“Hai corso un grosso rischio venendo qui,” disse il Maestro dei Corvi. “Farai bene a parlare velocemente, chiunque tu sia.”
“Chiunque io sia?” chiese l’uomo. “Guardami bene.”
Il Maestro dei Corvi osservò meglio e si rese subito conto di chi aveva di fronte. Aveva già visto quella faccia, anche se al tempo aveva dei capelli in testa, e generalmente solo per brevi frangenti prima che i suoi corvi venissero uccisi.
“Endi Skyddar,” disse. “Hai corso un rischio ancora più grande di quanto pensassi. Parla in fretta. Perché dovrei lasciarti vivere?”
“Ho sentito dire che hai un problema,” disse Endi. “Ti sei imbattuto in un problema con la magia che non riesci a risolvere. Anche io ho i miei problemi: io e i miei uomini non abbiamo un posto dove andare. Magari potremmo aiutarci a vicenda.”
“E come possiamo aiutarci a vicenda?” chiese il Maestro dei Corvi. “Non sei tuo fratello Oli, che conosce la storia e cose del genere. E sei uno Skyddar, uno dei miei nemici.”
“Ero uno Skyddar,” disse Endi. “Ora non ho un nome. E per quanto ne so, i segreti e le cose nascoste erano il mio pane. Può essere che abbia sentito di un uomo a cui è stato richiesto di dare consigli in materia di magia. Può darsi che quando le mie cugine si sono presentate per avere il potere, io abbia tentato dei metodi per rispondere a modo.”
“Quindi cosa mi stai chiedendo?” domandò il Maestro dei Corvi.
“Tu concedi a me e ai miei uomini un posto onorabile nel tuo regno, e il tuo esercito,” disse Endi. “In cambio io ti fornirò un rituale che indebolirà le mura di Casapietra, e qualsiasi altra magia loro ti mettano davanti.”
Questo avrebbe concesso al Maestro dei Corvi l’accesso alla città. Gli avrebbe dato la figlia di Sofia. Con tutto quel potere nelle sue mani, si sarebbe potuto permettere di essere generoso.
“Molto bene,” disse. “È un patto. Se mi deludi, però, ucciderò te e tutti i tuoi uomini.”
CAPITOLO DUE
Sofia fissava la città oltre la porta, oltre i normali spazi del mondo. Sienne le stava appoggiato alla gamba, mentre Lucas e Kate erano rispettivamente ai suoi fianchi. Sofia non sapeva cosa pensare della città che aveva davanti, anche se l’aveva vista prima nelle sue visioni. La città era radiosa, del colore dell’arcobaleno in certe parti e dorata in altre. La gente, alta ed elegante, camminava per le strade, con abiti radianti e d’oro.
Era tutto bellissimo, ma non era niente di ciò che Sofia era venuta qui a cercare. Niente di tutto questo era il motivo per cui aveva lasciato sua figlia, suo marito e il suo regno per attraversare mare e deserto, oltre la città di Morgassa e fino alle terre desolate. Lo aveva fatto per trovare i suoi genitori.
E loro erano lì.
Si trovavano in una strada, in uno spazio sgombero in mezzo al resto della gente e guardavano l’ingresso che Sofia e gli altri avevano appena attraversato. Erano più vecchi di quanto apparissero nei suoi ricordi, ma era passato tanto tempo da allora: come poteva essere diversamente? La cosa più importante era che ancora assomigliavano a loro. Suo padre si appoggiava a un bastone ora, ma era ancora alto e dall’aspetto forte. Sua madre aveva gli stessi capelli rossi, sebbene vi si vedessero delle sfumature grigie, e sembrava sempre la più bella donna del mondo per Sofia.
Corse verso di loro senza neanche pensarci, e non fu sorpresa di vedere che anche Kate e Lucas correvano con lei. Gettò le braccia attorno a sua madre e a suo padre, e gli altri si unirono all’abbraccio, fino a sentirsi raccolti in una grande massa in mezzo alla strada.
“Vi abbiamo trovati,” disse Sofia, stentando quasi a crederlo. “Vi abbiamo trovati sul serio.”
