Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12. Edward Gibbon. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Edward Gibbon
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Зарубежная классика
Год издания: 0
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di tutti i feudi dell'Impero incominciando dall'intero reame, e venendo fino all'infimo fra' castelli. La costoro ignoranza, le discordie, la povertà ne estendevano la tirannide ai più rimoti villaggi. Il poter temporale de' preti, e l'odio fanatico de' soldati in un medesimo tempo i Greci opprimea; e il linguaggio e la religione diversa erano siccome un cancello che per sempre separava i vinti dai vincitori. Sintantochè i Crociati rimasero uniti nella capitale, la ricordanza delle loro vittorie, e il terrore dell'armi loro tennero cheto il soggiogato paese; ma col disunirsi, il segreto della propria debolezza derivata da scarso numero, e dalla poca lor disciplina svelarono; alcune rotte che per imprudenza si procacciarono li diedero a divedere non invincibili. A proporzione di tema sminuita l'odio afforzavasi ne' Greci, che ben presto passarono dalle lamentele alle cospirazioni; onde un anno di servaggio non era ancora per essi compiuto, quando implorarono, ossia accettarono con fiducia il soccorso di un Barbaro, la cui possanza già aveano provata, della gratitudine del quale non dubitavano132.

      A. D. 1205

      Calo-Giovanni o Giovannizio, Capo ribelle dei Valacchi o de' Bulgari, fu tra i più solleciti a congratularsi, mediante un'ambasceria coi Latini. Il titolo reale da lui assunto, e la santa bandiera dal Pontefice romano inviatagli, sembravano francheggiarlo a riguardarsi come fratello de' nuovi imperatori di Costantinopoli, oltrechè, siccome lor complice nel sovvertimento del greco Impero, credeva a buon diritto potersi noverare fra i loro amici. Qual si fu la sorpresa di Giovannizio in udendo che il Conte di Fiandra, imitando il fastoso orgoglio de' successori di Costantino, ne avea rimandati gli ambasciadori, superbamente annunziandogli essere solo dovere d'un ribelle il venire con fronte china a toccare i gradini del soglio per meritarsi il perdono? Se il Re de' Bulgari non avesse ascoltate che le voci del proprio risentimento, il sangue unicamente potea lavar questo oltraggio; ma una più prudente politica egli adoprò133; pago per allora di star guatando i progressi del mal umore de' Greci, ai quali intanto diede a conoscere quanta pietà in lui destassero le loro sventure, e come ei fosse propenso a secondare colla persona, e con tutte le forze del regno, i primi tentativi che per essi farebbersi a ricuperare la libertà. L'odio di nazione dilatò la congiura, e ad un tempo il secreto e la fedeltà de' congiurati fe' più sicuri. Benchè però i Greci ardessero d'impazienza di conficcare i loro pugnali nel seno de' vincitori, aspettarono accortamente che Enrico fratello del nuovo Cesare avesse condotto al di là dell'Ellesponto il fior delle truppe. Le città e i villaggi della Tracia, per la più parte, mostraronsi pronti a puntino al momento ed al segnal convenuti; perlocchè i Latini, privi d'arme e di sospetti, si videro d'improvviso in preda alla spietata e codarda vendetta de' loro schiavi. Da Demotica, ove questa scena di strage ebbe principio, alcune navi del Conte di S. Paolo cercarono in Andrinopoli ripararsi: ma già l'infuriata plebaglia ne avea scacciati, o immolati, i Francesi ed i Veneziani. Quelle guernigioni latine che pervennero a guadagnarsi una ritirata, sulla strada maestra della capitale incontraronsi; ma quanto alle Fortezze isolate che ai ribelli tuttavia resistevano, un presidio non sapea la sorte dell'altro, e tutti quella del lor Sovrano ignoravano. La fama ingrandita dallo spavento, portò ben presto a Costantinopoli le notizie della ribellione dei Greci, e del rapido avvicinamento del Re dei Bulgari. Giovannizio avea aggiunto alle sue truppe un corpo di quattordicimila Comani, tolti dalla Scizia, i quali beveano, dicesi, il sangue de' lor prigionieri, e sugli altari delle loro divinità i Cristiani sagrificavano134.

