In Grecia attorno al VII secolo a.C., quindi al tempo dei poemi omerici e prima dell'Orfismo e di Pitagora (VI secolo) e di Socrate e Platone (V-IV), la parola psyché è ancor usata nel senso pratico di vita in generale, unâenergia naturale posseduta dagli esseri umani e dagli animali e riconoscibile nel respiro, che quando cessa a causa dellâetà avanzata o per altro motivo abbandona il vivente alla morte. La vita è inoltre individuabile nel sangue che, quando fuoriesce abbondantemente per una ferita mortale, porta al decesso â è la stessa idea che ritroviamo, peraltro, presso gli Ebrei ancora al tempo di Gesù â. Secondo Omero lâessere umano possiede anche il thimos (allâincirca la coscienza), sede di sensazioni, sentimenti e pensieri.
Nel VI secolo prima di Cristo in Grecia psyché assume il significato di anima individuale viva, cosciente e raziocinante, indipendente dal corpo e immortale; per gli orfici e, in seguito, per i pitagorici e per Platone, l'anima è capace di reincarnarsi.
Il VI secolo a.C. è un periodo basilare per la storia del pensiero: in Cina vivono Lao-tse e Confucio, in India Budda, in Persia, presumibilmente, Zarathustra, nel mondo greco nasce Pitagora e si stendono a Gerusalemme i cinque libri della Legge â Pentateuco â (a proposito del processo storico di formazione del Pentateuco - libri Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio - e di altri importanti testi biblici, si può andare, volendo, al mio e-book "Il vento dell'amore").
Successivamente, Platone cerca lâetimo della parola, individuandolo nel verbo ârespirareâ, anapnêin, e pure in âio faccio asciugareâ, ovvero âio rinfrescoâ, anapsycho.
Il corpo â soma â è per tutti quei pensatori la provvisoria tomba dellâanima o, con altra metafora, ne è il carcere, e dunque la psyché non può esprimersi, impedita comâè dal medesimo corpo, se non quandâesso è debole, come nel sonno e prima della morte; morire non è dunque un evento spregevole ma nobile, perché libera lâanima dal corpo. Per Pitagora di Samo però, come dâaltronde per gli orfici, il corpo è sì la prigione dellâanima, ma la filosofia, insieme a certe pratiche di purificazione, può aiutare a sollevare l'anima stessa dalle cattive influenze del corpo; però (siamo nel dualismo corpo-anima e nello spiritualismo), si rende anche necessaria la metempsicosi: solo successive reincarnazioni possono consentire la liberazione definitiva della psyché dal soma nel ciclo delle nascite e delle morti. Col Pitagorismo le anime individuali vengono viste come espressioni dâuna comune Anima cosmica, d'un comune Spirito â Pneyma â secondo la concezione di unâorigine del mondo unitaria. Nasce così lâemanazionismo, dottrina della provenienza delle anime umane dalla divinità . Platone considera lâAnima universale come la più perfetta delle cose generate: âDopo che secondo la mente del creatore fu compiuta tutta la creazione dellâanima, dopo questa compose dentro di essa tutta la parte corporea [â¦] ma lâanima, che è partecipe di ragione e dâarmonia, è la migliore delle cose generate dal migliore degli esseri intelligibili ed eterniâ (Timeo 37, traduzione di Cesare Giarratano, in Opere complete Platone, vol. 6, Universale Laterza, 1974).
Prima di seguitare con Platone, presento alcune considerazioni sul suo maestro Socrate.
Certe volte si legge o ascolta che il concetto greco di anima si deve a Socrate. Altri, cui m'accodo, preferiscono dire a Socrate-Platone, anzi a Platone-Socrate, ritenendo assai prevalente il contributo del primo. Dâaltronde, come appare negli stessi testi e manuali di storia della filosofia, la figura storica del maestro di Platone è piuttosto vaga e distinguere tra il pensiero mai scritto del Socrate storico e quello espresso nei Dialoghi di Platone, dei quali è soggetto docente la figura socratica, è notoriamente impresa ardua. à stata tentata da molti, ma il Socrate della storia rimane non ben definito, mentre la figura di quello platonico continua a essere confusa col precedente nel sentire comune; per esempio, non tutti hanno presente che il Socrate storico non ha mai parlato di metodo dialettico maieutico, cioè del levare la conoscenza dallâanima dellâinterlocutore (poiché non suppongo la conoscenza della storia della filosofia in tutti i miei lettori, ritengo non inutile precisare un concetto anche quando sia piuttosto noto) così come unâostetrica leva il neonato dalla madre, interlocutore nel quale si suppone esistere un latente patrimonio di aprioristica conoscenza; tale metodo è genuinamente platonico, non socratico, deriva dallâidea di Platone della preesistenza delle anime.
