Avvenimenti faceti: Raccolti da un Anonimo Siciliano del secolo XVIII. Giuseppe Pitrè. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Giuseppe Pitrè
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066070700
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in mezzo ad esse con una tovaglia negra sul capo, dando in gridi e gemiti più dell'altre femine. Costume questo che osservollo nell'altre morti di altre sue congionti. Or questi arrivato già al sacerdozio, coll'uso del dir la Messa erano tante le smozzicature e li salti che non arrivava alla decima parte quella Messa che diceva. Soleva servirlo a Messa il chierico D. Mario Schillerò, che s'era tant'imprattichito della Messa del Proto, che anche dormendo ve la recitava. Io in sentirla lo pregai che me la scrivesse, e quello mi compiacque, ed è tale quale quì la trascrivo.

       In nomi Patr artara Dei.

       Judica me do scarsa gente uno doloso me

       Emitte luce sme asserunt in monternacula tua.

       Confitebor tu sturba sme.

       Gloria Patri, e Spiritu Santu.

       Introibo in nomine Domini.

       Confiteor potenti B. M. sempri Micheli Arcangelu, beatu Battista, santis frates piccati niuri certionorbo, opere me culpa. Iddiu pregu beati onnes Santi Patri a D.nu nostru Misereatur vestri pervostra misera eterna. Indulgenza assolvi piccaturu onni corsu D.nu.

       Deus tu misericordia tua.

       Dominu estra oratiom mea.

      Dominus obiscu. Oremus. Offeru nostru santu; Santoru reliqua sunt peccata mea. Leggeva poi strapazzatamente l'Introito, Kirieleison etc., Gloria in eccersi Domini meu, lamustè, andamustè, licistè in potera Patri ammè.

      Collette e Lezioni.

       Munda ori meu, mandasti, miseri evangeriu mutasti.

       Jube Dos corde me.

       Credo in de Onnipotenti Jesu Cristu, ed è spatrunatu saluti, et homo fattus est, crucifissu secundu scrittura in Ecclesia rationi vinti seculi ammè.

       Per omnia sicura, securorum etc.

       Vere dignu me justu mest nos tibi sempri supprici confessioni dicenti Santu, Santu, Santu. Hæc dona, hæc munira nlibata Papa nostru: Mementu Domini famularu, undè emors Dominu. Ostiampura, ostian santa, ostia maculata.

      Con questo tenore arrivava alla consegrazione e proseguiva dopo d'essa sino al Pater noster.

      Per onnia, securemus dicere. Pater.

      Comunicatosi e detto il versetto del post comunio, Domine Sobiscu. Oremus. Quando diceva Messa de defonti, cominciava l'orazione doppo la communione; Animalibus quesumus Domine etc., Benedica vui meniput in Deu Patri e Spiritu Santu. Secundu Giuvanni. In principio era verbo, do, das, do, das, era verbu, e verbu ncaru factum est gratia e viritati.

       Stimai io questa maniera di Messa una caricatura del chierico Schillerò, che me la scrisse, mà in sentirmela confirmare da migliori sacerdoti e gentil'uomini del paese, restai stupito, perchè non l'avessero sospeso[31].

       Indice

      Il sacerdote D. Mario Spitaleri in Bronte era un uomo di poca entità, mà zelante; prendea però le misure questo suo zelo dal suo naturale poco riflessivo. Quindi li Brontesi spesso lo stizzavano[32], per prendersi gioco delle sue proposizioni e delle sue impazienze. In un giorno il Tesoriere della Cappella del SS.o Sagramento, unito ad uno de' Deputati della medema Cappella, cominciarono a toccarlo[33], e specialmente sopra la sua cappellania. Era il D. Mario Cappellano della Chiesa di S. Marco, situata in campagna, sopra un pogetto esposto ai venti, che col loro impeto spesso faceano saltare le tegole di quel tetto; montato egli non saprei se in zelo o in collera cominciò a riprenderli che mandassero a male i frutti delle rendite pingui della Cappella, e poi soggiunse: Vui autri incappastivu cu l'altari di lu SS. Sagramentu, e vi lu mangiati vivu e mortu, ed illu [è] chiusu in mezzu a quattru tavuli e non parra; ma ju ncappai cu chill'armali di S. Marcu, chi tuttu lu jornu carriu canali[34] in collu.

