Senza la mia semplice tunica da omega, avrei avuto dei problemi non appena avessi lasciato il castello con addosso questo vestito. Nessun omega poteva entrare nel perimetro della città dopo il tramonto. Le mie pantofoline, sporche e macchiate di sangue, che mi identificavano come una abitante delle Badlands, mi avrebbero tradita. Come le mie gambe pallide in bella mostra. Anche se le guardie mi avessero lasciata passare, gli abitanti dei territori esterni si sarebbero assicurati che non dimenticassi mai più qual era il mio posto.
Ma la stanza non portava a un’uscita. Le sue pareti parevano fatte di vetro, e il resto era immerso nel colore. Un tappeto orientale, poltrone di pelle e fiori ovunque.
E non c’era nessuno dentro.
Sprofondai su una delle poltrone, dandomi la possibilità di riprendere fiato. Di pensare a una via d’uscita da questo casino. Abbassai lo sguardo sulle mie gambe. Lo champagne versato disegnava rivoletti attraverso la polvere sui miei stinchi. C’era solo un piccolo taglietto causato dal vetro rotto, e il sangue aveva gentilmente deciso di rimanere vicino alla base del graffio. L’ultima cosa che dovevo fare era perdere sangue su questo tappeto. I reali avevano una tecnologia che avrebbe potuto rintracciarmi in pochi secondi con una singola goccia di sangue.
Una porta si chiuse in fondo alla stanza. Spinsi il mio corpo contro la poltrona, per non essere vista. La mia lupa si lamentò dentro di me, preparandosi a combattere.
Sentii il suo odore prima di vederlo. Un misto di whisky, vaniglia e pura potenza. Il Re mi aveva trovata.
Cosa avrebbe fatto una beta? Mi lisciai la gonna e mi sedetti dritta sulla sedia. Orgogliosa. Come se il mio posto fosse a una festa reale.
Trasalì quando mi vide. Solo allora notai la gigantesca scrivania in mogano e la sedia ancora più imponente all’estremità della stanza. Ero entrata nel suo ufficio?
Poteva uccidermi per un’offesa del genere, e nessuno lo avrebbe mai saputo, se Sua Maestà avesse fatto lui il lavoro sporco. Pregai che non lo facesse.
Mi tolsi le scarpe, e usai un piede per spingerle sotto la poltrona.
“Stai sanguinando.” La sua voce era morbida quanto lo sembrava la sua giacca. Non me l’aspettavo. Tutti conoscevano la brutalità di Re Adalai. Un’omega come me ci pensava ogni giorno. Ma il modo tenero con cui si rivolse a me non fece che aumentare la strana pulsazione nel mio corpo.
Annuii, sperando che mascherasse il mio tremore e l’animale che protestava appena sotto la superficie della mia pelle. E quella pulsazione. Incrociai la gamba su quella con il taglio nel tentativo di calmare i muscoli più profondi.
Si accigliò guardandomi i piedi. Era impossibile che non vedesse lo sporco, o le pantofole rivelatrici del mio stato di omega che probabilmente non erano nascoste troppo bene…
Non è mai stato così vicino a un’omega, disse la mia lupa. Non capisce cosa sei. Hai la possibilità di uscirne viva.
Dovevo sperare che avesse ragione.
“Alcuni ballerini mi sono venuti addosso.” Eccomi qui, a dire al Re le stesse mezze verità che mi avevano messa in questo casino. “Ho lasciato cadere il bicchiere. Le mie scarpe si sono rovinate. Mi dispiace.”
“Non c’è bisogno di scusarsi,” rispose lui. “Ma non capisco perché non stavi ballando anche tu.”
Che nobile astuto! Mi aveva appena chiesto con chi fossi al ballo, pensando che quel particolare avrebbe rivelato chi ero. La mia mente lavorava per improvvisare un’altra delle mie mezze verità, nella speranza che quando le avessi messe assieme in qualche modo sarebbero diventate intere.
“Le mie amiche stanno ballando.” Non avevo idea se fosse così che una beta avrebbe dovuto parlare con un reale. Tutto quello che sapevo era che gli omega non lo facevano mai. E c’era il problema del contatto visivo. Rischiai tutto e lo guardai in quegli splendidi occhi color onice. “Non ho un compagno.”
