– Smettetela di sospirare e dateci una mano[145], – ordinò Mastro Uvetta, – o piuttosto, dal momento che sospirate così bene[146], provatevi anche a miagolare.
– Ho proprio voglia di miagolare, – si lamentò Zucchina. – Mi meraviglio di voi che siete una persona seria e vi mettete a scherzare in questa situazione.
Mastro Uvetta non gli rispose nemmeno e accennò un miagolio così bene imitato che l'esercito dei topi si arrestò.
– Miao, miao, – miagolava il ciabattino.
– Miao, miao, – gli faceva eco[147] il professore, senza cessare di piangere per la fine ingloriosa del suo archetto.
– Per la venerata memoria di mio nonno Topazzo Terzo, re di tutte le cantine e di tutte le fogne: qui c'è un gatto, – esclamò il Topo-in-capo, frenando bruscamente il carro armato.
Generale, siamo stati traditi, – gridò uno dei tre capitani giungendo di corsa. – Le mie truppe hanno avvistato una colonna di gatti soriani, armati di bafi e di artigli.
Le sue truppe non avevano visto un bel niente. Avevano solamente avuto paura, ma la paura fa vedere[148] anche quello che non c'è.
– Miao, miao, – miagolavano disperatamente i nostri prigionieri.
Il Topo-in-capo si lisciò la coda, come faceva sempre quando era preoccupato, tanto che la coda era tutta consumata.
– Giuro sulla memoria del mio trisavolo Topazzo Primo, Imperatore di tutti i granai, che i traditori la pagheranno.[149] Intanto, suonate la ritirata.
I capitani non se lo fecero ripetere. Le trombe suonarono la ritirata e l'intero esercito si ritirò più in fretta che potè[150], con in testa il Topo-in-capo.
I nostri stavano ancora congratulandosi per la bella vittoria, quando si udì una vocina che chiamava:
– Sor Zucchina! Sor Zucchina!
– Mi avete chiamato, professore?
– Io no, – rispose Pero Pera, – io non vi ho chiamato.
– Eppure, mi era sembrato.
– Sora Zucca, sora Zucca! – fece ancora la vocina.
La sora Zucca si rivolse a Mastro Uvetta:
– Mastro Uvetta, perché fate quella vocina?[151]
– Ma cosa vi piglia?[152] Io non faccio nessuna vocina. Mi sto grattando la testa, perché ho dentro un'idea che mi prude.
– Sono io, – continuò la vocina, – sono Fragoletta.
– E dove sei?
– Sono nella camera del Cavalier Pomodoro e vi sto parlando col suo telefono segreto. Mi sentite?
– Sì, ti sentiamo.
– Anch'io vi sento benissimo. Pomodoro sarà qui tra poco. Ho un messaggio per voi.
– Chi lo manda?
– Lo manda Cipollino. Dice che non dovete darvi pensiero, che troverà lui la maniera di farvi uscire di prigione. Non rivelate a Pomodoro il segreto della casina, non sottomettetevi: penserà lui a tutto.
Mastro Uvetta rispose:
– Non diremo niente e aspetteremo con fiducia. Però dì a Cipollino che faccia presto, perché qui siamo assediati dai topi e non sappiamo quanto tempo potremo resistere. E un'altra cosa: vedi se puoi procurarci una candela e dei fiammiferi. Quella che avevamo, i topi se la sono mangiata.
– Aspettate lì, torno subito.
– Certo che aspettiamo: dove vuoi che andiamo?
Dopo un poco si sentì nuovamente la voce di Fragoletta:
– Attenzione, ora vi mando giù la candela.
Difatti si udì un fruscio, poi qualcosa sbattè sul naso del sor Zucchina.
– Eccola, eccola, – esclamò felice il pover'uomo.
In un pacchetto c'erano una bella candela di sego e una bustina di cerini.
– Grazie, Fragoletta.
– Addio, devo scappare perché sta arrivando Pomodoro.
Difatti Pomodoro entrava proprio in quel momento nella sua camera. Alla vista di Fragoletta che armeggiava attorno al suo telefono segreto, il Cavaliere montò su tutte le furie.
– Che cosa fai tu lì?
– Pulisco questa trappola.
– Quale trappola?
– Questa: non è una trappola per i topi?
Pomodoro tirò un sospiro di sollievo:[153]
– Meno male, – pensò, – è tanto stupida che ha scambiato il mio orecchio segreto per una trappola da topi.
Si sentì subito più allegro e regalò perfino a Fragoletta la carta di una caramella.
– Ecco, per te, – disse generosamente, – succhia questa cartina. E’ dolcissima: un anno fa c'era dentro una caramella al ratafià.
Fragoletta ringraziò il Cavaliere con un inchino, dicendo:
– In sette anni di servizio, questa è la terza carta di caramelle che Vossignoria mi regala.
– Vedi dunque, – rispose Pomodoro, – che io sono un buon padrone: comportati bene e ti troverai contenta.
– Chi si contenta gode,[154] – concluse Fragoletta, e con un nuovo inchino scappò via per le sue faccende.
Pomodoro si fregò le mani, pensando:
– Ora mi metto in ascolto[155] al mio telefono segreto. Parlando tra loro i prigionieri certamente si diranno cose molto interessanti, e forse verrò a sapere dove hanno nascosto quella maledetta casina.
I prigionieri, invece, figurandosi che Pomodoro li stesse a sentire, cominciarono a parlare di lui e ne dissero di tutti i colori, di cotte, di crude e di così così.[156]
Pomodoro avrebbe ben voluto gridare: «Ora vi aggiusto io!»[157], ma non voleva scoprirsi. Dovette accontentarsi di tappare la cornetta del suo telefono, dopo di che se ne andò a dormire.
Mastro Uvetta accese la candela nuova che faceva una luce allegra e confortante.
La loro contentezza però fu di breve durata.[158] Infatti un topo di vedetta, data un'occhiata in giro, corse a riferire al comandante.
– Generale, – annunciò lietamente, – i gatti si sono ritirati. I prigionieri hanno una candela nuova.
Il Topo-in-capo inghiottì mezzo litro di acquolina e si leccò i bafi, dove era rimasto un poco di sapore di quell'altra candela.
– Fate suonare l'adunata, – ordinò seduta stante[159]. Quando l'esercito fu schierato, egli pronunciò un discorso infiammato:
– Miei prodi, la patria è in pericolo. Perciò affrettatevi al combattimento e portatemi quella candela. La candela naturalmente la mangerò io, ma prima ve la lascerò leccare un pochino a turno