      Atterrito l'Imperatore, spedì un corriere per richiamare il fratello suo Enrico; e se Baldovino avesse aspettato il ritorno di questo principe valoroso, che dovea condurgli un soccorso di ventimila Armeni, sarebbesi veduto in istato di assalire il Re de' Bulgari con eguaglianza di numero, e superiorità assoluta di armi e di disciplina. Ma lo spirito di cavalleria non sapendo per anco discernere dalla viltà la prudenza, l'Imperatore mosse al campo, scortato da soli cenquaranta cavalieri, e dal lor seguito ordinario di arcieri e sergenti. Dopo inutili rimostranze, il Maresciallo finalmente obbedì al comando di condurre l'antiguardo in sulla strada di Andrinopoli; il Conte di Blois conducea il corpo di battaglia, al retroguardo il vecchio Doge si stava. Accorsi da ogni banda sotto le bandiere di questo piccolo esercito i fuggitivi Latini, s'imprese tosto l'assedio di Andrinopoli, e tali erano le pie intenzioni de' Crociati, che durante la Settimana Santa, davano opera a devastar foraggiando la campagna, e a fabbricar macchine intese alla distruzione di un popolo di Cristiani. Ma ben tosto interruppeli la cavalleria leggiera de' Comani, venuta arditamente a scaramucciare quasi sul confine delle disordinate lor linee. Il Maresciallo pubblicò un bando che avvertiva la cavalleria di trovarsi pronta per montare a cavallo, e ordinarsi in battaglia al primo suono di tromba, minacciando pena di morte a chiunque si fosse distolto dai compagni per inseguire il nemico. Primo a disobbedire ad una provvisione tanto sensata il Conte di Blois, fu cagione colla sua imprudenza della perdita dell'Imperatore. Al primo impeto de' Latini, essendosi i Comani, a guisa di Parti o di Tartari, dati alla fuga, dopo una corsa di due leghe, voltaron fronte congiuntamente, e avvilupparono i pesanti squadroni francesi nel momento che stremi dal correre e cavalli e cavalieri, non aveano questi alcuna abilità di difendersi. Ucciso il Conte sul campo di battaglia, prigioniero l'Imperatore rimase; e il loro valor personale, per cui l'un d'essi disdegnò di fuggire, l'altro di ceder vilmente mal compensarono l'ignoranza, o la trascuratezza che diedero a divedere degli obblighi imposti ai generali d'esercito135.

