La âVertenza Veneziaâ. Una gestione unitaria del polo industriale?
Il 5 febbraio 1981, al cantiere navale Breda di Porto Marghera è convocata dalla Federazione Cgil, Cisl e Uil di Venezia una riunione delle segreterie dei sindacati di categoria e dei Consigli di fabbrica per discutere «sulla preoccupante situazione di Porto Marghera, e soprattutto per le prospettive del Polo, che si lega organicamente con la crisi del sistema delle Partecipazioni Statali e con gli inaccettabili ritardi nella costruzione di una strategia di riorganizzazione dellâindustria di base a seguito della crisi energetica...» (8. Ghisini G., Sintesi della relazione tenuta a nome della segreteria Cgil, Cisl e Uil, Porto Marghera, febbraio 1981, dattiloscritto). Nella relazione dei sindacati si chiede «un contributo più efficace» dei partiti politici e delle istituzioni locali, in vista di un progetto del sindacato su «Marghera e sullâarea veneziana». Nasce così la Vertenza Venezia, un « progetto di sviluppo economico, produttivo e occupazionale dellâarea veneziana» (9. Di Renzo T., Eravamo bonzi. Ricordi senza remore delle lotte sindacali del 1980. Il petrolchimico di Porto Marghera, Marsilio, Venezia 1988, pp. 145-148). Si mira, con essa, a unificare le lotte dei lavoratori sui problemi occupazionali, evitando di rincorrere le singole situazioni di crisi. Vengono individuate con precisione anche le controparti cui le rivendicazioni sono state indirizzate: Associazione Industriali, Costruttori edili, Confcommercio, Associazione piccole aziende, Intersind e Asap (associazioni di aziende industriali pubbliche poi confluite in Confindustria), come pure Governo, Regione, Comune e Comprensorio. Il primo sciopero a sostegno delle richieste sindacali, il 17 febbraio 1981 in piazza San Marco a Venezia, con lâintervento conclusivo di Luciano Lama, segretario generale della Cgil nazionale, vede la partecipazione di oltre 30.000 persone.
Il limite di queste iniziative è che ci sono stati risultati politici importanti ma non pratici. E senza risultati pratici i problemi di Marghera non si risolvono. Dobbiamo interrogarci più a fondo sul perché Governo, Regione, Comune, padronato, partiti, si sono trovati dâaccordo sugli interventi proposti dal sindacato e alla fine... sono venute a mancare le cose pratiche. Come pure dobbiamo interrogarci su un altro limite, che perdura e che rischia di diventare un vero pericolo: questa piattaforma Venezia è nata per lâinsieme dei lavoratori veneziani, non può essere solo la piattaforma dellâindustria o di una parte di essa . (10. Aiello A., Articoli, interviste, interventi, 1975-2004, Relazione introduttiva Comitato Direttivo Fiom-Cgil, Venezia 30 marzo 1983, dattiloscritto)
Per il sindacato era lâintero polo industriale a essere posto in discussione. Da qui, lâesigenza di avere â innanzitutto dal Governo â risposte che coniugassero le politiche industriali ed economiche nazionali con il riassetto del territorio. Non una vertenza di âcampanileâ, corporativa, ma al contrario aperta al contributo delle forze politiche e istituzionali e dello stesso sindacato nazionale. I bisogni e le aspirazioni dei sindacati veneziani dovevano però scontrarsi con i bisogni e le aspirazioni di altri soggetti presenti nellâarena politica.
Quale politica industriale: territoriale o nazionale di settore?
Facendo leva sulla competitività dei siti industriali, si mirava a non subire una politica industriale calata dallâalto, frutto di decisioni tutte nazionali, allâinterno delle quali non poco peso finivano per avere le questioni sociali. Comunque non sempre il primato dellâefficienza avrebbe privilegiato Porto Marghera â e in generale il Nord â a discapito del Sud Italia, considerato spesso come unâarea assistita. Valga per tutti il caso Italsider: il centro siderurgico di Taranto avrebbe potuto, da solo, far fronte allâintero fabbisogno di produzione di acciaio del Paese. Una valutazione prettamente economica avrebbe dato ragione alla scelta di puntare tutto su Taranto, ma poi chi avrebbe gestito le negative e pesanti ricadute e cioè lo stop alle attività a Napoli, Genova, Trieste, Venezia? Sarebbe stata una scelta comprensibile se basata su una politica di settore e basta: ma diventava subito dopo una scelta inaccettabile se vista nellâottica dei territori. Lâiniziativa veneziana poteva, perciò, essere considerata come una sorta di fuga in avanti, un pensare a sé a discapito degli altri. à significativa, a tale proposito, unâintervista rilasciata a Toni Jop del quotidiano LâUnità , il 27 maggio 1981, dallâallora ministro delle Partecipazioni Statali, Gianni De Michelis: (11. Jop T., De Michelis: âTagliare per rilanciareâ. Pellicani: âChi è mancato è il governoâ, «LâUnità », 27 maggio 1981).
âLâAlumetal di Fusina raddoppierà ?
Rinviamo di tre anni il raddoppio e intanto facciamo funzionare Bolzano. Non chiudiamo lâAlumina ma non la lasciamo così comâè. Facciamo funzionare lâElemes.
Quindici giorni fa, lâEfim ha chiesto al governo 300 miliardi per finanziare un programma che prevede anche e soprattutto il raddoppio di Fusina; ora lei afferma cose molte diverse da quelle dette dallâEfim...
Ma è una cosa allâitaliana; per lâalluminio seguiremo la stessa strada battuta per la siderurgia.
Breda: si âtagliaâ o no?