A. D. 1237-1261
Nelle descrizioni delle due vittorie riportate da Giovanni di Brienne, non vedo fatta menzione del nome, non che di veruna impresa di Baldovino, pupillo, indi successore dello stesso Giovanni, comunque già pervenuto ad età che atto al militare servigio il rendea154. Questo Principe adoperato in uffizj meglio alla sua indole confacevoli, visitò le Corti dell'Occidente, e quello soprattutto del Pontefice e del Re di Francia, alle quali lo inviarono, affinchè la presenza del giovinetto eccitando maggior compassione sulla sua innocenza e sulle sventure della sua Casa, ne rendesse più efficaci le preghiere per ottenere soccorsi d'uomini e di danari. Per tre volte egli ripetè queste umilianti peregrinazioni, nel cui adempimento, parve mettesse uno studio per prolungare la sua lontananza e differire il ritorno. Durò venticinque anni il regno di Baldovino II, la più gran parte trascorsi da lui fuori de' proprj Stati, perchè non si credea mai men libero e men sicuro, come quando nella patria e nella capitale del dominio greco si stava. Alcuna volta la vanità di lui ebbe per vero di che appagarsi sugli sterili onori che alla porpora e al titolo augusto venian tributati. Di fatto intanto che Federico II era scomunicato e percosso da un bando che intendeva a privarlo dell'impero, il suo collega d'Oriente assisteva al Concilio di Lione, seduto in trono e alla destra del Romano Pontefice. Ma quanto maggior numero di volte poi, questo Imperatore, mendico ed esule, si trovò invilito agli occhi proprj e di tutte le nazioni, e per oltraggi sofferti, e fino per la insultante pietà di cui fu lo scopo! Trasferendosi per la prima volta nell'Inghilterra fu arrestato a Douvres, e severamente redarguito perchè si era fatto lecito di entrare senza permissione negli Stati d'un regno independente; e poichè ebbe ottenuta, non senza qualche poco d'indugio, la libertà di proseguire nel suo cammino, si vide con fredda urbanità accolto alla Corte, alla quale dovette saper grado di un dono di settecento marchi d'argento con cui partì155. Tutto quanto potè ottenere dall'avarizia di Roma si stette nel bando di una Crociata e in un tesoro d'indulgenze,156 moneta invilita assai perchè troppo di frequente, e con troppa inconsideratezza era stata adoprata. Gl'illustri natali e le sventure del Principe greco, ben commossero il cuor generoso del cugino di lui Luigi IX; ma il fervor guerriero del Santo Re ai lidi dell'Egitto e della Palestina volgeasi. Baldovino alleviò alcun poco le angustie proprie, e quelle cui ridotto era il suo impero colla vendita del Marchesato di Namur e della Signoria di Courtenai, soli Stati ereditarj che gli rimanessero157. Giovatosi di questi espedienti umilianti, o rovinosi del certo, potè condurre in Romania un esercito di trentamila uomini, il cui numero apparve tanto maggiore ai Greci pel terrore che ad essi inspirò. I primi messaggi da esso inviati alle Corti francese ed inglese, annunziavano speranze ed anche buoni successi. Avea sottomessi tutti i dintorni della Capitale, fino ad una distanza di tre giornate della medesima, e conquistata una rilevante città, che comunque nelle sue lettere ei non accenni, io suppongo essere stata Chiorli; la qual vittoria dovea e fargli sgombro il successivo cammino, e assicurare la tranquillità della frontiera. Ma tutte le ridette speranze (posto ancora che le cose nunziate da Baldovino fossero state vere) si dileguarono come un sogno; nelle inette mani di questo Principe i tesori come le milizie venute dalla Francia si spersero; onde non trovò miglior sostegno per reggersi in trono di una vergognosa lega che strinse coi Comani e coi Turchi. Per confermare il vile Trattato, ei concedè la propria nipote in isposa all'infedele Sultano di Cogni, e per rendersi accetto ai Comani, alle cerimonie del loro culto si sottomise: onde fra un campo e l'altro, fu sagrificato un cane, e i Principi contraenti, come pegno di reciproca fedeltà, gustarono il sangue l'uno dall'altro158. Sempre più intanto la povertà lo premea. Il successore d'Augusto demolì gli appartamenti vuoti della sua reggia; o a meglio dire della sua prigione, di Costantinopoli per trarne legna da scaldarsi. S'impadronì de' piombi che coprivano i templi per farli supplire alle spese della sua casa. Prese ad imprestito con esorbitanti usure, danaro dai mercatanti italiani; e impegnò per qualche tempo il proprio figlio e successore al trono Filippo, onde assicurare il pagamento di un debito che avea contratto coi Veneziani159. La fame, la sete, la nudità sono patimenti reali; ma l'opulenza non vuol calcolarsi che colle regole di proporzione. Un Principe facoltoso, come privato, può trovarsi secondo i bisogni che lo premono, in preda a tutte le amarezze e le angosce dell'indigenza.
