Tuttavia, questo libro non vuole limitarsi solo alla descrizione di ciò che rende un genio matematico diverso dagli altri, ma va un po’ oltre, avvicinandosi a questo argomento dal punto di vista delle neuroscienze, cioè scoprendo come funziona il cervello quando deve affrontare un compito matematico.
Nonostante lo studio del cervello non sia recente, negli ultimi anni si è assistito ad un grande accumulo di informazioni su questo organo e sul suo funzionamento, grazie al progresso della tecnica, soprattutto di tecniche non invasive, che ci permettono di verificare come funziona il cervello mentre alcune attività vengono svolte, come spiegato in questo libro, risolvendo compiti matematici.
Un piccolo paragrafo per chiarire la distinzione tra tecniche invasive e non invasive, le prime si riferiscono a quelle tecniche che richiedono una manipolazione diretta del cervello e che di solito comportano operazioni chirurgiche o impianti neurali, tra le altre cose. Le tecniche non invasive, invece, sono quelle che ci permettono di conoscere il cervello e il suo funzionamento dall’esterno, grazie a processi di inferenza, basati proprio su calcoli matematici.
Pertanto, le tecniche non invasive più utilizzate e conosciute sono quelle relative all’EEG (Elettroencefalogramma), che raccoglie informazioni dal cuoio capelluto e da lì si deduce come funziona il cervello; la TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) che permette di ottenere immagini mediante raggi X; o la RMF (Risonanza Magnetica Funzionale) dove le radiofrequenze e un potente magnete vengono utilizzati per osservare il cervello al lavoro. Tutte queste tecniche utilizzate singolarmente o in combinazione, ci permettono di individuare quali centri neurali si stanno attivando, ciò indica la parte del cervello che sta intervenendo in un determinato compito, e non in un altro.
Questo, insieme ai contributi teorici, permette di capire come funziona il cervello, di fronte ai diversi compiti che la persona affronta, nel caso di questo libro, di fronte ai compiti matematici. Ma la relazione tra neuroscienze e matematica non serve solo a comprendere quali strutture partecipano a un compito matematico o ad un altro. Sono stati apportati importanti contributi matematici per svelare il cervello, come nel caso dell’Alzheimer, una malattia cronica e neurodegenerativa, sapendo che negli ultimi anni sono stati fatti molti progressi in termini di identificazione di biomarcatori, cioè indici che sono presenti quando viene diagnosticata la malattia di Alzheimer e che servono per cercare indizi su come questo progresso sta avvenendo.
L’approccio tradizionale cerca di trovare il fattore più importante in questa progressione, in modo che, una volta identificato, si possa intervenire per fermare le sue conseguenze sul cervello. Fino ad ora, sono stati rilevati una moltitudine di biomarcatori, alcuni legati all’età, poiché l’Alzheimer di solito si manifesta in età molto avanzate; e altri esclusivi dell’Alzheimer, ma che di per sé non spiegano la progressione della malattia, quindi è possibile prevedere matematicamente la progressione dell’Alzheimer?
A questo si è cercato di dare risposta attraverso una ricerca svolta dal Dipartimento di Informatica Biomedica, Università della Tessaglia (Grecia); insieme alla Global Novel Community Education Foundation e Enzymoics (Australia); il Center for Biomedical Research (USA); e la Metabolomics and Enzymology Unit, Fundamental and Applied Biology Group, King Fahd Medical Research Center, King Abdulaziz University, Arabia Saudita(Alexiou, Mantzavinos, Greig, & Kamal, 2017).
In questo studio, i partecipanti stessi non sono stati considerati, poiché si tratta di un approccio matematico basato su statistiche bayesiane, sui diversi biomarcatori che sono attualmente noti per avere un ruolo notevole nella progressione della malattia di Alzheimer. L’idea è di presumere che tutti i biomarcatori finora scoperti riflessi nella letteratura scientifica abbiano il loro ruolo nel progresso dell’Alzheimer, ma con un’importanza diversa, cioè, potrebbero esserci alcuni biomarcatori più rilevanti per l’avanzamento, mentre rispetto ad altri, pur avendo una presenza, il loro ruolo non è così notevole. Per questo, sono state adottate otto possibili situazioni nella malattia di Alzheimer:
- Morbo di Alzheimer nella sua fase prodromica: con sintomi clinici, disturbi della memoria, perdita di volume dell’ippocampo e biomarcatori del liquido cerebrospinale che portano alla patologia del morbo di Alzheimer.
