Dal mio verziere: saggi di polemica e di critica. Jolanda. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Jolanda
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066071196
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gemme e si svolgono in fili d'oro. Ma, purtroppo, [pg!38] quasi in ogni canto c'imbattiamo anche in versi di questo genere (parla all'Universo):

      E come tu combaci ed utilizzi

      A governar gli empiri

      Senza sbilanci e senza incagliamenti,

      o come questi, che fanno agghiacciare il sangue:

      Chi sa da dove è emerso

      Per capillarità di sensazioni

      Questo respiro....

      oppure:

      Han le carezze dell'amor gli artigli

      E la maternità dai marsupiali

      Insegna al mondo a palpitar sui figli;

      od anche, parlando all'uomo:

      A tutte le convalli e tutti i mari

      Rapisti i sali, i fosfori, e gl'incensi

       E son tuoi tributarî

      Tutti i vissuti a ingentilirti i sensi.

      E intanto quei «tributari» richiamano alla mente le tasse e l'esattore con una lucidità spaventosa. L'uomo è proprio il più maltrattato dal signor Checcucci. Un po' più giù lo consiglia a tracciar sulla creta:

      L'itinerario delle tue sventure;

      gli dice di costringere i cieli

      A imbeverar d'elettrico le valli

      [pg!39] concludendo che la vaporiera

      . . . . . . ridestrutto nel torace il sole

      Il suo monarca rapida trascina.

      Inoltre il Checcucci dimostra una certa predilezione per le similitudini... come chiamarle? sociologiche?... tendenza allarmante in un poeta; e canta le sponde colonizzate dai baci del sole, i pianeti in sodalizio di pietà, la nazionalità dei mondi, le teorie, ruggenti entro i vulcani (teorie persuasive!) la fratellanza dell'universo, i raggi delinquenti e i lampeggi degradati, l'assemblea torrida, l'atomo che non presenzierà più «dei cieli al gran lavoro» l'umanesimo dei cieli, il genio collettivo ecc.; poi da sociologo diventa impresario e sogna

      I drammi dell'amore

      Rappresentar nella platea dei cieli

      Maestro il tempo e metodo il dolore

      avvertendoci però del suo temperamento un po'...... nervoso, poichè l'energia che rattiene gli atomi componente il suo corpo gli

      .... apre in solchi elettrici le vene

      E in batterie magnetiche il costato.

      Ancora, nel canto: Forza e Materia, ci ammanisce versi come i seguenti:

      Tanto chi ozia, quanto chi lavora

      Per vie segrete fatalmente crea.

      Tramonta il sol, ma dura l'afa ancora,

      Muore la testa ma riman l'idea,

      In tutta questa universal famiglia

      [pg!40]

      Non siamo che congiunti

      Dal tempo per l'abisso spatriati,

      Dispersi in cielo a grumoli di punti

      Economicamente utilizzati.

      Ecco: che questo sia linguaggio da buon padre di famiglia è indiscutibile; ma da poeta poi... avrei i miei dubbi e non pochi. Dubbi che si fanno giganti udendolo riprendere più avanti sullo stesso tono che

      Nel gran tesoro della creazione

      Ogni tormento tuo sarà quotato:

      E perchè il bello e il buono

      Possan compire la loro evoluzione

      Fa d'uopo al ciel che venga utilizzato

      Ogni tuo pianto ed ogni tuo perdono.

      E in un altro punto, chiamandoci con un sonoro «Quà, quà» che fa venir voglia di cedere il passo agli anatrotti, fra le tante belle cose che ci promette, trovo anche questa:

      Annunzio ai proletari

      La carità dei codici venturi

      Sfamati, a domicilio, dagli armenti

      E annunzio ai nascituri

      Come parlar coi fuochi ai firmamenti.

      È uno sgomento, Dio buono! E vado domandandomi con melanconico rammarico come mai un verseggiatore che ha saputo pennelleggiare così finamente e così grandiosamente certe alate visioni, sia poi caduto in queste goffaggini che mutano le iri variopinte in un abito da Arlecchino e farebbero diventar monella una suora di carità. — Perchè quell'insistenza sul verbo mugliare, insistenza che ci [pg!41] trasporta troppo spesso vicino alle... cascine? — Perchè quella predilezione per un'immagine già sfruttata completamente dal De Amicis in un verso solo della sua migliore poesia «Come vorrei morire» nell'ultimo splendido verso:

      «Col sole in fronte ed una palla in core»

      dopo il quale, tutti questi del signor Checcucci: «Col fuoco ai fianchi e con la luce in testa», «Col genio in testa ed il coraggio in cuore», «Con la porpora ai labbri e il riso agli occhi», «Coi cori a rango e coi vessilli in testa», ecc. non sono che parodìe? Peccato! Forse se il poeta della Vita si contentava di cantarci i miti e le leggende e i simboli degli elementi, dei regni della natura, dei paesi del sole, invece di farci della cosmogonìa, della cosmologia e dell'archeologia da trattato scientifico, l'Italia esulterebbe oggi per una originale e artistica creazione di più. Così come è, i bei versi vigorosi, iridati e fluenti cingono un'aureola al loro cantore: ma temo forte che i vapori terrestri, stagnanti, finiranno per offuscarne la luminosità. In alto dunque, e voli: abbracci un po' meno e idealizzi un po' più e perdoneremo volentieri all'angelica farfalla di non essere un elefante. Dal grandioso che sbalordisce, al grottesco che attira il frizzo, il passo è così breve!

      [pg!42]

       Indice

      Credevo proprio di non parlarne più. Ma poichè un'amabile quanto valente scrittrice ha voluto ricordarmi, a proposito di Cammillo Checcucci e della sua Vita, mi sento tentata di aggiungere una parola in coda all'argomento.

      Qualche mese addietro, appena letto il volume, dissi ad alta voce le mie impressioni nella Battaglia Bizantina, e le intitolai così: «Poeta o Scienziato?» La risposta mi veniva da sè; me la dava l'eco dell'ultima parola. Ora la signorina Gianelli, invertendo appunto forse per ragione d'eco la domanda, mi grida: — Poeta, poeta, poeta. — Vediamo un po'.

      Ricordo che mentre m'accingevo con gioia a far la conoscenza di questo nuovo astro, che per il fervore dell'entusiasmo di molti pareva destinato a impallidire il sole, mi venne fra le mani un periodico fiorentino che fra un coro di lodi riportava un brano del poema. Era una parte del canto alla Terra. Ebbene, mi ci accostai con una specie di reverenza, come ogni volta che so di stare per essere iniziata al culto d'una nuova manifestazione del bello; lo lessi, lo rilessi, con un'attenzione quasi religiosa ma ahimè, dopo non mi trovai nel cuore e nella mente che l'interrogazione fatale: — Sta tutto qui? — E [pg!43] questa interrogazione, allora forse un tantino imprudente, mi assediò anche terminato il libro che chiusi triste per la delusione. Al solito. Fuori di qualche ispirazione felice, specialmente nei primi canti, io non trovai, confesso, che aridità, che monotonia, che goffaggine, che... presunzione. Delle immagini leggiadre, degli squarci lirici efficaci, degli accenti delicati, dissi tutto il bene che potevo; sul resto risi. Un poeta a cui è balenato il concetto colossale di un poema sulla Vita, che ha domandato la sua ispirazione agli elementi, alle forze, a Dio, doveva darci qualche cosa di più, doveva dirci qualche cosa di nuovo, doveva farci