Sola di fronte al Leone. Simone Arnold-Liebster. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Simone Arnold-Liebster
Издательство: Автор
Серия:
Жанр произведения: Биографии и Мемуары
Год издания: 0
isbn: 9782879531687
Скачать книгу
zio possedeva una decina di alveari e sapeva lavorare il legno, scolpire la pietra e innestare le piante. Durante le nostre visite alla fattoria ci mostrava sempre, con un largo sorriso di autocompiacimento, la sua ultima creazione. La sua più grande gioia consisteva nel rendersi utile. Era molto legato a sua madre e come lei era molto religioso. Anch’io lo ero!

      La nonna doveva essere stata molto bella da giovane. L’età non aveva assolutamente scalfito il fascino dei suoi bei lineamenti armoniosi. La sua abbronzatura attenuava l’azzurro intenso dei suoi occhi. I capelli bianchi, raccolti sulla testa in una piccola crocchia, alla luce del sole brillavano come un’aureola. Durante la settimana, la nonna indossava un austero vestito nero protetto da un ampio grembiule, invece la domenica metteva un allegro abito a fiori rosa e lilla, che addolciva il suo viso serio.

      Nel corso degli anni la nonna Maria era diventata un po’ robusta, eppure ciò non le impediva di affaccendarsi lentamente, ma senza posa. Appena entravo in cucina, iniziava una vivace conversazione: “Adesso prepariamo la zuppa di patate per il maialino”. Le schiacciava con le mani. “Ora vi aggiungiamo un po’ di crusca, gli avanzi del pranzo, ovviamente senza ossa, e il latticello del formaggio. Vieni, piccola mia, versiamo il tutto nella mangiatoia”. Il naso rosa del maialino si tuffava nella zuppa: ch-ch-ch. “Guarda questo sciocco che cerca prima i pezzi migliori!”

      Le galline si radunavano di fronte alla porta della cucina. “Devono essere le cinque. Buttiamo una manciata di grano anche per loro!”

      “Sciò! Sciò!”, gridava battendo le mani per tenere indietro i polli più forti che volavano addosso agli altri. “Hai visto, piccolina? Sono proprio come le persone: non hanno nessuna considerazione per i più deboli!”

      “Ora è il turno dei gatti. Micio, micio! Venite, ecco il vostro latte”. Era la schiuma del latte della mucca che il nonno aveva appena munto. Ne avevo già gustato la mia parte in una ciotola nera, la mia tazza personale. Una delle micie lasciò prima bere il suo piccolo. “Vedi, questa sì che è una vera mamma!” I gatti venivano a strofinarsi contro le nostre gambe e facevano le fusa. “Guarda come ci ringraziano tutti!”

      Appena possibile i miei genitori e io trascorrevamo le domeniche a Bergenbach. Che privilegio per me accompagnare il nonno a messa! Zio Germain usciva di casa sempre dopo di noi, ma in qualche modo arrivava in chiesa per primo! Dopo la funzione andavamo tutti e tre al bar, dove gli uomini del villaggio si ritrovavano a discutere quasi sempre di politica e del loro bestiame:

      “Ho comprato una mucca dal venditore”.

      “Da quale? Dall’ebreo o dall’alsaziano?”

      “Dall’ebreo, e mi ha imbrogliato di nuovo!”

      “Perché non vai dall’alsaziano?”

      “Beh, sai, è troppo caro! Esagera sempre sulla qualità dell’animale e poi gonfia il prezzo. È disonesto!”

      Non riuscivo a seguire il loro ragionamento: se non sopportavano gli ebrei, perché preferivano comunque rifornirsi da loro? Secondo me non aveva senso.

      Risalire la montagna per tornare a Bergenbach in piena estate e sotto la canicola di mezzogiorno era, a detta della nonna, un sacrificio che dava maggior valore alla nostra partecipazione alla messa. Sicuramente aveva ragione, però io avrei preferito che non facesse così caldo!

      Il viso del nonno era rosso quasi quanto i suoi capelli. Indossava un completo di velluto marrone scuro e teneva la catenella dorata dell’orologio infilata nel taschino della giacca che portava sempre sbottonata; con un fazzoletto si asciugava continuamente il sudore dalla nuca. Zio Germain, correndo come una gazzella su per la salita, ci precedeva e, una volta a casa, si nascondeva e ci aspettava. Quando arrivavamo nelle vicinanze, saltava fuori, accogliendoci con la sua caratteristica risata simile a un nitrito.