“Sì, tesoro,” disse sua madre tenendola stretta a sé. “E avete dovuto passarne così tante per farlo.”
“Lo sapete?” disse Sofia facendo un passo indietro.
“Non sei l’unica della famiglia a vedere le cose,” disse sua madre con un sorriso. “È il motivo per cui abbiamo lasciato il mondo.”
Sofia poteva sentire come Kate si sentisse preoccupata al riguardo.
“Avete visto tutto questo e non siete venuti?” chiese Kate.
“Kate…” iniziò Sofia, ma suo padre rispose prima che potesse dire altro.
“Ci saremmo stati se avessimo potuto, Kate,” le disse. “Avete sofferto, tutti voi, e avremmo interrotto ogni momento di quella sofferenza se ci fosse stato possibile. Vi avremmo portati con noi… vi avremmo dato una vita perfetta se avessimo potuto.”
“Perché non potevate?” chiese Sofia. Pensò all’orfanotrofio e a tutte le cose che erano successe dopo l’attacco alla loro casa. “Perché non l’avete fatto?”
“Vi dobbiamo una spiegazione,” disse loro madre, “e ci sono cose che dobbiamo raccontarvi, ma non qui in strada. Venite con noi, tutti.”
Lei e suo padre fecero strada lungo la via, le folle che si aprivano come in segno di rispetto, o forse nel modo in cui qualcuno potrebbe tirarsi indietro davanti a qualche ammalato. Sofia e gli altri li seguirono fino a una grande casa con intagli all’esterno che sembravano incresparsi alla luce del sole. Non c’erano porte, come se la gente lì non temesse l’arrivo di possibili ladri: c’era una semplice tenda a tenere fuori il vento.
All’interno i loro genitori li condussero a una stanza con il pavimento che sembrava una grande versione in metallo della mappa sul disco che Sofia e gli altri avevano seguito per arrivare fino a lì. Un largo e basso tavolo si trovava al centro della stanza, con sedie disposte attorno. C’era anche un divano, sul quale si accomodarono sua madre e suo padre, una sedia pieghevole che Kate prese senza tanti complimenti e uno sgabello intagliato dall’aspetto strano davanti al quale Lucas sorrise un momento prima di sedervisi a gambe incrociate. Poi c’era una bella poltroncina dall’aspetto comodo con un tappeto davanti, dove Sofia si sedette, con Sienne accoccolato davanti ai piedi.
Subito una donna con gli stessi abiti radianti uscì da una porta laterale portando cibo e acqua. Di nuovo Sofia ebbe la sensazione che il cibo fosse stato preparato in modo specifico per ciascuno di loro. Lucas ricevette una specie di piatto di pesce, Kate un abbondante stufato e lei una pietanza delicata che le ricordava le cose che era solita mangiare al palazzo di Ashton.
“È come se ci conosceste meglio di quanto ci conosciamo noi stessi,” disse Sofia. La colse un pensiero orribile. “È tutto reale, vero? Non è un sogno causato dalla febbre, mentre stiamo morendo nel deserto? Non è un altro tipo di prova?”
“Niente di tutto questo,” la rassicurò sua madre. “Non vi avremmo neanche sottoposti al primo test, se non che la porta lo richiede. Viviamo qui, ma non abbiamo alcun controllo su questo posto.”
“Siamo dovuti passare anche noi attraverso quella dannata porta allo stesso modo,” disse suo padre. “Per me il guardiano aveva la stessa voce del mio vecchio tutore, Valensis.”
“Ci ha fatto scegliere chi sarebbe dovuto morire,” disse Kate.
Loro padre annuì. “La città perduta non ammette coloro che non mettono l’amore al primo posto.”
“Almeno non attraverso quella porta,” disse sua madre. “E notate che vostro padre non ha fatto cenno a quanto siamo rimasti all’interno di quelle maledette prigioni prima di riuscire a scegliere. Ma non è questo che volete sentirci raccontare. Dovremmo dirvi perché non siamo venuti a prendervi.”
“Non potevamo,” disse loro padre.
“Perché la vedova vi avrebbe uccisi se vi avesse trovati?” chiese Lucas.
“Sì,” rispose sua