Lui si mise a ridere. Il mio cuore smise di battere mentre finiva a precipizio nello stomaco. L’unico movimento nella stanza erano i miei muscoli pulsanti. Quest’uomo aveva un tale effetto su di me. Forse era il suo potere, il pericolo di essergli così vicina, ma il mio corpo stava andando completamente in tilt.
“Neanche io ho una compagna,” disse alla fine. “Ma mi piacerebbe ballare con te.”
Oh.
Tese la mano. Non era liscia come mi sarei aspettata. Il Re era un guerriero che guidava i suoi eserciti in battaglia contro gli umani. Le sue mani, ruvide per i calli, avrebbero provocato una sensazione deliziosa muovendosi lungo la mia pelle. Le sue unghie erano corte e lisce, senza segni di polvere del deserto. Non indossava alcun anello, ma il suo polsino di cuoio era chiuso con un gemello di diamanti. Le mie mani erano raggomitolate in grembo, umide per la paura e segnate da anni di duro lavoro. Se nient’altro aveva tradito la mia condizione, le mie mani avrebbero segnato il mio destino.
Forse non gli importa. La mia lupa mi stava implorando di vivere spericolatamente, questa sera. E nessuno diceva di no al Re.
Misi la mano nella sua, e lui se la portò alle labbra per baciarla. Quel morbido contatto mi sconvolse.
La corrente elettrica che schizzò lungo il mio corpo poteva essere sufficiente a farmi mutare. Strinsi gli occhi, negoziando silenziosamente con la mia bestia mentre Sua Maestà mi faceva alzare. L’altra mano era dietro la mia schiena, e mi premeva contro il suo corpo. Tutto nel Re era duro e pronto all’azione. Il calore che saliva dai suoi pantaloni fu sufficiente per sciogliermi la pelle. Un’immagine di noi due nudi, inondati dal chiaro di luna, le sue labbra sulla mia pelle, mi balenò in mente.
Feci un respiro profondo, concentrandomi sulle rose accanto a noi.
“Ti piacciono,” disse lui. “Prima ho visto come le ammiravi.”
“Mi ricordano mia madre.” Finalmente potevo dire la verità.
“Anche la mia le adorava. Ora guardami, mia rosa.”
Ora che avevo il suo permesso, incontrai sfacciatamente il suo sguardo. Doveva ancora chiedermi il mio nome, e mi domandavo cosa gli avrei detto. Ora che ero così vicina a lui, gli avrei mentito di nuovo?
La verità era mortale come le bugie.
Un’altra immagine mi balenò davanti, e vidi chiaramente il Re nella sua forma di lupo. Una forma che gli era stata strappata via. Era ancora più bello, da animale. Mi feci forza, come se dovessi proteggerlo da quello che stava succedendo nella mia testa. A stento.
Si fece avanti, mancando di poco le dita dei miei piedi nudi, mentre il complesso iniziava la sua prossima canzone. Merda. Una beta avrebbe conosciuto quei balli così formali.
“Ti va di ballare qui?” Ecco un bel salvataggio.
“Sì.” Il movimento successivo venne dai suoi fianchi, e il puro istinto prese il sopravvento. Iniziai a muovermi a tempo con il suo corpo. “Ora che ti ho trovata, voglio tenerti tutta per me.”
Forse avrebbe dovuto sembrare una minaccia, ma per me e il mio corpo pulsante, in qualche modo, sembrò… una promessa.
CAPITOLO CINQUE
Non ero dovuto andare lontano per trovare la mia femmina. Rifugiarmi nel mio ufficio per evitare qualsiasi domanda ingiustificata mi aveva portato proprio a lei. Solo che era ferita e tremava come una foglia, e l’istinto ruggente nel mio petto richiedeva che la confortassi.
Non capivo il perché di quel sentimento. Ma non avevo intenzione di mettere in discussione il mio istinto. Mi aveva condotto troppe volte sulla strada giusta. Soprattutto in guerra. E avvicinarmi a questa donna per calmarla sembrava proprio la cosa giusta da fare.
“Non ti ho mai visto qui, prima d’ora,” mormorai, non volendo spaventarla. Sembrava a un passo da scappare di nuovo, anche se la tenevo stretta. Una forza brillava nei suoi occhi. Potevo scorgerla, e forse era la sua caratteristica più affascinante.
Allora