In mezzo allo squallore di una tanto obbrobriosa povertà, rimaneva tuttavia all'Imperatore o all'Impero un tesoro che ricevea il suo immaginario valore160 dalla divozione del Mondo cristiano. Scapitato era alquanto per fattine parteggiamenti il legno della vera Croce, oltrechè l'essere dimorato sì lungamente fra le mani degl'Infedeli, rendea anche sospette molte particelle di esso già diffuse per l'Oriente e per l'Occidente; ma veniva conservata nella cappella imperiale di Costantinopoli un'altra reliquia della Passione del Redentore. La Corona di Spine di Gesù Cristo era non men della Croce, cosa preziosa ed autentica. È noto che gli antichi Egizj depositavano per pegno de' proprj debiti le mummie de' loro antenati161, e faceano così garante l'onore e la religione pel pagamento della somma tolta ad imprestito; imitato avevano questo esempio i Baroni della Romania in tempo che l'Imperatore era lontano, perchè abbisognando di un prestito di tredicimila centotrentaquattro piastre d'oro, diedero in ostaggio la Santa Corona per ottenerlo162. Giunto il tempo del pagamento, nè trovandosi all'uopo i danari, Nicola Querini, ricco mercatante veneziano, si offerse a soddisfare i creditori, con che la Corona rimanesse depositata in Venezia, e divenisse poi proprietà personale dello stesso Querini, ogni qualvolta entro un termine corto e pattuito non venisse riscattata. Avendo i Baroni dovuto far noto al Sovrano questo malauguroso contratto, e il pericolo che sovrastava, perchè lo Stato non aveva abilità per una somma maggiore di settemila lire sterline all'incirca, Baldovino trovò che sarebbe stato provvedimento ammirabile in quel frangente il ritogliere dalle mani de' Veneziani questo tesoro, e farlo passare in quelle del Re cristianissimo163. Il qual partito e più onorevole ed utile si dimostrava. Nondimeno la negoziazione trovò alcune difficoltà. Il pio Luigi IX avrebbe riguardata la compera di una reliquia come un delitto di simonia; ma cambiando solamente lo stile del contratto, egli trovò che potea senza scrupolo pagare il debito de' Greci, ricevere la Corona di Spine qual donativo, e dare indi un attestato di gratitudine al donatore. Due Dominicani pertanto vennero inviati a Venezia siccome ambasciadori incaricati di riscattare e ricevere il santo deposito che sottratto si era ai pericoli della navigazione e alle galee di Vatace. Aperta la cassa, vennero verificati i sigilli così del Doge come dei Baroni greci, stati apposti sopra un reliquiario d'argento, prima custodia della scatoletta d'oro, entro cui questo monumento della Passione di Cristo si racchiudeva. I Veneziani cedettero, benchè di mal animo, alla giustizia e alla potenza del Re di Francia; l'imperator Federico diede rispettosamente per li suoi Stati il passaggio alla preziosa reliquia; tutta la Corte di Francia le andò incontro fino a Troyes nella Sciampagna. Il Re co' piedi