– Quella cara fanciulla! esclamò il vecchio prete con accento di ossequenza affettuosa: per me sarà un favore l'esserne ricevuto.
Il domestico aveva riaperto l'uscio, ed entrava l'alta e simpatica persona di Massimo d'Azeglio.
Don Venanzio s'inchinò profondamente ma senza servilità innanzi al marchese, s'inchinò passando daccanto al nuovo venuto che s'avanzava, ed uscì col domestico che richiuse il battente dell'uscio.
Baldissero, senza abbandonare la poltrona, si volse verso il visitatore e fece col capo un cenno di saluto gentile sì, ma in cui pur tuttavia era una lieve traccia di riserbo, una tinta di autorevolezza da superiore.
Massimo, egli, salutò con quella spigliatezza elegante che gli era naturale, in cui s'accordavano la grazia del gentiluomo e la libertà dell'artista.
– La riverisco signor marchese.
Questi gli accennò la poltrona da cui s'era levato allor'allora Don Venanzio.
– Buon giorno cavaliere. Godo di vederla.
Nessuno dei due offrì all'altro la mano. D'Azeglio sedette e fissando il suo occhio limpido e intelligente sulla nobile figura del marchese, con un sorriso de' più simpatici rispose inchinando leggermente la testa:
– La ringrazio. La mia venuta non la stupisce?
– No; sapevo che Lei era venuto a Torino dopo sì lunga assenza, ed ho avuto la superbia di lusingarmi ch'Ella non avrebbe affatto dimenticato un vecchio amico della sua famiglia.
– Dimenticato, no certo… Sarei venuto ad ogni modo a riverirla; ma pure, se mi vi sono recato così sollecito… Lei sa come uno dei miei pochi pregi è quello d'essere sincero… si è perchè, oltre il piacere di vederla, avevo da chiedere alla sua protezione un favore.
Baldissero tirò indietro la testa fino ad appoggiarla alla spalliera della poltrona, e guardando con occhio urbanamente scrutativo il suo interlocutore, disse:
– Udiamo questo ch'Ella dice favore. Se la è cosa ch'io possa, faccia conto già fin d'ora come se vi avessi assentito.
Massimo tornò ad inchinarsi.
– Come Ella sa, io mi sono fatto artista…
– E letterato: aggiunse il marchese con un sorriso e con un tono che difficilissimo il dire se erano un complimento od una finissima ironia.
– Letterato è un termine troppo ambizioso, che non ardisco adoperare: disse Azeglio con accento e con sorriso pari a quelli del marchese: scarabocchiatore di tele e di carta, sissignore… Basta: l'artista non ha mica escluso in me il cittadino: anzi!.. Ho girato ed abitato varie parti d'Italia; ho imparato a conoscer meglio e ad amare di più la nostra nazione; ma non ho nemmanco cessato o sminuito di amare specialmente questo nostro angolo di terra, il Piemonte. Tornato per poco tempo a questo mio paese natìo, ho ricondotto qui non tanto l'artista, quanto il cittadino… L'ambiente di questo paese, anche dopo l'intelligente protezione data all'arte da Carlo Alberto, è ancora più propizio alle maschie virtù dell'amor patrio che non alle blandizie del culto del bello. Ho pensato di molte cose che mi furono suggerite dalla conoscenza che ho acquistata delle condizioni d'Italia, di molte cose che mi sembra avrebbe a tornare non inutile pel bene e d'Italia e del Piemonte stesso e della nostra monarchia di Savoia, che qualcuno sottomettesse all'apprezzamento del nostro Re, e mi sono detto che questo qualcheduno potrei essere io medesimo. È per ciò che sono venuto a pregarla, marchese, di farmi ottenere un'udienza il più sollecitamente che sia possibile da S. M.
Baldissero stette un momento in silenzio guardando d'Azeglio con quel suo sguardo cortesemente scrutatore, come se cercasse scorgere nell'animo di chi gli aveva parlato, o meditasse seco stesso quali potessero essere le cose che quel nobile fattosi liberale intendeva dire a Carlo Alberto, principe che in giovinezza aveva manifestato velleità liberali ancor egli; ma poi, come ravvisatosi e quasi pentito del piccolo indugio frapposto alla risposta, disse sollecitamente e con urbana condiscendenza:
– La ringrazio d'essersi rivolta a me per codesto. Quest'oggi stesso avrò l'onore di vedere S. M. e non dubito che mi sarà dato di farle una risposta quale Ella desidera.
