L’altra donna si fermò a contemplare l’uomo che aveva davanti, poi piegò il fianco verso l’esterno e iniziò a sbottonarsi la camicia. Ancheggiando verso di lui, la bionda continuò a spogliarsi, portando Lily a domandarsi se non fosse la sua professione. A quel punto, l’uomo si alzò. Era completamente nudo e Lily ebbe una perfetta visione frontale. Fece un impercettibile cenno di approvazione, tirando fuori il labbro inferiore. Non male.
Era magnifico.
Lily non riusciva a scorgere alcun elastico o corda che sostenesse le corna d’ebano sulla sua testa. Partivano dalle sue tempie e si arricciavano, incurvandosi all’indietro, ruotandogli sotto le orecchie, per poi pendere con le estremità appuntite sulle sue spalle. Erano più spesse nella parte superiore e incorniciavano il suo splendido volto come la corona di una divinità della natura. Si credeva il Re della Foresta o cosa? Lily ridacchiò ripensando per un attimo al testo della canzone del Leone Codardo ne Il mago di Oz. Non poteva prendere la situazione sul serio. Aveva chiaramente perso il senno.
Mentre il Signor Bendotato, primo fra tutti i nudisti di montagna, avanzava verso la bionda, Lily notò qualcosa di strano. I fiori celavano i suoi piedi, ma le gambe si piegavano in modo strano quando si muoveva. Si inarcavano leggermente all’indietro, sotto il ginocchio, come quelle di un animale; i suoi polpacci non avevano la linearità delle gambe umane. Ed erano molto più pelose vicino alla caviglia, come se avesse dei ciuffi di pelo.
Forse è eccessivamente peloso e sopra si depila. I peli sul suo torso erano radi, una spruzzata dorata che gli cospargeva il petto, scendendo giù versi i genitali e le cosce, che non erano affatto pelose come le caviglie. Lily sbatté le palpebre. C’era qualcosa di molto strano nei suoi piedi. Quello è… è uno zoccolo?
Macché. Non può essere.
Ma se lo fosse… La curva delle sue ginocchia spiegava l’angolo incorretto delle caviglie, necessario per supportare il suo corpo bipede abbastanza da permettergli di camminare. Lily era convinta che avesse un senso dal punto di vista fisico, ma le sue uniche conoscenze scientifiche provenivano da Discovery Channel. La ragazza si ritrovò a fissare la sua andatura, finché il suo sguardo non cadde nuovamente sul suo pene – uguale a quello di un umano – che ondeggiava con i suoi movimenti, decisamente pronto all’azione. Era stupendo, persino con le sue deformità e Lily lo avrebbe rappresentato volentieri su una tela, se fosse stata capace di dipingere decentemente.
Okay, quelli sembrano seriamente zoccoli.
Era chiaro cosa stesse per accadere. Lily stava delirando, dopotutto. E dato il suo stato delirante, avrebbe potuto guardare l’uomo-bestia e la bambolina bionda esplorarsi i corpi a vicenda senza ripercussioni. Erano state le accuse di Donovan del giorno prima a farle venire un esaurimento nervoso e a evocare quello scenario di perversione estrema?
Forse.
Si tolse lo zaino e lo appoggiò delicatamente contro il pino dietro al quale si era nascosta. Era difficile spiare i prodotti della sua immaginazione schiacciata dal peso opprimente della realtà. Ho trasformato sul serio il mio zaino in una metafora? Devo essere davvero impazzita.
L’uomo – ehm, la creatura? – fece sdraiare la donna tra i fiori selvatici, sottraendola allo sguardo di Lily. L’uomo-bestia non perse tempo e si tuffò di testa. Vista la posizione delle gambe di lei e la testa di lui, l’immaginazione di Lily non ebbe problemi a indovinare dove la stesse baciando. Non era neanche lontanamente eccitata dall’attacco appassionato della creatura al corpo della donna. No no, non lei. Non quanto la bionda, in ogni caso… I suoni che stava producendo quella donna sembravano quasi disumani, una sorta di lamento e gemito insieme.
Santo. Cielo. Lily li fissò con la bocca aperta e gli occhi spalancati per lo stupore. Cosa cavolo sta facendo con quella bocca per farle fare un suono simile?
