Lo stato della tradizione e i luoghi letterari della ricezione consentono di tracciare una possibile storia dell’opera di Agatone: conosciuta ancora nella seconda metà del IV sec. a.C. da Aristotele, che ne fu un estimatore, dovette andare perduta nel suo complesso prima dell’inizio dell’attività degli Alessandrini, o eventualmente fu scartata proprio da questi. L’ipotesi si basa sul silenzio degli scolî alle Tesmoforiazuse (testt. 4. 21. 25. 27) trasmessi da R e risalenti agli studi dei filologi di Alessandria: ci si aspetterebbe, dato il carattere paratragico della commedia, che la presenza in scena di Agatone comportasse anche una ripetuta citazione della sua poesia in chiave comica; tuttavia, gli scolî non segnalano versi di paternità agatonea. Il fatto si può spiegare ammettendo che già gli Alessandrini non leggessero le tragedie di Agatone. Il suo nome non compare nemmeno nei cataloghi antichi dei tragici (TrGF I – Katalogen). La scomparsa dell’opera del poeta – così come in generale la perdita di un’ingente parte della produzione tragica ateniese – è presumibilmente dovuta al processo di canonizzazione della triade tragica composta da Eschilo, Sofocle ed Euripide, già evidente nelle Rane aristofanee del 405 a.C. Nel IV sec. a.C. si assiste a una sorta di sacralizzazione pubblica dei tre poeti e dei loro drammi: dal 386 a.C. fu possibile riproporre la rappresentazione delle opere più antiche, e negli anni ’30 dello stesso secolo furono redatti gli esemplari ufficiali contenenti i testi tragici della triade.1 Gli altri poeti tragici e le loro opere caddero così nell’oblio, e Agatone non fece eccezione. Ma prima del naufragio, le sue tragedie ricche di massime e di frasi esemplari – soprattutto in campo morale e retorico – fecero in tempo a cedere sentenze a raccolte che sarebbero invece sopravvissute attraverso i canali della scuola e degli studi retorico–linguistici.
3. Temi e motivi
Lo spettro di temi e motivi associati al nome di Agatone è variegato. La trattazione del tradizionale materiale mitico è attestata dai titoli Erope (fr. 1), Alcmeone (fr. 2), Tieste (fr. 3), Misi (fr. 3a), Telefo (fr. 4). Anche il fr. 17, di cui non si conosce il titolo di appartenenza, ma che si riferisce alle vicende di Pilade, riporta alla saga degli Atridi.1 Il fr. [10] sarebbe da ricondurre eventualmente a un’opera con protagonista Achille, ma è con tutta probabilità spurio. I frammenti sono comunque troppo scarni per avere un’idea del modo in cui le vicende tradizionali fossero trattate. Sappiamo però da Aristotele (Poet. 18, 1456a 10–18 = test. 20) che Agatone ‘fallì’ soltanto nel portare in scena un dramma (non siamo in grado d’identificare quale) di carattere epico, un’opera in cui probabilmente s’intrecciavano diversi fili narrativi e la cui complessità non fu premiata dal pubblico. Ma la produzione di Agatone non restò limitata al materiale tradizionale: Aristotele cita un’opera dal titolo Antheus (meno probabilmente Anthos) come esempio di tragedia dove sia i fatti che i nomi sono inventati (Poet. 9, 1451b 19–23 = fr. 2a). Il passo aristotelico lascia intendere che Agatone non fu l’unico, forse neanche il primo, a comporre una tragedia con una trama inventata dal poeta stesso, ma evidentemente per Aristotele fu lui a offrire l’esemplare più riuscito di questa tipologia.
Ad Agatone sempre Aristotele riconduce una fondamentale innovazione tematica e al tempo stesso strutturale della tragedia: l’introduzione di ‘intermezzi’ (ἐμβόλιμα), di contenuto avulso rispetto alla trama drammatica, al posto dei canti corali a essa inerenti, come questi erano stati concepiti dai poeti fino alla fine del V sec. a.C. L’innovazione ebbe successo e fu adottata dai poeti tragici successivi (Poet. 18, 1456a 25–32 = test. 26).
Per quanto riguarda il contenuto dei frammenti, essi sono frutto di una selezione operata seguendo determinati criteri: vi si riconoscono motivi tipici della discussione sofistica di V sec. a.C., come il rapporto tra abilità umane e casualità/imponderabilità della sorte (frr. 6. 8. 9. 20. 27), il valore del lavoro e della fatica (frr. 11. 21. 34 [?]), il dibattito retorico (frr. 12. 13. 16a. 18), la forza della ragione in contrasto con la violenza (fr. 14, dove si aggiunge anche una riflessione sulla donna; fr. 27). Altri frammenti s’inseriscono nella tradizione delle sentenze morali: il tempo che passa e il suo potere (frr. 5. 19 [?]), il suicidio (fr. 7), la vergogna (fr. 22), l’invidia (frr. 23. 24. 25), l’intemperanza dei giovani (fr. 26), l’obbedienza dei figli al padre (fr. 28), l’amore (frr. 29. 30 [?]). I frr. 3. 17 rivelano inoltre un interesse per l’eziologia, mentre l’indovinello che costituisce il fr. 4 testimonia la ripresa in chiave chiaramente emulativa e al tempo stesso concorrenziale di motivi già presenti nei tragici precedenti (in questo caso la cosiddetta Θησέως ἐπιγραφή).
La riflessione metapoetica a proposito della composizione poetica e della funzione che natura (φύσις) e imitazione (μίμησις) vi ricoprono è attribuita ad Agatone soltanto dalle Tesmoforiazuse di Aristofane, e sembra in realtà riflettere un tema caro al commediografo stesso (test. 27): non abbiamo elementi per accettare o rifiutare un’adesione del poeta tragico a tale prospettiva, né sappiamo quale eventuale posto essa potesse trovare all’interno della sua produzione.
4. Lingua e stile
La lingua di Agatone è un attico simile a quello di Euripide. Caratteristiche linguistiche come la preferenza per verbi semplici al posto dei corrispettivi composti (frr. 7. 23), il polimorfismo grammaticale (dativi brevi ai frr. 18 [ma il testo è corrotto]. 29; dativi lunghi ai frr. 9. 13. 24; desinenza di prima persona plurale in –μεθα ai frr. 11. 20; desinenza di prima persona plurale in –μεσθα al fr. 3) e l’uso di aggettivi composti (μεσόμφαλος al fr. 4; φωσφόρος al fr. 15; φιλόπονος al fr. 21) sono riconducibili in generale alla dizione poetica, ma pochi sono i termini di uso unicamente o prevalentemente poetico: κούριμος al fr. 3, μεσόμφαλος e ζυγόω al fr. 4, βροτός ai frr. 7. 9 (peraltro alternato alla forma più comune