La donna guardò avanti e indietro me e Joy.
“il mio…il mio nome è-è Emilia Garcia,” balbettò.
Impaurita. Arrivano qui sempre impaurite.
“É un piacere conoscerla.” Mi sedetti davanti a lei al tavolo. Nel corso degli anni avevo scoperto che risultava meno intimidatorio per i nuovi clienti se mi sedevo lì invece che dietro alla mia scrivania. Sembrava le facesse sentire sullo stesso terreno. Allungai la mano verso di lei perché la stringesse, sperando di metterla più a suo agio. Era fredda e sudata, un chiaro segnale che la donna era sull’orlo di un esaurimento nervoso. “Sono Cadence Riley, e lei è la mia collega Joy Martin.”
Fece un cenno verso Joy, poi cominciò a giocherellare con il bordo della sua camicia rosa
“Io, ecco…io vengo da Richmond, Virginia.”
“É piuttosto lontana da casa,” notai. Se l’espressione ansiosa che aveva sul volto non era già più che sufficiente, sapere che aveva viaggiato per più di due ore con una figlia piccola, senza un appuntamento fissato, diceva lungamente quanto fosse disperata.
“Sì, è vero,” ammise. Poi mi guardò con i suoi occhi marroni scuro terrorizzati, ricordandomi un cervo abbagliato dai fari di un’automobile. “Di nuovo, sono così dispiaciuta di essermi presentata senza appuntamento. Io–Io non so proprio da dove cominciare.”
“Signora Garcia, tutte le persone che entrano attraverso le nostre porte lo fanno per un motivo. Perché non comincia semplicemente dall’inizio?”
Lei guardò nervosamente verso la bambina.
“Oh, ecco. Mia figlia. Non voglio che…” cominciò.
Guardai la bambina seduta sul grembo di sua madre. Non poteva avere più di cinque anni e capii la sua esitazione. Mi alzai dalla sedia e mi inginocchiai davanti alla bambina.
“Come ti chiami?” chiesi dolcemente.
“Mayra,” rispose timidamente.
“Bello, ciao Mayra. Sono molto lieta di conoscerti. Il mio nome è Cadence. Quanti anni hai?” Lei alzò cinque dita.
“No, no. Non ha ancora cinque anni,” la rimproverò sua madre, tirando giù il pollice di Mayra in modo che tenesse sollevate solo quattro dita. “Non compirai cinque anni per qualche altra settimana.”
Sorrisi, ricordando come Kallie si aumentasse sempre l’età di qualche mese.
“Quasi cinque? Wow! Sei già grande allora! Forse, però non sei così grande per colorare, vero?” chiesi. I suoi occhi marroni si spalancarono per l’eccitazione mentre scuoteva la testa. “Beh allora, se la mamma è d’accordo, vorresti andare con la signorina Joy a cercare un libro da colorare e dei pastelli?”
Lei alzò ansiosamente lo sguardo verso sua madre.
“Vai. Ricordati le buone maniere,” le disse Emilia annuendo.
Mayra si illuminò di gioia e saltò dal grembo di Emilia. Joy andò verso di lei e le prese la manina. Una volta che non furono più a portata d’orecchio, tornai al mio posto e allungai la mano sul tavolo per prendere quella di Emilia.
“Signora Garcia,” cominciai.
“Per favore, mi chiami Emilia e mi dia del tu.”
“Emilia, sento che sei nervosa. Non esserlo. Qualunque sia il motivo, siamo qui per aiutarti.”
Lei mi concesse un piccolo sorriso.
“Ho sentito altre persone parlare della sua gentilezza. Per questo motivo sapevo che dovevo venire qui. Dovete aiutarm–mi.” La sua voce si ruppe di nuovo all’ultima parola e questo mi spezzò il cuore. La mia unica speranza era che potessi aiutarla. Qualche volta era troppo tardi.
“Perché non cominci dall’inizio e poi andiamo avanti?”
Lei deglutì e fece un profondo respiro.