      Tanto a me il sig.r Barone D. Filadelfo Papotto.

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      Trovavasi in un'altro giorno il sudetto D. Mario Spitaleri su d'un pogetto, volgarmente detto da' Brontesi il Pojo della Colla, in campagna, ove cominciò a recitarsi l'Offizio Divino; ed era arrivato a prima[35], quando capitò ivi l'Arciprete suo nipote D.r D. Mario Franzone, e chi c'è sigr Ziu? gli disse l'Arciprete; il D. Mario avea cominciato: Deus in adjutorium etc., [e] rispose subito: Lassatimi stari, jam lucis orto sidere: gran diavulu: Deum præcemur supplices, ut in diurnis actibus, nos servet a nocentibus: grandi diavulu di scecca. L'Arciprete tornò a dimandargli: Ch'aviti, chi ci fù? Ed egli, il D. Mario: E chi voghiu aviri! Sta santa scecca non m'à lassatu diri stu diavulu d'offiziu: Linguam refrenans temperet etc. L'azzioni del sudetto sacerdote sono celebri in Bronte.

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      Fu giorno che toccava farsi la solita congregazione secreta per profitto de' Fratelli congregati, i quali per esercitarsi negl'atti delle 3 Virtù Teologali, esce in mezzo or l'uno, or l'altro a fare uno di questi atti. Toccò ad uno d'essi far l'atto di Fede, e genuflesso in mezzo alla Congregazione proruppe in quest'accenti: SS. Patri, iu cci cridu chi stati in Celu, ed ancora lu vostru SS. Fighiu, comu motrici di tutti li cosi; iu cridu, mà non cridu beni, pirchì senza la Fidi non pozzu iri in Paradisu, ne ad autra banda; la Fidi è fimmina, chi pozzu diri? lu Vicerrè manda un ordini, e non è obbedutu; dunca non è. Qui due o tre Fratelli cominciarono a ridere, ed il Padre della Congregazione fù necessitato che finisse. Uno d'essi era sacerdote; lo scrisse e lo consegnò a me, e colle medesime parole qui l'ò trascritto.

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      Il sig.r Ignazio Lo Presti sentendo che fuori la terra di S. Marco nella campagna s'era ritrovato il cadavere d'una femina assassinata, accorse cogl'altri a vedere l'assassinio, e appunto trovarono quella sgraziata tutta ferite, una della quale era stata sì grave tra la spalla e braccio che stavan questi due membra congionte per un pezzetto di pelle rimasta sana. Allora il sig.r Ignazio va per maneggiare quel braccio e appena toccatolo si svelse subito dalla spalla, perchè eran tre giorni che quell'infelice era stata ammazzata, e perciò incominciando ad infracidirsi, quella pelle distaccossi dal suo busto; in avere già libero nelle sue mani il sig.r Ignazio quel braccio, alzatolo in aria cominciò a dire ai circostanti: Viditi, fighioli, quantu semu misedahidi! Cui c'avia a didi a chista chi ntra du meghiu di di sò capddicci avia a distadi comu li bestij ammazzata ndra la campagna? Mpadamu a spisi d'autrudu ad addrizzari li fatti nostridi[36]. Avrebbe voluto più proseguire a perorare; mà perchè non habebat usum a raggionare di Dio, gli finì la polvere a poter colpire i cuori, e ritornandosi quel braccio di quella uccisa peccatrice nelle mani, alzò come se fosse una reliquia di S. Agata o di S. Agnese, e poi dicendo: Benedicat vos Omnipotens Deus, Pater et Filius et Spiritus Sanctus. Fatt'il segno della Croce con quel avanzo opprobrioso di quell'infame cadavere, gittato addosso a quel corpo assassinato, e partissene movendo a risa quei circostanti, i quali tanto più si diedero a cacchinare, quanto più il sig.r Ignazio pareva loro compunto, tanto ridicolosa era la specie che n'aveano.

      Tanto a me i conoscenti del detto lo Presti.

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