Mario, commosso, le chinò il capo sul seno, e rimase per lungo tempo immobile e pensieroso.
Finalmente Teresa gli mormorò all'orecchio: — E l'angelo?
— Oh! perdio sì! — gridò Mario balzando in piedi col viso radiante e battendosi una mano sul petto, — c'è ancora!
RITRATTO D'UN'ORDINANZA
Dei capi originali, sotto la vôlta del cielo, ce n'è e posso vantarmi d'averne conosciuto parecchi; ma uno che possa far la coppia con lui, credo che abbia ancora da nascere.
Era sardo, contadino, ventenne, analfabeta e soldato di fanteria.
La prima volta che mi comparve davanti a Firenze, nell'uffizio d'un giornale militare, m'ispirò simpatia. Il suo aspetto, però, e qualcuna delle sue risposte, mi fecero capir subito ch'era un originale curioso. Visto di fronte, era lui; visto di profilo, pareva un altro. Si sarebbe detto che nell'atto che si voltava, tutti i suoi lineamenti s'alteravano. Di fronte, non c'era nulla da dire: era un viso come tanti altri; di profilo, faceva ridere. La punta del mento e la punta del naso cercavano di toccarsi, e non ci riuscivano, impedite da due enormi labbra sempre aperte, che lasciavan vedere due file di denti scompigliati come un plotone di guardie nazionali. Gli occhi parevano due capocchie di spillo, tanto erano piccini, e sparivano quasi affatto tra le rughe, quando rideva. Le sopracciglia avevano la forma di due accenti circonflessi e la fronte era alta appena tanto da impedire ai capelli di confondersi colla barba. Un mio amico mi disse che pareva un uomo fatto per ischerzo. Aveva però una fisonomia che esprimeva intelligenza e bontà; ma un'intelligenza, se così può dirsi, parziale, e una bontà sui generis. Parlava con voce aspra e chioccia un italiano del quale avrebbe potuto domandare con tutti i diritti il brevetto d'invenzione.
— Come ti piace Firenze? — gli domandai, poichè era arrivato il giorno innanzi a Firenze.
— Non c'è male, — mi rispose.
Per uno che non aveva visto che Cagliari e qualche piccola città dell'Italia settentrionale, la risposta mi parve un po' severa.
— Ti piace più Firenze o Bergamo?
— Sono arrivato ieri; non potrei ancora giudicare.
Quando se n'andò gli dissi: — addio, — ed egli rispose: — addio.
Il giorno dopo fece la sua entrata in casa.
Nei primi giorni fui più volte sulle undici once di perder la pazienza e di rimandarlo al suo reggimento. Se si fosse contentato di non capire niente, transeat: ma il malanno era che, un po' per la difficoltà dell'intendere l'italiano, un po' per la novità delle incombenze, capiva a mezzo e faceva tutto al rovescio. Se dicessi che portò ad affilare i miei rasoi dal Lemonnier e a stampare i miei manoscritti dall'arrotino; che rimise un romanzo francese al calzolaio e un paio di stivali alla porta di casa d'una signora, nessuno lo crederebbe; poichè per crederlo bisognerebbe aver visto fino a che segno, oltre al capir male, egli era distratto, non bastando il capir male a dar ragione di qui pro quo così madornali. Ma non posso trattenermi dal citare alcune fra le più meravigliose delle sue prodezze.
Alle undici della mattina lo mandavo a comprare del prosciutto per far colazione, ed era l'ora che si gridava per le strade il Corriere italiano. Una mattina, sapendo che il giornale conteneva una notizia che mi premeva, gli dico: — Presto, prosciutto e Corriere italiano. — Due idee alla volta non le afferrava mai. Discese e ritornò dopo un minuto col prosciutto involto nel Corriere italiano.