      A. D. 1205

      Superbo della riportata vittoria e dell'illustre prigioniero che traeva seco, il Bulgaro si avanzò per soccorrere Andrinopoli e a compiere la sconfitta dei Latini; de' quali sarebbe stata inevitabile la distruzione, se il maresciallo di Romania non avesse data prova di quel tranquillo coraggio e di quel militare intendimento, rari in tutti i secoli, ma più ancora straordinarj in quella età, ove più dall'istinto che dalla scienza, le guerre eran condotte. Il Villehardouin limitatosi a manifestare i proprj timori, e il cordoglio che lo premea, al suo fedele e prode amico, il Doge di Venezia, inspirò per tutto il campo quella fiducia, in cui sola riduceasi la speranza della salvezza. Dopo essersi per un intero giorno mantenuto nella pericolosa situazione che fra la città e il nemico esercito lo collocava, il Maresciallo levò il campo di notte tempo, e senza veruno strepito, operando per tre continui giorni una ritratta cotanto ingegnosa, che Senofonte e i suoi diecimila eroi sarebbero stati costretti ad ammirarla; instancabile nel correre dal retroguardo all'antiguardo, quivi sostenea l'impeto de' nemici, ivi fermava l'imprudente correre de' suoi fuggitivi. Per ogni dove i Comani affrontavano, una linea d'insuperabili lancie si parava contr'essi. Nel terzo dì finalmente, e dopo essere state così tribolate, le truppe latine scorsero il mare, la solitaria città di Rodosto136 e i compagni che dalle coste dell'Asia giugnevano. Abbracciatisi, piansero insieme, e l'armi loro e i lor consigli riunirono. Il Conte Enrico assunse a nome del fratello, il governo d'un impero ancor nell'infanzia, nondimeno a caducità pervenuto137. I Comani mal resistendo all'ardor della state si ritirarono; ma sull'istante del pericolo, settemila Latini, infedeli al loro giuramento e ai fratelli, abbandonarono la capitale: alcune vittorie di poco momento mal compensavano la perdita di cento cavalieri periti nelle pianure di Rusio. La sola Costantinopoli, e due o tre Fortezze sulle coste di Europa e di Asia, all'Imperator rimanevano. Il Re de' Bulgari, invincibile come inesorabile, evitò con modi rispettosi di condiscendere alle istanze del Pontefice che pregava il nuovo proselito a restituire ai desolati Latini la pace e il loro Sovrano. «La liberazione di Baldovino, rispondea Giovannizio, non è più in potere degli uomini. Di fatto questo principe era morto nel suo carcere, e l'ignoranza indi e la credulità, molti diversi racconti sul genere di questa morte han divulgati. Coloro che di storie tragiche si dilettano, crederanno di buon grado che il casto prigioniero fe' vani gli amorosi voti della Regina de' Bulgari; che tale rifiuto alle calunnie della femmina, e alla gelosia di un selvaggio lo avventurò; che mani e piedi gli venner troncati; che il rimanente di quel sanguinoso corpo fu gettato fra gli scheletri de' cavalli e dei cani, e respirò per tre giorni, sintanto che gli uccelli da preda venissero a divorarlo138. Vent'anni dopo, in una foresta de' Paesi Bassi, un romito si volle far credere il conte Baldovino, imperator di Costantinopoli, e sovrano legittimo della Fiandra; narrò a quel popolo, egualmente propenso alla ribellione e alla credulità, le circostanze straordinarie della sua


<p>132</p>

Qui incomincio a valermi con fiducia e libertà degli otto libri della Hist. C. P. (sotto l'Impero de' Francesi) composti dal Ducange come supplimento alla storia del Villehardouin, i quali comunque scritti in barbaro stile, hanno tutto il merito che all'opere classiche e originali appartiene.

<p>133</p>

Nella risposta che Giovannizio fece al Pontefice, possono vedersi le rimostranze e le querele di questo principe (Gesta In. III, c. 108-109). I Romani amavano Giovannizio, e come il figliuol prodigo lo riguardavano.

<p>134</p>

I Comani erano un'orda di Tartari o Turcomanni che, nel duodecimo o nel tredicesimo secolo, accampavano sulle frontiere della Moldavia. Trovavansi fra essi un grande numero di Pagani ed alcuni Maomettani. Luigi, Re d'Ungheria, nel 1370, convertì l'intera tribù al Cristianesimo.

<p>135</p>

Niceta, sia per odio, sia per ignoranza, accagiona di questa rotta la viltà del Doge (p. 383); ma il Villehardouin chiama a parte della propria gloria il suo venerabile amico, qui viels home ère et gote ne vecit, mais mult ere sages et preus et vigueros (n. 193).

<p>136</p>

La Geografia esatta e il testo originale del Villehardouin (n. 194), mettono Rodosto lontano tre giornate (Trois journées) da Andrinopoli. Ma il Vigenere, nella sua versione, ha sostituito goffamente tre ore; abbaglio che il Ducange non ha corretto ed ha tratti in grossolani equivoci molti moderni, i nomi de' quali mi piace il tacere.

<p>137</p>

Il Villehardouin e Niceta (p. 386-416) raccontano il regno e la morte di Baldovino; il Ducange supplisce alle loro ommissioni nelle Osservazioni, e sul finire del suo primo libro.

<p>138</p>

Dopo avere allontanate tutte le circostanze sospette e improbabili possiamo trar prove pella morte di Baldovino, I. Dall'opinione de' Baroni che non ne dubitavano (Villehardouin n. 230). II. Dall'affermazione di Giovannizio o Calo-Giovanni che si scusa sul non avere posto in libertà l'imperatore, quia debitum carnis exsolverat cum carcere teneretur (Gesta Innocentii III, c. 109).