete complicata e caotica di strade che si snodavano, scendevano o si arrampicavano senza nessun ordine. Attraversarono quartieri densamente popolati, i cui abitanti non prestarono quasi attenzione al piccolo gruppo. I ragazzi camminavano con le catene sulle caviglie, il che rallentava la marcia. Le ferite alle caviglie di Almice sanguinarono di nuovo. Attraversarono strade puzzolenti, in alcune tratti inondate di feci e urina, emanando un forte odore che il ragazzo considerava già come abituale di qualsiasi grande città. Entrambi i ragazzi erano disorientati, le strade a zig-zag avevano cancellato il loro senso dell'orientamento. Rimasero sorpresi quando dietro un angolo apparve il mare davanti a loro. Il vicolo terminava in una stretta apertura del muro, che conduceva a un lungo viale che costeggiava la costa. Da lì proseguirono verso nord. In lontananza era perfettamente visibile quella che una volta era la città originaria di Tiro, e che grazie al grande Alessandro restò per sempre legata al continente.
La lunga strada, in realtà una stretta striscia di terra tra il mare e il muro, era piena di gente che lavorava per la pesca. Almice riconobbe molti attrezzi simili a quelli usati dal padre e dagli altri uomini del villaggio. I pescatori scuriti dal sole sistemavano le reti o preparavano il pesce per portarlo a salare nelle terre dell'interno. Alcune donne e bambini aiutavano in questo lavoro. Le barche da pesca erano in qualche modo diverse, presentavano forme più allungate nello scafo e per lo più non avevano occhi o manifestazioni divine a prua, anche se alcune a poppa mostravano una figura equina intagliata. I bassi edifici costruiti tra la strada e il muro erano molto fragili e piccoli a vedersi. Almice pensava che molti di essi all'interno ospitassero intere famiglie come la sua. Ricordò sua madre che preparava da mangiare vicino alla finestra di casa.
La strada continuava verso nord. Mentre si avvicinavano alla penisola che un tempo era la grande e inespugnabile Tiro, le piccole case lasciavano il posto a magazzini sempre più grandi. La flotta di navi ormeggiate sul fondo non era più formata da pescherecci; erano per lo più navi mercantili e qualche nave da guerra, probabilmente della stessa città.
L'uomo si voltò di nuovo verso il muro, in quel punto un po' più lontano dalla costa, ed entrarono attraverso un'altra piccola porta, zigzagando per alcune strade fino a quando non finirono in una piazza piena di mercanti che esponevano i loro oggetti sul terreno in vista di possibili acquirenti. Tessitori, allevatori, orticoltori, scribi, indovini, guaritori e venditori di ciondoli; tutto ciò di cui si poteva aver bisogno era sicuramente in quella piazza. La attraversarono nel centro ed entrarono in un'altra strada, senza uscita, che terminava in un piccolo cortile preceduto da un grande arco. Si diressero verso una porta sulla destra. Un servitore salutò l'uomo e aprì loro la porta. Entrarono in un altro cortile interno, che sembrava più un giardino che il patio interno di una casa. Alte palme indicavano spudoratamente il cielo mentre aranci arrotondati punteggiavano il cortile, circondati da siepi basse e spesse che formavano una struttura geometrica attorno agli alberi. Il piccolo gruppo si fermò all'ombra delle palme.
In mezzo al patio, un vecchio di circa quarant'anni impartiva istruzioni ad un giardiniere mentre osservava attentamente le foglie di un arancio. Il gruppo aspettò all'ombra, apparentemente in attesa di quell'uomo. Restarono in attesa per un po' mentre il vecchio continuava ad ispezionare le foglie degli aranci. I due giovani, in piedi, sorvegliati dai loro accompagnatori, di tanto in tanto si guardavano di sottecchi. Almice aveva notato che il suo compagno di sventura aveva pianto quando lo separarono da sua madre ed era rimasto a testa bassa per tutto il tragitto. Ora entrambi guardavano nervosamente il recinto in cui si trovavano. Il vecchio si avvicinò al piccolo gruppo e diede loro un'occhiata mentre si rivolgeva all'uomo che li aveva acquistati. Cominciarono a parlare in quella lingua, i loro sguardi saltavano da un ragazzo all'altro. Il vecchio si rivolse quindi a loro parlando in greco.