“Si tratta del mio fidanzato. Il padre di mia figlia. Lo-lo hanno preso!”
Poi cominciò un racconto che avevo sentito innumerevoli volte. Ogni volta i nomi e i luoghi erano diversi ma la storia era sempre la stessa.
Il fidanzato di Emilia, Andrés Mendez, si era trasferito negli Stati Uniti dall’Ecuador con la sua famiglia quando aveva tre anni. Lui, sua sorella più piccola e i suoi genitori erano tutti immigrati senza documenti—un fatto che Andrés non aveva saputo fino a quando, a diciassette anni, si stava per preparare per andare al college. Aveva bisogno di un numero di previdenza sociale per fare domanda per i prestiti studenteschi. Ed era stato in quel momento che i suoi genitori gli avevano detto la verità sulla sua provenienza.
“Andrés è così intelligente,” disse Emilia con una nota di orgoglio nella voce. “Andò a finire che non ebbe bisogno di avere un prestito. Fu premiato con una borsa di studio per frequentare Harvard.”
“É fantastico!”
“Sì,” concordò lei, ma poi il suo tono tornò di nuovo triste. “Ha fatto domanda per un visto per motivi di studio ed era tutto pronto per andare in Massachusetts. Quell’estate, però, sono rimasta incinta di Mayra. L’ho spinto ad andare comunque, ma Andrés si è rifiutato di lasciarmi. È andato invece a Virginia Tech a studiare ingegneria. I miei genitori erano furiosi ma I suoi neppure capirono a cosa stesse rinunciando. Non avevano mai sentito parlare di Harvard fino a quando Andrés era stato accettato in quella scuola.”
Mi allungai verso la scrivania e presi un blocco per cominciare a prendere degli appunti. Scrissi qualche informazione di base.
Intelligente. Accettato ad Harvard con borsa di studio. Mayra.
“Emilia, sei anche tu senza documenti?”
“No, sono nata qui. Mia madre è nata in El Salvador, e mio padre è nato qui. Lei alla fine è diventata una cittadina naturalizzata anni dopo che si furono sposati.”
“Andrés ha finito il college?”
“Grazie a Dio, sì. Anche se non è stato facile. Mentre lui frequentava io son rimasta a casa. I miei genitori si occupavano di Mayra mentre io lavoravo per pagare le sue rette scolastiche. Andrés di solito prendeva il Metro bus fino al campus, ma qualche volta lo portavo io quando non lavoravo. A quel tempo, a causa del suo status di immigrato, non poteva avere la patente.”
Niente patente. Aiuto dalla famiglia.
Avendo studiato come madre single non ero sicura che avrei potuto farcela senza l’aiuto dei miei genitori. Mi rendevo conto dell’importanza del supporto famigliare più di molte persone.
“Posso immaginare quando debba essere stato duro. Quindi, cosa è successo dopo?”
“Proprio prima che Andrés si laureasse, abbiamo deciso di andare a vivere insieme. Volevamo sposarci prima ma non potevamo permetterci un bel matrimonio solamente con il mio reddito. Andrés doveva trovare un lavoro. Il Dream Act era stato approvato pochi anni prima. Visto che aveva i requisiti, lo incoraggiai a compilare tutte le carte per il DACA. Pensavo fosse una buona idea. Avrebbe significato che poteva avere la patente, far domanda per un lavoro, e non avremmo dovuto più temere qualche possibile deportazione—e io avrei avuto il matrimonio che sognavo. Forse questa parte era egoistica da parte mia. Non so. Mi ci è voluto un po’ di tempo per convincerlo, ma alla fine lo fece. Ora non posso fare a meno di sentire che fosse la cosa sbagliata da fare.”
“Perché?”
“Con tutto il rispetto, lo sai cosa sta succedendo nel mondo. Troppi in questo paese non si interessano a persone come Andrés anche se non capirò mai il perché. È un gran lavoratore—un brav’uomo,” disse amaramente.
“Mi dispiace per quello che sta accadendo nel nostro paese, Emilia. Spero che lei non pensi che tutti la pensino