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Ho tagliato il branzino a fette larghe e spesse che prima immergo in acqua e poi sfiletto, condendolo con sale e limone. Lascio il tutto a marinare e lo sistemo in un piatto di porcellana. L'aroma è appetitoso e forte, tanto che Tomas ha lasciato il suo quartiere di battaglia quotidiano per vegliare su di me con la sua lingua affamata fermo sulla soglia della cucina, quasi a confutare il mio scetticismo nelle sue capacità olfattorie. Macino le palline di pepe, i bastoncini di cannella, i chiodi di garofano e il cumino. Vi metto l'aceto. Quando affetto le cipolle e le trito, per aggiungere al composto il loro dolce sapore, mi lacrimano gli occhi. Un velo di sherry, copro e lascio sobbollire il pesce sul fuoco.
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Ho implorato ancora una volta il perdono divino. Mi pento di aver peccato nel pensiero e nelle parole, nelle azioni e nelle omissioni. Signore, grazie per aver concesso a questo povero peccatore di ritrovare la retta via e di essere tornato a te.
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Sono lì, ballano di gioia nel marciume. Incantati dalla lascivia. La lussuria è soddisfatta nel fango del godimento carnale e della concupiscenza. I piaceri proibiti sono sublimati nei pesci orrendi, nelle conchiglie abissali, in quella turpe marmaglia. Capre, dromedari, cavalli e uccelli eccitati a quella vista approvano la dissolutezza. Tutto lo spazio intorno puzza di peccato, di lussuria. Corrompono l'ambiente con una piaga che emana dal lato più oscuro del nostro essere.
Smetto di guardare il dipinto e cerco di riposare qualche minuto, prima che le campane suonino.
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Sto per andare a messa con i muscoli completamente indolenziti. Bevo due bicchieri d'acqua che attenuano un po’ il mio mal di fegato, o almeno così credo e spero. Indosso la tonaca. Ora mi sento più pulito.
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Il ragazzo mi fa una domanda che sul momento mi lascia senza fiato. Taccio e indietreggio, fino a crollare sul divano. Lo incoraggio a sedersi accanto a me. Mentre mi è vicino riesco perfino a controllare i miei gesti e a nascondere la loro vera natura, deciso a non trasgredire questa volta. Gli sistemo con cura dietro l’orecchio un ciuffo di capelli scappato sulla fronte. Sento che aspetta con ansia la mia risposta. Cerco di non deluderlo e gli dico che Dio è un essere buono e misericordioso ma che non ha una forma fisica e di certo non possiamo immaginarlo come se fosse un uomo in carne e ossa, ma questa risposta che sa di banale catechismo non lo soddisfa. Mi mostro forte. Dico la verità, che dobbiamo amare Dio nella sua essenza e credere in lui come atto di Fede. Mi risponde, con un’espressione abbattuta e afflitta, che Dio è complicato.
Oh Signore, ho solo questa vita per respirare il suo dolce odore di muschio che mi riempie il naso, quando mi alzo dal divano! Lo chiamo. Lui si gira con uno sguardo luminoso, con quella innocenza che mi tormenta e che mi spinge ad afferrargli le guance e soddisfare i miei istinti. Chiedo aiuto al Signore, che può fare tutto, e poi, con rinnovato coraggio, accompagno il ragazzo nella mia stanza. Gli dico che devo rivelargli un segreto. Che ho visto Dio. E che posso mostrarlo anche a lui.
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Dio non è piccolo, anche se così può sembrare ad occhio nudo. Se ne sta nascosto, per avere una visione più ampia del mondo, tutto qui. Lui, si sa, è onnipresente. Se ne sta seduto sul suo trono, con la testa coronata da una tiara e il libro sacro che poggia sulle sue gambe. Sulle spalle porta un lungo mantello imperiale. Ora posso vederlo anch’io, mentre padre Misael mi mostra questo strano dipinto. L'oscurità che traspare dal quadro mi fa paura. Ma resisto. Lì sull’orizzonte, in mezzo a questa nebbia che rende opaco il cielo racchiuso nella palla di vetro, c'è Dio, e posso vederlo. Adesso so com’è. E vedo il suo sorriso.
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Mi preparo per andare a dormire con il profumo della sua nuca ancora dentro di me. Abbiamo pregato insieme, corpo a corpo, e abbiamo chiesto a Dio di non farci mai allontanare dalla retta via, e di poter seguire con letizia i suoi insegnamenti. C'è qualcosa di carico nell'ambiente che mi impedisce di respirare normalmente. Sento l'assurda premonizione che sto per cadere in un incubo da cui non sarò in grado di svegliarmi. Fuori, ha cominciato a piovere, dolcemente.
