Secondo Socrate la vita morale e in lei la felicità sono per questa terra, âsicché tutta lâopera sua altro non è che lavoro dâilluminazione moraleâ, solo a tale scopo secondo lui, non per assicurarsi un paradiso, bisogna che ogni anima umana divenga buona il più possibile e senza trascurare, sempre al fine dellâessere felici, un accorto soddisfacimento dei bisogni naturali come il buon bere, il buon cibo e tutte le altre cose che, praticate con moderazione, rendono la vita più piacevole, anche se in esse sole non si trova la felicità . Se il Socrate storico dellâApologia platonica afferma con forza che quanto conta nellâagire non è se esso porti vita o morte ma se sia giusto o no, perché è questo lâessenziale per una buona vita, quello sempre storico del Critone sottolinea che massimo bene non è vivere ma vivere nel migliore dei modi, moralmente, che non si può rispondere allâingiustizia con lâingiustizia; e unâeco se ne avrà nel platonico dialogo Gorgia in cui lâautore farà affermare con forza al proprio maestro châè meglio essere vittime dâingiustizia che commetterla.
Per Bertrand Russell (in Storia della filosofia occidentale, cit., traduzione di Luca Tavolini) lâaffermazione socratica, nel Critone, châè meglio soffrire ingiustizia che commetterla influenzerà il Cristianesimo. Tale principio però era già presente, assai prima, nellâetica ebraica. Socrate è stato paragonato a Cristo da molti, non solo dal Russell. Secondo alcuni critici, che sembrerebbero privi di sufficienti cognizioni giudeo-cristiane, lâispiratore del Cristianesimo sarebbe stato proprio Socrate o, meglio, i dialoghi platonici: Gesú, prima della vita pubblica, avrebbe frequentato la filosofia greca invece della tradizione e dei testi sacri ebraici. In realtà la mentalità di Cristo risultante dai vangeli è giudaica e non socratico-platonica. Secondo il Russell inoltre, âil Fedone è importante in quanto espone non solo la morte di un martire, ma anche molte dottrine che poi furono cristiane. La teologia di San Paolo e dei Padri della Chiesa deriva largamente, in via diretta o indiretta, dal Fedone e difficilmente può essere capita se non si conosce Platoneâ. Ebbene, quanto a Paolo non si può essere dâaccordo, anche sâegli conosceva certamente il Platonismo di mezzo oltre allo Stoicismo e se ne serviva; basti ricordare quanto scandalo avesse suscitato presso gli areopagiti, dopo ch'egli aveva richiamato aspetti della cultura greca per ingraziarseli, la sua inusitata asserzione sulla risurrezione del corpo raccontata dai neotestamentari Atti degli Aposotoli (At 17, 32). Alla risurrezione del corpo dei giusti credevano non solo i cristiani ma anche gli ebrei farisei (della cui setta lo stesso Paolo aveva fatto parte) per ragioni religiose derivanti da ragionamenti sulla giustizia di Dio. Quell'affermazione apolina niente ha a che vedere col Platonismo per il quale solo lâanima è immortale e il corpo è una prigione. Quanto ai padri della Chiesa, essi scrivono quandâormai il Cristianesimo sâè ellenizzato per opera degli apologisti del II secolo; a suo tempo avevo scritto altrove (libro cartaceo Cristianesimo e Gnosticismo: 2000 anni di sfida, cit.) che âper gli apologisti, Bene = Buono = Verità = Giustizia = Amore secondo Platone; peraltro non dissimilmente, in sostanza, dal concetto della sapienza giudaica, che ritroviamo in Giovanni, di Dio come assoluto dâogni beneâ. Per quanto riguarda la teologia dei padri della Chiesa, dunque, lâaffermazione del Russell è da tenere presente, purché si consideri lâapporto greco come meramente strumentale e non determinante, e tenendo presente che il Cristianesimo delle origini, cioè di Gesú e della prima Chiesa, non è platonico (cfr. Cristianesimo e Gnosticismo, 2000 anni di sfida, cit., in particolare il capitolo III - VERSETTI GNOSTICI NEL NUOVO TESTAMENTO? paragrafi: I Libri di Giovanni e le scuole apostoliche; Dualismo esseno e dualismo giovanneo - Il quarto vangelo⦠le Lettereâ¦lâApocalisse; La Lettera di Giacomo il minore; Altri autori anti-gnostici del Nuovo Testamento: Paolo, Pietro, Giuda, e il capitolo IV, INIZIA LA LOTTA. APOLOGISTI E PADRI DELLA CHIESA: CENNI, paragrafo Trionfa il concetto greco di anima â essenza: a) Apologisti del Cristianesimo).
