Quasi sussultai alle sue parole ma ero nel ramo da parecchio tempo e sapevo come mantenere il mio volto imperturbabile. Sapevo a cosa si stesse riferendo ma con chi scopasse mio padre non era di nessun interesse per Cochran. Tirai via il mio braccio e mi spazzolai la manica come se stessi scacciando una mosca. Prendendo il portafoglio gettai un pezzo da venti sul tavolo per pagare il gin tonic che avevo ordinato ma non bevuto.
“Abbia una buona giornata, Senatore Cochran,” dissi. Senza degnarlo di una seconda occhiata mi allontanai con noncuranza dal tavolo. Ero sicuro che il vecchio fosse furioso ma non guardai indietro e chiamai un taxi.
“Dove, signore?” chiese il guidatore.
“East End,” gli risposi.
Il conducente mi portò lungo il Potomac, superò gli elaborati memoriali ed entrò nel cuore della città. Rallentò e si fermò vicino alla Casa Bianca per permettere a un gruppo di turisti di attraversare in modo da poter ammirare l’esterno bianco immacolato. Io l’avevo vista innumerevoli volte e, quindi, quelle visioni avevano perso un po’ del loro fascino.
Tuttavia, sentivo sempre che la capitale aveva una forza discreta, una forza che era un costante ricordo del fatto di essere la casa delle persone più potenti della nazione. Con i suoi grandi monumenti, i prati di un verde lussureggiante, i politici e i candidati speranzosi di diventarlo che affollavano i locali e le strade, Washington era orgogliosa di essere la città più maestosa della nazione. Conoscevo la città a memoria. E se ero in grado di apprezzare e capire il suo ritmo, allo stesso tempo lo odiavo. Sì, c’era della bellezza, ma c’era anche una spietatezza di fondo che non poteva essere incontrata da nessuna altra parte. Chiunque doveva capirlo per sopravvivere lì. Chiunque non volesse alla fine diventare un’esca per gli squali.
Quando ci avvicinammo all’East End, diedi istruzioni all’autista affinché accostasse di fronte al mio edificio all’angolo della New Jersey Avenue NW. Pagai la corsa e uscii. Con pochi piccoli passi attraversai il marciapiede, spinsi le porte dai doppi vetri e andai direttamente negli uffici della Quinn & Wilkshire al settimo piano.
Quando si aprirono le porte dell’ascensore, mi apparvero gli interni appena rifatti. Una fontana era posta al centro della sala di attesa, ed emetteva il rilassante suono dell’acqua corrente a tutte le ore della giornata. Tutto era immacolato, compreso il granito nero del bancone della reception e la pelle lucida dei mobili. I pacati tocchi di grigio, crema e bordeaux davano all’agenzia di PR un’aria di fiducia e forza che si adattava bene ai molti clienti che attraversavano le nostre porte. Dai politici alle star del cinema alle importanti figure sportive—lavoravamo duramente per promuovere i nostri clienti e farli apparire di successo, onesti, importanti e il più eccitanti possibile.
Sfortunatamente le persone raramente venivano da noi quando le cose stavano andando bene. I nostri clienti di solito venivano a bussare dopo che le cose si erano messe male. Si andava dall’attrice in ascesa beccata in un video mentre tirava coca, all’atleta che poteva aver festeggiato troppo e aveva preso una multa per guida in stato di ebrezza. Nonostante quello che dicevano le persone sul fatto che non esistesse una cosa come la cattiva stampa, in realtà richiedeva tempo e comunque non era vero. La cattiva stampa non era mai nulla di buono. Il nostro lavoro era quello di allontanarli dalle luci della ribalta negative con una campagna di relazioni pubbliche positive. Lo facevamo e lo facevamo bene.
Quando mi avvicinai al mio ufficio la mia segretaria era lì a salutarmi.
“Buon pomeriggio, Angie,” dissi con un piccolo cenno del capo.
“Salve, signor Quinn. Ehm,” cominciò a dire nervosamente. “L’altro signor Quinn, suo padre, è qui per vederla. È nel suo ufficio.”
Certo che è qui. Quel fottuto Cochran probabilmente lo ha chiamato.
Non dissi, però, queste parole a voce alta. Poteva sapere che non ero felice di sentire che mio padre fosse venuto qui senza annunciarsi ma non c’era alcun bisogno che sapesse cosa fosse successo oggi.