      La nonna assisteva alla prima messa del mattino, così rincasava in tempo per preparare i suoi deliziosi pranzetti domenicali, incluso ogni tipo di dolce casereccio. Durante i pasti le conversazioni erano sempre animate e interessanti e, fintantoché a tavola eravamo in sei, rimanevano pacifiche. Era tutt’altra cosa quando zia Valentine, la figlia più giovane della nonna, veniva in visita con suo marito Alfred e mia cugina Angèle. Alfred, un uomo di statura alta, monopolizzava la conversazione: sapeva tutto su tutto! Mentre lo zio parlava e parlava, mio padre restava in silenzio. Questo proprio non mi piaceva: il papà era ben più in gamba. Perché non interveniva?

      Sembrava che zio Alfred provasse piacere nel suscitare polemiche e ci riusciva senza difficoltà, parlando di argomenti irritanti. Il nonno disapprovava il rigore autoritario dei tedeschi. Aveva prestato servizio nella marina per quattro anni e aveva visto con i suoi stessi occhi alla punizione dei marinai ribelli: veniva legata loro una corda intorno alla vita e poi, gettati in mare, erano trascinati dalla nave per ore intere. Quei marinai – pensavo fra me – dovevano essere degli eccellenti nuotatori, per reggere una simile velocità!

      La nonna criticava sempre i francesi, perché li considerava dei fannulloni. Non aveva dimenticato che durante la Grande Guerra soldati francesi a corto di cibo avevano requisito le sue mucche e nessuno l’aveva mai risarcita della perdita. Al contrario aveva solo parole di ammirazione per i recenti successi di Hitler in Germania.

      Al termine di questi dibattiti il nonno sembrava rimpicciolirsi e la nonna diventare più grande. Le mani di lei si irrigidivano per la collera, mentre raccoglieva bruscamente i piatti da dessert dalla tavola. Quelle stoviglie antiche, decorate con minuziosa finezza, erano bellissime e io temevo che un giorno ne avrebbe ridotta qualcuna in cocci con uno dei suoi gesti troppo energici.

      Dopo il dessert Angèle e io sparivamo all’aperto per giocare. Avevo costruito una bambola. A una piccola patata ben rotonda, la testa, avevo incastonato due piccole pietre a mo’ di occhi. L’avevo fissata con un bastoncino a una carota, il corpo, mentre il vestito era una grossa foglia. Mia cugina, una pura cittadina, non apprezzava la mia bambola artigianale. Preferiva sdraiarsi e subito i suoi occhietti blu si chiudevano. Le sue ciglia rosse sembravano delle cuciture a sopraggitto e la boccuccia imbronciata era come una fragolina. Le gote rotonde, belle e rosse incorniciavano un nasino cosparso di lentiggini e i magnifici boccoli dei suoi capelli ramati si spandevano sull’erba verde come raggi di sole. Col suo delicato vestito blu ornato di nastrini diventava la mia bambolina che richiedeva le mie cure. Cercavo una grossa foglia da usare come parasole, poi mi sdraiavo anch’io per terra sotto la felce, godendo del suo profumo familiare. Da quella posizione ascoltavo il ronzio delle api e seguivo con gli occhi la pigra sfilata delle nuvole o l’improvviso balzo di una cavalletta. Immersa in quella pace, riflettevo sulle conversazioni degli adulti cercando di capirne il senso.

      ♠♠♠

      Un giorno la nonna mi regalò un’altra piccola immagine sacra da aggiungere alla mia collezione. Quando mio padre la vide, il suo viso tondo sembrò allungarsi. Inarcò le sopracciglia sbarrando gli occhi e serrò le labbra perplesso. Lessi sul suo volto un grosso punto interrogativo. L’espressione della mamma invece non era né seria né sorridente. Gli angoli della sua bocca si abbassarono e gli occhi fissarono il vuoto. Fece un piccolo cenno con la mano destra e stese tutte e cinque le dita. I miei genitori non erano entusiasti della mia immagine sacra!

      “Mettila nel tuo messale”, mi ordinò il papà. Avevo già ricevuto quel messale bianco, ricoperto di madreperla, molto prima di iniziare la scuola. “No!”, replicai risoluta. Quell’immagine benedetta dal prete era un dono della nonna; volevo metterla sull’altare della mia cameretta. “La nonna ha detto che scaccerà gli spiriti cattivi”, protestai. “Lei stessa ne ha appese diverse persino sopra la porta della rimessa!”

      Il papà non andò oltre. Lasciò l’ultima parola alla mamma che mi permise di sistemare l’immagine sul mio altare personale. Così mi andava bene. Da quando aveva comprato una nuova macchina da cucire, lei lavorava nella mia cameretta e quindi il nuovo santo avrebbe protetto anche lei.

      Seduta