Attese che la luce da rossa si facesse verde, quindi diede le spalle al bersaglio. Inspirò, si voltò ed esplose altri tre colpi.
Tre fori perfettamente allineati si aprirono appena sotto la spalla della sagoma.
Molto meglio, pensò Mackenzie.
Soddisfatta, si tolse le cuffie e gli occhiali di protezione. Mise tutto in ordine e premette un altro pulsante sul pannello di controllo, che fece avvicinare il braccio meccanico che reggeva il bersaglio. Prese il bersaglio, lo ripiegò e lo mise nella cartellina che si portava sempre dietro.
Veniva al poligono nel tempo libero per affinare le abilità che riteneva inferiori rispetto agli altri nel suo corso. Lei era una delle più grandi lì e le voci di corridoio avevano già iniziato a circolare – voci su come fosse stata reclutata in un minuscolo distretto di polizia del Nebraska dopo che aveva risolto il caso del Killer dello Spaventapasseri. In quanto a bravura con le armi era più o meno a metà tra i suoi compagni di corso, ma era determinata a diventare una dei migliori prima che il suo addestramento all’Accademia terminasse.
Doveva dimostrare quanto valeva ed era disposta a farlo.
*
Dopo il poligono di tiro, Mackenzie si diresse senza perdere tempo all’ultima lezione del corso, una sessione di psicologia tenuta da Samuel McClarren. McClarren era un ex agente di sessantasei anni, oltre che un autore di sei best-seller del New York Times che trattavano del profilo psicologico di alcuni dei più crudeli serial killer degli ultimi cent’anni. Mackenzie aveva letto tutto ciò che l’uomo aveva scritto e sarebbe rimasta ad ascoltare le sue lezioni per ore ed ore. Era di gran lunga il suo corso preferito. Nonostante il vicedirettore non credesse necessario che lei lo seguisse, basandosi sul suo curriculum e sulla sua esperienza lavorativa, lei non si era lasciata sfuggire quell’occasione.
Come al solito, fu tra i primi ad arrivare in classe e si mise a sedere davanti. Preparò il quaderno e la penna, mentre altri aprivano i loro MacBook. Mentre aspettava, Samuel McClarren si sistemò al leggio. Alle spalle di Mackenzie, i quarantadue studenti attendevano con trepidazione; ognuno di loro pareva pendere dalle labbra di McClarren quando parlava.
“Ieri abbiamo visto i costrutti psicologici che spingevano Ed Gein, per la gioia di alcuni tra voi deboli di stomaco” disse McClarren. “Oggi non andrà meglio, dato che ci inoltreremo nella mente spesso sottovalutata ma incredibilmente contorta di John Wayne Gacy. Ventisei vittime accertate, tutte uccise per strangolamento o asfissia tramite un laccio emostatico. Dopo aver ucciso le sue vittime, le lasciava in vari luoghi, come sotto le assi di casa sua o nel fiume Des Plaines. E poi c’è naturalmente il particolare che gran parte delle persone ricorda quando sente il suo nome: il trucco da clown. Alla base, il caso Gacy è uno studio sul crollo psicologico.”
La lezione proseguì, con McClarren che parlava e gli studenti che prendevano febbrilmente appunti. Come sempre, quell’ora e un quarto volò per Mackenzie e alla fine avrebbe desiderato sentirne ancora. In un paio di occasioni, la lezione di McClarren le aveva riportato alla mente ricordi della caccia al Killer dello Spaventapasseri, soprattutto di quando era tornata sulle scene del crimine per cercare di entrare nella testa del killer. Aveva sempre saputo di essere portata per quel genere di cose, ma aveva cercato di tenerlo nascosto. A volte la spaventava e lo trovava un po’ morboso, per questo lo teneva per sé.
Al termine della sessione, Mackenzie raccolse le sue cose e si avviò verso la porta. Stava ancora elaborando nella mente la lezione quando uscì nel corridoio, così non vide subito l’uomo in piedi di fianco alla porta. Anzi, non si accorse di lui finché non si sentì chiamare per nome.
“Mackenzie! Ehi, aspetta.”
Sentendo il suo nome si fermò e, girandosi, vide un volto familiare nella folla.