- Morbo di Alzheimer con demenza: dove è interessatala la funzione sociale, con difficoltà nello svolgere complesse attività della vita quotidiana. È uno stato limite tra i cambiamenti della memoria e fattori più cognitivi.
- Tipico Morbo di Alzheimer: con progressiva perdita di memoria, con disturbi cognitivi e modificazioni neuropsichiatriche.
- Morbo di Alzheimer atipico: con afasia progressiva, afasia logopedica, morfologia frontale della malattia di Alzheimer e atrofia corticale nella sezione posteriore; dove spiccano i biomarcatori dell’amiloidosi nel cervello o nel liquido cerebrospinale.
- Morbo di Alzheimer misto: la cui incidenza corrisponde ai requisiti diagnostici del morbo di Alzheimer insieme ad altri disturbi come la malattia cerebrovascolare o la malattia dei corpi di Lewy.
- Stadi preclinici della malattia di Alzheimer: dove vi è evidenza di amiloidosi cerebrale in vivo, o individui le cui famiglie hanno la mutazione della malattia di Alzheimer autosomica dominante.
- Alzheimer patologico: con presenza di placche senili e grovigli neurofibrillari, con perdita di sinapsi neuronali e difetti amiloidi nella corteccia vascolare cerebrale.
- Compromissione cognitiva lieve, dove non esiste un carattere biologico clinico, sebbene vi sia una sintomatologia misurabile. Queste persone possono soffrire di Morbo di Alzheimer, ma non ci sono prove che sia diverso rispetto al normale invecchiamento.
Una volta identificate le diverse modalità di espressione del Morbo di Alzheimer, sono stati raccolti tutti i biomarcatori finora conosciuti, nello specifico sono stati analizzati fino a 30 biomarcatori differenti, che includevano la presenza di altri disturbi come i corpi di Lewy, Ipertensione, Diabete o Depressione, tra gli altri. Oltre ad alcuni fattori che sono stati trovati in correlazione con esso, come l’obesità, il processo infiammatorio, il fumo di tabacco…
Per ciascuno di questi 30 biomarcatori è stata stabilita la percentuale della loro presenza nella malattia di Alzheimer ed è stato effettuato un disegno matematico in cui è stato ricercato un valido modello predittivo. I risultati riportano che non esiste un modello unico e valido per tutti i casi, che devono essere distinti in base al tipo di Alzheimer; quindi, la presenza di depressione, obesità o consumo di tabacco spiega fino al 46% della fase promodica e mista della malattia di Alzheimer.
In presenza di alterazioni nelle attività della vita quotidiana, si registra un 99% di pazienti affetti da lieve Deterioramento cognitivo; e oltre il 50% dei malati di Alzheimer ad eccezione di Atipici e Patologici. In caso di alterazioni di Ab, Tau APP, APOE4 e disturbi vascolari, il 100% dei malati sono affetti da Alzheimer ad eccezione di Atipico, Patologico e Deterioramento cognitivo lieve.
Tra i limiti dello studio c’è che nessun test è stato effettuato con i pazienti per corroborarne i risultati, oltre a verificare quanto raccolto nella bibliografia scientifica. Allo stesso modo, la presenza contemporanea di variabili non indica che siano tutte necessarie, né cause, poiché alcune possono essere l’origine di altre, quindi non è un modello praticabile senza ridurre il numero di variabili in esso contenute.
Nonostante ciò, rappresenta un grande passo avanti per avere un’idea globale di biomarcatori, non limitandosi a identificare l’uno o l’altro, come fanno molti studi, cercando di migliorare la diagnosi della malattia, assicurando che possa essere ottenuta il prima possibile per iniziare il trattamento obbligatorio e prevenire l’avanzata dell’Alzheimer, e tutto grazie all’uso di sviluppi matematici.
Sebbene la relazione tra neuroscienze e matematica non si limiti all’applicazione di modelli matematici che aiutano a capire il cervello, ma si parla persino dell’esistenza di aree specializzate in questo tipo di elaborazione. Tuttavia, sebbene si sappia molto sul cervello linguistico e anche il cervello emotivo, il cervello matematico non ha ricevuto la stessa attenzione, almeno per quanto riguarda la conoscenza popolare.
Sicuramente si sente dire che le donne sono