Una mattina sfogliettavo sotto gli occhi d'un mio amico, e in presenza sua, un bellissimo Atlante militare che m'era stato imprestato dalla Biblioteca, e gli dicevo: — Il male, vedi, è che io non posso abbracciare tutte queste carte con uno sguardo solo e mi tocca osservarle una per una. Per afferrar bene il complesso della battaglia, vorrei vederle tutte inchiodate nel muro, in fila, in modo che formassero un solo quadro. — La sera, rientrando in casa.... rabbrividisco ancora a pensarci.... tutte le carte dell'Atlante erano inchiodate nel muro; e per maggior supplizio, la mattina seguente, mi toccò vederlo comparir lui col viso modesto e sorridente d'un uomo che viene a cercare un complimento.
Un'altra mattina lo mando a comprare due ova da far cuocere collo spirito. Mentre è fuori, viene un amico a parlarmi d'un affar di premura. Quel disgraziato rientra; gli dico: — Aspetta; — egli si mette a sedere in un canto, io continuo a parlare coll'amico. Dopo un momento vedo il soldato che si fa rosso, bianco, verde, che par seduto sulle spine, che non sa dove nascondere il viso. Abbasso gli occhi e vedo una gamba della sua seggiola leggiadramente rigata d'una striscia color d'oro che non avevo mai veduta. M'avvicino: è giallo d'ovo. L'infame s'era messo le ova nelle tasche posteriori del cappotto e, rientrando in casa, s'era seduto senza ricordarsi che aveva la mia colazione di sotto.
Ma queste son rose appetto a quello che mi toccò di vedere prima d'averlo ridotto a mettere in ordine la mia camera, non dico come volevo, ma in una maniera che rivelasse, alla lontana, l'uomo ragionevole. Per lui l'arte suprema del metter le cose in ordine consisteva nel disporle l'una sull'altra in forme architettoniche, e la sua grande ambizione era di fabbricare degli edifizi alti. Nei primi giorni i miei libri formavano tutti insieme un semicerchio di torri tremolanti al menomo soffio; la catinella rovesciata sorreggeva una piramide ardita di piattini e di vasetti, in cima alla quale si rizzava alteramente il pennello della barba; i cappelli cilindrici nuovi e vecchi si elevavano in forma di colonna trionfale ad un'altezza vertiginosa. Per il che seguivano sovente, anche nel cuore della notte, rovine fragorose e vasti sparpagliamenti, che, se non fossero state le pareti della camera, nessuno sa dove sarebbero andati a finire. Per fargli capire, poi, che lo spazzolino da denti non apparteneva alla famiglia delle spazzole da testa, che il vasetto della pomata era tutt'altra cosa che il vasetto dell'estratto di carne, e che il tavolino da notte non è mobile da mettervi le camicie stirate, mi ci volle l'eloquenza di Cicerone e la pazienza di Giobbe.
Se della buona maniera con cui lo trattavo, mi fosse grato, se sentisse affetto per me, non l'ho mai potuto capire. Una sola volta mostrò una certa sollecitudine per la mia persona, e la mostrò in un modo stranissimo. Ero a letto, malato da una quindicina di giorni, e nè peggioravo, nè accennavo a guarire. Una sera egli fermò per le scale il mio medico ch'era un uomo ombrosissimo, e gli domandò bruscamente: — Ma, insomma, lo guarisce o non lo guarisce? — Il medico montò in bestia e gli fece una lavata di capo. — Gli è che l'è già un po' lunga! — brontolò lui per tutta risposta.
Altre volte aveva certi frulli, che, invece di rimproverarglieli, come avrei dovuto, non potevo far altro che riderne. Una mattina mi svegliò dicendomi nell'orecchio con un certo suo accento strano: — Signor tenente, chi dorme non piglia pesci.
Un giorno entrò in casa mentre ne usciva un personaggio illustre, e sentì dire da un mio amico, rimasto con me, che quel tal personaggio era una personalità molto spiccata. Quindici giorni dopo, mentre stavo discorrendo con parecchi amici, egli s'affacciò alla porta della mia camera e m'annunciò una visita. — Chi è? — domandai. — È..., — rispose (non si ricordava il nome).... — è quella personalità molto spiccata. — Tutti diedero in uno scoppio di risa, il personaggio sentì, io gli spiegai la cosa, e ne rise anche lui dai precordi.