«Buongiorno, sono Abta, un commerciante di Tiro e a partire da oggi il vostro nuovo proprietario.» Almice fu sorpreso che quest'uomo si rivolgesse loro in greco. «Vi ho acquisito perché ho bisogno di mani forti e giovani per i miei affari nel porto e ho anche bisogno che le persone del porto parlino greco. Voi siete greci, vero?
«Sì», confermò Almice, mentre il compagno annuiva.
«Dovete sapere che ho l'abitudine di chiamare i miei schiavi per il luogo da dove provengono. Ho capito che uno di voi è di Naxos e l'altro di Samos. Quale dei due viene da Naxos?»
«Io» balbettò l'altro giovane, a capo chino.
«Bene, allora d'ora in poi ti chiameremo Naxos e tu, Samos» concluse guardando Almice. «Ora Aylos» rivolgendosi all'uomo che li aveva acquistati «vi spiegherà come funziona l'ordine a casa mia. Dovete tenere presente che sono molto severo con gli schiavi. Al minimo problema, vi venderò o vi farò giustiziare; tuttavia, se mi servite come dovrebbe essere, può darsi che alla fine dei vostri giorni vi conceda la libertà di morire come uomini liberi. Dipende solo da voi. Se avete qualche abilità o se possedete qualche virtù speciale, voglio saperlo, qualunque cosa crediate sia importante, potete riferirla ad Aylos e lui me lo farà sapere. Se non vi comportate come ci aspettiamo, verrete puniti. Se, al contrario, supererete le aspettative che riponiamo in voi, vivrete molto meglio di quanto avreste potuto vivere nei vostri luoghi di origine, non vi mancheranno le donne e se ciò che volete con gli anni è avere una famiglia vi sarà permesso, sempre che sia con altri schiavi della mia proprietà.»
I ragazzi rimasero zitti, senza sapere cosa rispondere, sebbene il loro interlocutore non si aspettasse di ricevere alcuna risposta da parte loro. Abta si rivolse ad Aylos in quella strana lingua e poi si perse nel giardino, contemplando di nuovo le foglie verdi e lanceolate dei suoi preziosi aranci.
Quando quell'uomo la portò giù dalla piattaforma, Janira non capiva cosa stesse succedendo. Tentò di opporre resistenza; ma lui la afferrò al volo e, una volta all'interno del negozio, una donna più anziana, di oltre trent'anni, le fece togliere le catene dai piedi e le mise una catena più sottile e leggera attorno al collo. Lei cercò di spiegare a quella donna che si erano sbagliati, che i suoi fratelli erano ancora sulla piattaforma, ma tutti parlavano quella strana lingua che era impossibile da capire.
La donna lasciò il negozio nervosamente, trascinando Janira con sé. Era raggiante per il suo nuovo acquisto. C'erano voluti molto tempo e coccole per convincere suo marito in modo che potessero comprare una schiava che la sollevasse dalla fatica quotidiana del suo lavoro. Le amiche le avevano detto che non avrebbe mai avuto la possibilità di acquistare una schiava per aiutare lei e le sue due figlie nella taverna. Avevano bisogno di altre mani senza pagare alcuno stipendio, la soluzione più pratica era comprare una schiava a buon mercato. Le sarebbe piaciuto pagare lo stesso per qualcuna delle schiave più grandi, di circa dieci anni; ma perse la vendita e dovette accontentarsi di quella piccola. Quella ragazza con il tempo le sarebbe stata più utile e poteva anche modellarla a suo piacimento. D'altra parte, non sarebbe stato un problema per suo marito, la sua più grande paura era che potesse esserle infedele con chiunque, compresa una schiava.
Janira