Ã, come scriveva lo studioso di Socrate Heinrich Maier, un âprocedimento che compare per la prima volta nel Menone e [â¦] in seguito nel Teeteto è chiamato espressamente maeiuticaâ, con cui âil Socrate storico non ha assolutamente che vedereâ (Heinrich Maier, Socrate, cit., vol.2).
La figura del maestro di Platone non era stata ancora definita con certezza, nonostante tanti studi dâautori diversi, quando il Maier dava alle stampe nel 1913 la sua opera su Socrate, che apriva affermando che tale figura sembrava totalmente âsepolta sotto le scorie della tradizione letterariaâ, vale a dire principalmente sotto le testimonianze di Platone, Senofonte e Aristotele (considerando che âil mallevadore di Aristotele [â¦] è, lo possiamo dire con sicurezza, Senofonteâ) e di altri, come dâAntistene (filosofo già allievo di Socrate) e dâAristofane la cui testimonianza grottesca della figura socratica, nella commedia Le Nuvole, precede tutte le altre documentazioni, essendo stata rappresentata lâopera per la prima volta, nel 423 a.C., quandâera ancora vivo Socrate, defunto nel 399 in seguito alla ben nota condanna a morte: egli âvi appareâ, affermava il Maier, âun almanaccante filosofo della natura, uno scrutatore di astri acchiappanuvole che delle cose più prossime di questa terra dà le spiegazioni più remote [â¦] un maestro della nuova sapienza, che rende più forti i discorsi più deboli, fa trionfare gli ingiusti sui giusti e si mette sotto i piedi diritto e moraleâ: diciamo che più che una canzonatura di Socrate appare una caricatura dei sofisti, ciò châegli non era secondo le altre raffigurazioni di lui, in testa quella di Platone nella sua Apologia di Socrate (cfr. in proposito lâintroduzione di Francesco Adorno in I sofisti e Socrate, cit.); scriveva però il Maier che âPlatone, e così pure Senofonte e Antistene possono parlare per propria esperienza solo relativamente al periodo in cui stettero in relazione col Maestroâ, cioè allâingrosso nel suo ultimo decennio di vita; dunque, tornando al Socrate di Aristofane, comâè stato âammesso più volteâ il Socrate storico, prima, avrebbe potuto essere diverso e forse proprio un sofista acchiappanuvole; infatti le persone nel tempo possono mutare e effettivamente, di solito, cambiano â si spera in meglio â, ipotesi questa che comunque non tocca la figura del maestro ascoltato da Platone e dagli altri uditori assai dopo quel 423 a.C. in cui si rappresentarono Le Nuvole per la prima volta.
Nei dialoghi platonici si tratta insomma di distinguere quanto del discorso sia di Socrate, o almeno anche suo, e quanto spetti al solo Platone.
La stessa Apologia, che pur ha âfondamentale importanzaâ, di certo ânon è un documento storico in senso stretto. Non vi si può cercare la riproduzione platonica dellâarringa difensiva di Socrate in giudizioâ; ma âcertamente nellâApologia son penetrate in buon numero vere reminiscenzeâ. Questâopera, secondo il Maier, assieme al dialogo Critone coglie a sufficienza, sia pur sottostando alla costruzione letteraria, la figura storica del maestro di Platone, come pure, terza e ultima, unâopera platonica più tarda, il Simposio, dove volutamente lâautore richiama lâoriginale figura socratica, vale a dire quella dellâApologia e del Critone, pur esponendo di certo la propria personale filosofia; tutti gli altri dialoghi, secondo unâidea predicata ancor oggi, sarebbero espressioni di questa sola filosofia e il Socrate che vi parla sarebbe nientâaltri che il portavoce di Platone.