à insomma il Socrate letterario a credere nellâimmortalità , cioè è Platone stesso che sâesprime per bocca dellâincolpevole maestro che, essendo ormai defunto, non può più, eventualmente, opporsi. Platone l'aveva incontrato nel 408 a.C. e lo aveva frequentato come discepolo sino alla fine del 399 quando, com'è ben noto, il maestro era stato processato e condannato a morte, per veleno, dai giudici del governo democratico-demagogico dâAtene.
à di Platone il primo sforzo di costituire un pensiero filosofico sistematico, fondando una costruzione intellettuale che accomuni le diverse credenze, giungendo ad assunzioni accettabili da ogni persona ragionevole: un tentativo troppo ambizioso che non riesce a realizzare e che, ancor oggi, è tradotto in realtà , parzialmente, solo in quella matematica che è un fondamentale strumento della ricerca platonica e dove il suo ideale di comunione universale di sapienti si è realizzato.
Platone afferma l'esistenza di due livelli di realtà e di conoscenza, quello del mondo sensibile e quello delle forme o essenze universali. Il secondo sâusa chiamare più sovente delle idee usando tale parola in senso ontologico, cioè secondo la scienza dellâessere.
Arriva alla sua teoria delle idee per il bisogno di riformare la scienza dellâessere dei filosofi detti eleatici, ontologia che fa capo al poema filosofico Della natura di Parmenide per il quale âlâessere è, e il non-essere non èâ, apparente banalità che implica qualcosa di più profondo, che il non-essere è impensabile ed è indicibile perché lâessere câè anche nel pensare e nel dire il non-essere; ma tale pensiero porta a dichiarare meramente illusori i fenomeni, i quali contemplano anche il venir meno e dunque il passare al non-essere e pure il trascorso non-essere di fenomeni che vengono poi allâesistenza; e tale concezione nega il valore dellâesperienza che invece li attesta.
Il problema di fondo è quello dâaccordare lâimmutabile mondo del puro essere, inaccessibile ai sensi e dove risiedono le idee, a quello dellâesistente châè soggetto al divenire e, in esso, al mutamento; ma Platone non riesce a spiegare il divenire, il sorgere, crescere e perire delle cose materiali nelle quali le idee immutabili si riflettono, mentre proprio il divenire è caratteristica tipica dei fenomeni del mondo materiale.
Per questo filosofo (Repubblica, V, 478, 479d.), se è vero che il mondo sensibile non è veramente essere, cioè non è essere che davvero è, mentre tale è solo il mondo delle idee, esso tuttavia non è non-essere ma è un intermedio fra essere e non-essere: cioè proprio quanto il principio di Parmenide afferma non possibile, perché assurdo. Dunque, da Platone il problema non viene risolto. Ci riproverà Aristotele.
Platone finisce con lâaccontentarsi di relegare il mondo sensibile a una condizione semi-illusoria e dâattribuire importanza fondamentale solo agli eterni e immutabili Bene assoluto (Dio stesso) e mondo delle idee che sono al di là di tempo e spazio.
Per giustificare lâesistente egli introduce una sorta di sotto-Dio, il Demiurgo: il mondo sensibile è costituito dalle cose materiali plasmate da questa figura divina diversa e inferiore a Dio. Il Demiurgo appare nel dialogo Timeo ed è una sorta dâartigiano divino: il mondo fisico deriva sia dal mondo delle idee sia dalla materia eterna e il Demiurgo funge da mediatore, contemplando le idee stesse, facendole scendere e plasmando lâuniverso secondo il loro modello; idee, Demiurgo e mondo esistono da sempre, come da sempre esiste il Bene assoluto. Essendo semi-illusorio,