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La mattinata è gelida. La pioggia ha raffreddato l’aria. Ho dormito in pace, in pace con il mio spirito e accolto dall'infinita misericordia di Dio. Sono felice di constatare che gli incubi hanno finito di torturami nei sogni e mi hanno concesso una tregua. Non sono così ottimista da sperare che mi lasceranno in pace per sempre, però. Una parte di me sa che emergerò vincitore da questa battaglia col demonio, ma un'altra, la più fragile, mi mostra l'orrore della mia inevitabile sconfitta, perché in ogni momento la mia mente soccombe alla tentazione e ogni parte del mio corpo viola gli insegnamenti che fortificano l’ anima
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Ho deciso di fare un bagno. Mi sento sporco, e non solo a causa delle mie ascelle sudate, ma per i pensieri lubrichi che covo dentro. Prima di salire sull'altare devo essere purificato. Una bella doccia fredda mi aiuterà a raffreddare i miei istinti, e mi accingo ad insaponarmi. Risciacquo anche l'anima con la preghiera.
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L’autunno si avvicina e le sue avvisaglie sono già nell’aria. Chiunque può sentirle, ma sono soprattutto gli animali ad accorgersene, a causa dei loro sensi affinati dalla natura. Quindi Tomas, contrariamente a quanto pensa il ragazzo, ne riconosce i segni meglio di chiunque altro. Ne aspira l’indecifrabile aroma che si spande sul terreno dietro il mandorlo. Ecco perché marca frequentemente il suo territorio. Capisce che l’estate è sul finire dalle macchie di umidità alle radici dell’albero. L’autunno emerge dalle profondità della terra e inonda il mondo con la sua essenza.
Gli antichi affermavano che il petricore era il sangue degli dei, l'essenza che scorreva nelle sue vene. Oggi non è altro che un odore strano che di tanto in tanto, in quel breve attimo che riusciamo a percepirlo, ci provoca quasi un leggero fastidio, senza renderci conto che è ed è sempre stato, dalla notte dei tempi, il vero sudore di Madre Terra, la sua vera essenza che scaturisce dalle profondità degli abissi.
Ma Tomas lo capisce. Il suo naso non si è consumato al punto che il mondo gli è indifferente. Sa ancora riconoscere gli odori. Qualcosa gli è rimasto, della sua lunga vita da cane. Per questo improvvisamente smette di urinare sotto il mandorlo e si ferma in atteggiamento di punta, come non faceva da tempo, sulle foglie bagnate che formano un tappeto naturale. Il suo olfatto ha percepito l’aroma quasi mistico del cambiamento di stagione. E si mostra grato alla nuvola che si allontana facendo spazio al sole, permettendogli di riceverne i raggi luminosi sul corpo.
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Al mercato ho incontrato un vecchio amico. Abbiamo fatto quattro chiacchiere. E’ stato bello, ma è durato troppo poco.
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La signora Salomè è arrivata mentre ero fuori. Mi spiega, per giustificarsi, le sue difficoltà. Le dico di non preoccuparsi, che capisco la situazione, e di prendersi una settimana di ferie. Lei insiste per prepararmi il pranzo di oggi come ricompensa per la mia comprensione. La lascio fare. Mentre lei cucina mi chiudo nella mia stanza e tiro fuori dal suo nascondiglio segreto una bottiglia di vino. Comincio a bere, a lunghi sorsi.
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Ho bevuto la bottiglia per metà e la lascio in bella vista sul comodino. Il vino ingerito mi provoca una leggera sensazione di vertigine che forse potrei eliminare con una tazza di caffè. Imploro una mezz’ora di tempo per farmi una doccia, ma la signora Salomè mi dice che il pranzo è in tavola. Ho inghiottito la zuppa con un leggero mal di stomaco. Il suo calore però, un po’ attenua quel senso di vuoto, e quella pessima sensazione di amaro causato dal bere. Mi alzo dal tavolo mentre il ragazzo sta ancora mangiando e mi rintano in camera mia con una gran voglia di dormire.
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Ho aperto gli occhi, e la prima immagine che vedo è quella del mondo. La mia ubriachezza non è adatta per scrutare le luride delizie del tuo giardino, Signore. Immagino il corpo nudo del ragazzo con vera lussuria e poi ripiombo nel sonno. Quando