Narrato v'ho come il fatto successe,
come fu conosciuto Ariodante.
Non minor gaudio n'ebbe il re, ch'avesse
de la figliuola liberata inante.
Seco pensò che mai non si potesse
trovar un più fedele e vero amante;
che dopo tanta ingiuria, la difesa
di lei, contra il fratel proprio, avea presa.
15
E per sua inclinazion (ch'assai l'amava)
e per li preghi di tutta la corte,
e di Rinaldo, che più d'altri instava,
de la bella figliuola il fa consorte.
La duchea d'Albania ch'al re tornava
dopo che Polinesso ebbe la morte,
in miglior tempo discader non puote,
poi che la dona alla sua figlia in dote.
16
Rinaldo per Dalinda impetrò grazia,
che se n'andò di tanto errore esente;
la qual per voto, e perché molto sazia
era del mondo, a Dio volse la mente:
monaca s'andò a render fin in Dazia,
e si levò di Scozia immantinente.
Ma tempo è ormai di ritrovar Ruggiero,
che scorre il ciel su l'animal leggiero.
17
Ben che Ruggier sia d'animo costante,
né cangiato abbia il solito colore,
io non gli voglio creder che tremante
non abbia dentro più che foglia il core.
Lasciato avea di gran spazio distante
tutta l'Europa, ed era uscito fuore
per molto spazio il segno che prescritto
avea già a' naviganti Ercole invitto.
18
Quello ippogrifo, grande e strano augello,
lo porta via con tal prestezza d'ale,
che lasceria di lungo tratto quello
celer ministro del fulmineo strale.
Non va per l'aria altro animal sì snello,
che di velocità gli fosse uguale:
credo ch'a pena il tuono e la saetta
venga in terra dal ciel con maggior fretta.
19
Poi che l'augel trascorso ebbe gran spazio
per linea dritta e senza mai piegarsi,
con larghe ruote, omai de l'aria sazio,
cominciò sopra una isola a calarsi;
pari a quella ove, dopo lungo strazio
far del suo amante e lungo a lui celarsi,
la vergine Aretusa passò invano
di sotto il mar per camin cieco e strano.
20
Non vide né 'l più bel né 'l più giocondo
da tutta l'aria ove le penne stese;
né se tutto cercato avesse il mondo,
vedria di questo il più gentil paese,
ove, dopo un girarsi di gran tondo,
con Ruggier seco il grande augel discese:
culte pianure e delicati colli,
chiare acque, ombrose ripe e prati molli.
21
Vaghi boschetti di soavi allori,
di palme e d'amenissime mortelle,
cedri ed aranci ch'avean frutti e fiori
contesti in varie forme e tutte belle,
facean riparo ai fervidi calori
de' giorni estivi con lor spesse ombrelle;
e tra quei rami con sicuri voli
cantando se ne gìano i rosignuoli.
22
Tra le purpuree rose e i bianchi gigli,
che tiepida aura freschi ognora serba,
sicuri si vedean lepri e conigli,
e cervi con la fronte alta e superba,
senza temer ch'alcun gli uccida o pigli,
pascano o stiansi rominando l'erba;
saltano i daini e i capri isnelli e destri,
che sono in copia in quei luoghi campestri.
23
Come sì presso è l'ippogrifo a terra,
ch'esser ne può men periglioso il salto,
Ruggier con fretta de l'arcion si sferra,
e si ritruova in su l'erboso smalto;
tuttavia in man le redine si serra,
che non vuol che 'l destrier più vada in alto:
poi lo lega nel margine marino
a un verde mirto in mezzo un lauro e un pino.
24
E quivi appresso, ove surgea una fonte
cinta di cedri e di feconde palme,
pose lo scudo, e l'elmo da la fronte
si trasse, e disarmossi ambe le palme;
ed ora alla marina ed ora al monte
volgea la faccia all'aure fresche ed alme,
che l'alte cime con mormorii lieti
fan tremolar dei faggi e degli abeti.
25
Bagna talor ne la chiara onda e fresca
l'asciutte labra, e con le man diguazza,
acciò che de le vene il calor esca
che gli ha acceso il portar de la corazza.
Né maraviglia è già ch'ella gl'incresca;
che non è stato un far vedersi in piazza:
ma senza mai posar, d'arme guernito,
tremila miglia ognor correndo era ito.
26
Quivi stando, il destrier ch'avea lasciato
tra le più dense frasche alla fresca ombra,
per fuggir si rivolta, spaventato
di non so che, che dentro al bosco adombra:
e fa crollar sì il mirto ove è legato,
che de le frondi intorno il piè gli ingombra:
crollar fa il mirto, e fa cader la foglia;
né succede però che se ne scioglia.
27
Come ceppo talor, che le medolle
rare e vote abbia, e posto al fuoco sia,
poi che per gran calor quell'aria molle
resta consunta ch'in mezzo l'empìa,
dentro