Apparenze. Si tratta tutto di apparenze.
Invece di dire altro, le feci un altro cenno col capo e proseguii verso la porta del mio ufficio. Quando entrai vidi mio padre in piedi vicino alla grande libreria di acero dipinto di nero posta sulla parete sinistra più lontana. Sembrava stesse esaminando attentamente i titoli e questo lo trovai decisamente strano. Non l’avevo mai visto leggere un libro in vita sua nonostante la posizione che copriva all’interno del governo degli Stati Uniti.
Mio padre, Michael Fitzgerald Quinn, senatore dello stato del Maryland, puntava sempre alla perfezione. Emergeva sempre durante i dibattiti pubblici dove non mancava mai di coinvolgere la folla con la meticolosità delle sue parole. Quella precisione si estendeva anche al suo aspetto. Non passavano mai più di due settimane prima che I suoi corti capelli grigi venissero tagliati e il suo volto era sempre accuratamente rasato. Anche il suo abito era sempre impeccabile. Il Maryland, uno stato che normalmente votava democratico, sembrava essere caduto completamente nella trappola di questa finta facciata. Per chiunque lo conoscesse davvero non era altro che un travestimento per nascondere il predatore che si celava sotto la superficie.
“Papà,” dissi, passandogli vicino e prendendo posto dietro la mia scrivania. Mi rifiutai di essere più cortese di quanto meritasse.
“Ha chiamato Robert Cochran,” disse, senza perdere altro tempo sul motivo della sua visita.
“Supponevo che questo fosse il motivo per cui hai abbandonato il tuo piedistallo a Capitol Hill per venire a trovarmi.”
“Perché non te ne stai occupando, Fitzgerald?”
“Perché non voglio farlo,” ribattei realisticamente.
“Dove è Devon? Non è molle come te. Metti lui su questo.”
Non falliva mai. Quell’uomo raramente mi diceva più di due frasi senza lanciarmi una frecciatina. Gli lanciai un’occhiata impaziente mentre contavo mentalmente fino a dieci.
“Devon è ai Caraibi per una meritata vacanza, non che io debba spiegarti dove sia il mio socio. Si è fatto il mazzo e non lo chiamerò qui per questa stronzata e non ci metterò nessun altro membro del mio staff. Sistemare I casini di un viscido politico che non è in grado di tenere il suo uccello nei pantaloni non sarà mai nei programmi del mio studio.”
“Il tuo lavoro è quello di sistemare la pubblicità negativa. Se questo diventerà pubblico, l’intero partito ne soffrirà!”
Sospirai, seccato che mi stesse facendo sprecare il mio tempo e accesi il computer.
“Tu forse puoi esserti fatto l’idea che io sia un faccendiere di Washington, ma che tu ci creda o no, la mia società aderisce a un codice etico,” risposti bruscamente mentre osservano l’icona della piccola mela che si illuminava. Non mi sarei fatto coinvolgere da lui—avevo già dato. Lui sapeva perché non avrei mai preso un cliente come Cochran anche se non l’aveva mai capito o appoggiato perché anche le sue mani erano altrettanto sporche.
“Ah, scordatelo. É comunque ora che Cochran rinunci al suo posto,” concesse. “Ultimamente è finito molto spesso sotto accusa da entrambi i partiti per argomenti diversi. Sicuramente non vogliamo uno scandalo ma almeno ci dà una scusa per cacciarlo.”
Alzai lo sguardo, quasi scioccato per la sua resa così veloce. Mio padre non rinunciava mai senza combattere.
“Quindi tutto a posto?” chiesi con incredulità.
“Perché discuterne? So come la pensi. Sei un debole, nonostante tutti i miei sforzi di renderti più duro. L’unico motivo per cui rifiuti di prendere questo caso è per quello che è accaduto tra me e tua madre.”
Il mio sangue cominciò a ribollire al sentir parlare di mia madre. Il maledetto bastardo non perdeva mai occasione di menzionarla. Lo odiavo ancora per quello che le aveva fatto ma lui amava ancora ricordarmelo a ogni maledetta opportunità.
“Oh, intendi quando l’hai piantata in asso quando si è ammalata?”