Lily rimase impassibile. Le sue folli allucinazioni pornografiche non la eccitarono. No. Neanche un po’. Non si rimproverò nemmeno per essersi dimenticata di mettere il vibratore nello zaino.
Si spostò dall’altro lato dell’albero per vedere meglio.
Crack!
Lily fissò il bastone spezzato sotto la sua scarpa con lo stesso terrore che immaginava dovesse provare la vittima di una mina, pochi secondi prima della sua esplosione. Quando sollevò la testa, la sicurezza che quella scena non fosse che un prodotto della sua immaginazione morì di una morte rapida. Lo sguardo dell’uomo dai capelli biondi era puntato su di lei, come il mirino del fucile di un cacciatore con la sua preda.
A quel punto, non c’era che un modo ragionevole di affrontare la situazione.
Lily iniziò a correre.
Capitolo tre
Non tutte le donne soccombevano al canto da satiro di Ariston, il che andava bene. Non gliene importava molto, dal momento che non erano altro che facce senza nomi, corpi disponibili per alleviare il suo desiderio e rendere l’eternità un po’ più piacevole per qualche settimana. Se non avesse fatto sesso con delle donne a caso, il dolore dell’eccitazione lo avrebbe costretto a trasformarsi di nuovo in quella creatura irrazionale con una sola cosa in mente. Ariston non voleva assolutamente sperimentare di nuovo quell’orribile e doloroso bisogno al massimo della sua intensità.
La maggior parte delle donne si arrendeva alla sua melodia. La canzone fungeva da richiamo, ma le donne potevano scegliere, come pesci di fronte a un amo con esca. Se avessero desiderato il premio abbastanza da correre il rischio, avrebbero abboccato. Se invece fossero state spaventate da quanto offerto, lo avrebbero evitato. Ariston poteva dare loro qualcosa che molte avrebbero avuto paura di chiedere: del sesso privo di sensi di colpa con un immortale, il cui ricordo sarebbe parso solo come un sogno. Potevano ritornare alle loro vite e ai loro innamorati come se niente fosse successo. Nessun legame. Nessun rimpianto.
Solo che un rimpianto c’era – Ariston provava rimorso per ogni subdolo metodo usato per fare sesso, ma tale era la vita dei satiri. Non poteva certo instaurare una relazione con una donna e aspettarsi che questa non desse di matto, quando dopo un appuntamento gli fossero spuntate le corna e avesse iniziato a zoccolare per la camera da letto come il diavolo in persona, con i suoi zoccoli fessi. No, giusto o sbagliato che fosse, aveva smesso da tempo di preoccuparsene, dopo aver rinunciato alla speranza di poter cambiare il proprio destino.
La speranza non era che una fantasia. Spingeva le persone a credere che ci fosse una possibilità, una cura. Salvezza. Ma c’era un limite ai decenni, ai secoli persino, che uno poteva attraversare prima che la speranza diventasse un mito. Le ninfe erano tutte scomparse, nonostante la promessa fattagli da Dafne tantissimi anni prima. Ariston aveva vagato per il mondo intero, lo aveva percorso tutto almeno venti volte. Non c’era salvezza per lui.
Aveva intrapreso la strada della solitudine, ricorrendo alla magia del suo flauto di Pan per ottenere, al bisogno, della compagnia femminile. Gli arcadici, quando ancora non conoscevano l’incantesimo che li faceva apparire umani durante il giorno, avevano imparato a usare il canto per ingannare le donne e far vedere loro quello che volevano, quando li guardavano. Non era infallibile e non tutte le donne si gettavano fra le loro braccia. Alcune restavano fedeli ai loro mariti e altre si rifiutavano di cedere ai propri desideri. Tuttavia, alcune lo facevano, risparmiando ad Ariston molti fastidi. Permettendogli di non diventare ciò in cui la maledizione avrebbe voluto trasformarlo – ciò che si rifiutava di diventare.
Una donna bionda emerse dalla foresta e Ariston si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, nonostante il contraddittorio nodo allo stomaco. Sebbene non avesse assunto sembianze umane, la bionda vide solo ciò che desiderava vedere. Se lo stava vendendo in forma di satiro e gli si avvicinava comunque, beh, a ognuno le sue perversioni.
La bionda