Massimo fece un cenno del capo che era un ringraziamento; e Baldissero corrispose con un atto della mano che significava: è mio dovere. Stettero un momento in silenzio, come non sapendo qual discorso avviare, e fu il marchese che dopo un poco ricominciò a parlare.
– Conta Ella fermarsi alquanto tempo a Torino?
– Pochissimo. Fra due o tre giorni ripartirò per continuare la mia vita nomade d'artista traverso le città italiane.
– Ella dunque ha perso ogni affezione a questo nostro vivere torinese?
– Amo sempre questa città come il mio luogo natio; e trovo ch'essa potrebbe essere il più gradito soggiorno del mondo.
– Potrebbe essere? ripetè sorridendo il marchese.
– Signor sì: ribattè vivamente d'Azeglio; e non contraddico menomamente la giusta interpretazione che il suo sorriso dà alle mie parole. Potrebbe essere, ma non è tale per molte ragioni che qui non è il caso d'esprimere…
– E sulle quali forse, aggiunse Baldissero, noi non andremmo facilmente d'accordo.
Massimo annuì con un cenno.
– Che cosa vuole? Riprese egli poi. Sono io che mi sono guasto. La vita spigliata e libera che ho intrapresa, mi fa restare disagiato alle stampite di questa grave e severa monotonia regolata. Gli è come un buon pastricciano di campagnuolo che avendo calzato sempre abiti larghi ed alla buona, lo si voglia poi far rinserrare le membra nel vestito stretto e il collo nella cravatta allacciata delle foggie cittadinesche di rispetto.
– Tutto sta, disse il marchese continuando in quella urbanità sorridente e un po' maliziosa: tutto sta a sapere se meritino preferenza i modi del campagnuolo o quelli del cittadino.
– È una questione che si può risolvere sotto varii rispetti: rispose l'Azeglio con un'espressione che significava chiaramente declinar egli ogni volontà di discutere col suo nobile interlocutore. Rapporto a me confesserò che la risoluzione adottata è l'effetto dell'egoismo; mi trovo meglio in un modo che nell'altro… Ma Ella sa bene, soggiunse allegramente, che i Taparelli ne hanno tutti un ramo.
– Quell'originalità d'ingegno e di carattere che Ella battezza così poco rispettosamente, ha fatto di tutti i Taparelli degli uomini superiori che hanno servito con gloria il re ed il paese.
D'Azeglio s'inchinò in segno di riconoscente ringraziamento.
– È una bella consolazione per un uomo di merito l'aver dietro di sè ne' suoi antenati tanti valenti uomini da imitare.
– Ciascuno dà quello che ha. Avrei voluto, vorrei benissimo poter dare in me alla patria un uomo di Stato, un valente guerriero, un abile diplomatico: venga l'occasione e tutto quel poco che so, che sono e che valgo, metterò in servizio del mio paese. Per intanto non ho potuto dar altro ai miei concittadini che un meschino artista ed un meschino scrittore. Mi sono scrutato, come dice la Scrittura, le reni, e non ho trovato in me stoffa da personaggio di vaglia.
– Suo padre l'aveva avviata per la carriera militare: disse vivacemente il marchese abbandonandosi alla piega confidenziale che aveva preso il discorso. È una delle più belle, delle più utili al paese, delle meglio fatte per un nome qual è il suo, per una natura irrequieta…
– Come la mia: aggiunse d'Azeglio sorridendo, mentre Baldissero aveva troncato la parola per non dirlo egli.
– Bene; come la sua: ripetè scherzosamente il marchese. Perchè abbandonarla?..
S'interruppe: prese un'aria più grave, ma in pari tempo più affettuosa, quasi paterna.
– Mi perdoni, soggiunse, l'entrare in siffatti discorsi. Da tempo la mia famiglia è avvinta con vincoli di stima e d'affetto alla sua; i nostri avi combatterono sempre a fianco; di suo padre, il marchese Cesare, fui amico quasi intimo,