L’Agente Ellington si dirigeva verso di lei. Vederlo fu una tale sorpresa che rimase letteralmente immobile per un momento, cercando di capire cosa ci facesse lì. Mentre era ancora come congelata, lui le rivolse un timido sorriso e si avvicinò. Insieme a lui c’era un altro uomo.
“Agente Ellington” disse Mackenzie. “Come va?”
“Tutto bene” rispose. “E tu?”
“Abbastanza bene. Che ci fai qui? Segui un corso di aggiornamento?” gli chiese cercando di sembrare spiritosa.
“No, non esattamente” disse Ellington. Le sorrise ancora, ricordandole all’improvviso cosa l’avesse spinta a provarci con lui rendendosi ridicola tre mesi prima. Indicando l’uomo che era con lui, disse: “Mackenzie White, questo è l’Agente Speciale Bryers.”
Bryers fece un passo avanti tendendole la mano. Mackenzie la strinse e si prese un istante per studiare l’uomo. Sembrava aver appena passato i cinquant’anni e aveva baffi quasi completamente grigi e cordiali occhi azzurri. Capì subito che doveva essere un uomo dai modi gentili, uno dei veri gentiluomini del sud di cui aveva tanto sentito parlare da quando si era trasferita in Virginia.
“Piacere di conoscerti” disse Bryers mentre si stringevano la mano.
Terminate le presentazioni, Ellington tornò alle questioni di lavoro. “Sei impegnata adesso?” domandò a Mackenzie.
“No” rispose lei.
“Allora, se hai un minuto, c’è qualcosa di cui l’Agente Bryers ed io vorremmo parlarti.”
Mackenzie vide l’ombra del dubbio passare sul volto di Bryers alle parole di Ellington. A pensarci bene, Bryers pareva un po’ a disagio. Forse era per quello che sembrava così timido.
“Ma certo” concesse.
“Andiamo” proseguì Ellington, conducendola verso la piccola zona dedicata allo studio sul retro dell’edificio. “Ti offro un caffè.”
Mackenzie si ricordò l’ultima occasione in cui Ellington aveva dimostrato un tale interesse per lei; l’aveva fatta arrivare lì, a un passo dal realizzare il suo sogno di diventare un’agente dell’FBI, con tutti gli alti e bassi che questo avrebbe comportato. Seguirlo adesso era la cosa più sensata da fare, quindi lo fece, lanciando uno sguardo all’Agente Bryers mentre si incamminavano e chiedendosi perché fosse così inquieto.
*
“Allora, ci sei quasi, vero?” le chiese Ellington mentre si sedevano davanti alle tazze di caffè che lui aveva preso al bar.
“Mancano otto settimane” disse lei.
“Allora ti mancano antiterrorismo, quindici ore di simulazione e più o meno dodici ore di poligono di tiro, giusto?”
“E tu come faresti a saperlo?” chiese Mackenzie interessata.
Ellington si strinse nelle spalle e fece un sorrisetto. “Da quando sei arrivata qui, il mio hobby è tenerti d’occhio. Sono stato io a raccomandarti, quindi c’è il mio culo a rischio. Stai facendo colpo praticamente su tutti quelli che contano. A questo punto, il resto è praticamente solo una formalità. A meno che non combini un disastro in queste ultime otto settimane, secondo me sei già dentro.”
Trasse un profondo respiro e sembrò prepararsi a qualcosa di brutto.
“Il che ci porta al motivo per cui volevo parlare con te. L’Agente Bryers si trova in una situazione difficile e potrebbe servirgli il tuo aiuto. Ma lascerò che sia lui a spiegarti tutto.”
Bryers non sembrava ancora convinto e si capiva dal modo in cui mise giù il suo caffè e aspettò alcuni secondi prima di iniziare a parlare.
“Dunque, come diceva l’Agente Ellington, effettivamente stai facendo una buona impressione con tutti quelli che contano. Negli ultimi due giorni il tuo nome è venuto fuori già tre volte.”
“A che proposito?” chiese lei, un po’ nervosa.
“Mi sto occupando di un caso al momento che ha spinto il mio partner da tredici anni a lasciare l’FBI” spiegò Bryers. “Era comunque prossimo alla pensione, quindi