– Ma che cosa aveva egli fatto, il vostro Percivalle? – dimandò Ginevra.
– Ecco! La corte era adunata e il siniscalco era tutto in faccende. Il trovatore lo tira in disparte e gli dice: messere, l'amico Sauvaine ha bisogno di voi, e subito subito. – O come? Ed io che non posso muovermi! Il re, la regina… – Non c'è re, nè regine, che tengano; l'amico ha bisogno d'aiuto; ponete che sia in fin di vita; lo abbandonereste voi? – A Dio non piaccia… – Orbene, gli è appunto il caso; partiamo, e si dimostri per voi che l'amicizia non è un nome vano. Il siniscalco, cedendo alle istanze di Percivalle Doria, andò con esso lui, e fu tratto il cavaliere di Sauvaine dall'unghie del suo mortale nemico. Ma la corte era rimasta senza il siniscalco; il torneo non fu fatto; la regina si dolse; Alboino strepitò, e il povero trovatore, che aveva turbato le gioie della corte, fu mandato con Dio, senza la croce d'un quattrino; contento tuttavia, nel profondo del cuore, di aver fatto sì che l'amico non fallisse all'amico. __Amen.__
– E finisce qui? – dimandò maliziosamente Ginevra, alla cui perspicacia non era sfuggita la titubanza del narratore, nè certe occhiate ch'egli andava tratto tratto gettando, a mo' di chiosa, all'amico Aloise.
– Finisce qui, marchesa; – rispose Enrico.
– Non mi piace.
– Pure, è storia pretta.
– Mi date licenza di non crederlo?
– Questa ed ogni altra che vi piaccia di ottenere, o di prendervi; ma, per non aggiustar fede ad una storia, bisogna averci le sue brave ragioni. E fino a tanto non venga fuori una storia più autorevole della mia, non mi darò certamente per vinto.
– Qual è l'autore che avete letto voi?
– Non lo ricordo.
– Ha da essere il… Pietrasanta! – disse, tra le risa di tutti gli astanti, la marchesa Ginevra.
– E per questo non v'è piaciuta la storia! – notò di rimando Enrico.
– Non mi fate dire ciò che neppure mi era passato per la fantasia; – soggiunse Ginevra; – ho detto soltanto che di voi, sviscerato campione dell'amicizia, non bisognava fidarsi.
– Mano agli altri autori, dunque, se li trovate!
– Oh non temete, li troverò. Venite qua, voi, Antoniotto! – proseguì la marchesa, volgendosi al marito, che s'innoltrava a lenti passi verso l'allegra brigata. – Avete qualche libro intorno ai poeti provenzali nella vostra biblioteca?
– Credo di sì; il Crescimbeni… Anzi, aspettate, ci ha da essere perfino un vecchio esemplare del… del… Aiutatemi a dire, Aloise!
– Intorno alle vite dei poeti provenzali ha scritto il Nostradamus; – rispose il Montalto.
– Sì, per l'appunto, un esemplare del Nostradamus. Volete che vada a cercarlo, Ginevra?
– Mi farete cosa gratissima.
– Spietata giudichessa! – esclamò con aria malinconica il Pietrasanta. – Voi mi volete morto, senz'altro?
– No, voglio la giustizia e nulla più. Anzi, perchè abbiate a riconoscere la nostra imparzialità, deleghiamo il vostro migliore amico ad accompagnare Antoniotto nelle sue ricerche in libreria. —
L'invito di Ginevra era accompagnato da un sorriso così lusinghiero, che Aloise, quantunque avesse capito il senso della storiella del Pietrasanta e gli premesse di rimaner solo due minuti con esso lui, fu pronto ad alzarsi e rispose all'amata:
– Grazie, signora; vado subito.
– Vado anch'io, se lo permettete… – soggiunse Enrico, che voleva ad ogni costo trovar l'occasione di tirare in disparte Aloise.
– No, Pietrasanta, la Corte non può concedervi tanto. Non siete voi l'accusato? E come abbiamo delegato il vostro amico per le indagini, così deleghiamo la nostra amica Giulia a tenervi in custodia.
– Ed ecco le catene! qua i polsi! – soggiunse la Giulia, mostrando una nuova matassa di lana.
Enrico Pietrasanta, che si era morso il labbro alle prime parole della marchesa Ginevra, non seppe resistere alla dolce violenza della Giulia.
– Non si faccia resistenza a un così vezzoso carabiniere! – diss'egli, sorridendo. – Eccomi in vostra balìa! —
E porse le mani per accettar le catene.
Al marchese Antoniotto, frattanto, non tornò difficile metter le mani su quell'esemplare del Nostradamus che aveva accennato a sua moglie. E fu uno scoppio universale di risa, un nembo d'arguzie, una gazzarra di festosi motteggi, quando venne fuori, da quelle pagine ingiallite dal tempo e rose dai tarli, la vera storia di Percivalle Doria, trovatore di Carlo d'Angiò, poco dianzi svisata, anzi rifatta di pianta, dall'amico di Aloise.
Ma a lui poco importava delle risa universali: se la cavò ridendo ancor egli da quella tempesta di motteggi, alla quale era già preparato, e allorquando la marchesa Giulia notò malignamente che gli allori di Aloise lo avevano ingelosito, non si provò neanche a contraddirla.
Dal canto suo, Aloise pensava, e andava cercando da sè che diamine avesse inteso di fare il Pietrasanta con quella sua pazzesca narrazione. Come gli parve di aver trovato, si accostò discretamente all'amico, e, cogliendo il destro che gli era offerto da alcune frasi impacciate del marchese De' Carli che tiravano altrove l'attenzione delle dame, gli domandò sommessamente:
– Dimmi, il tuo Laurent di Sauvaine sarebbe egli…
– Sicuramente; – rispose l'altro, – sarebbe Lorenzo Salvani. —
Ma in quella che Aloise stava per ripigliar la parola, i ragionari della brigata furono interrotti da un servo, che, fermatosi ad una rispettosa distanza dal crocchio, annunziò esser l'ora del pranzo. E qui Aloise fu sollecito ad offrire il suo braccio alla Ginevra; il marchese Antoniotto alla Maddalena; laddove ad Enrico Pietrasanta fu preso, più ch'egli non l'offrisse a lei, dalla vezzosa Giulia, che si avviava con lui, come i lettori discreti hanno già inteso, in quelle amene regioni del Tenero, che ci lasciò descritte, nella sua famosa carta, madamigella di Scudéry.
La faccenda del pranzo occupò due ore buone. Il Pietrasanta, seduto lontano da Aloise, aveva un bel saettarlo d'occhiate; Aloise era tutto nei discorsi di Ginevra, e non poteva badare a lui. Le occhiate, d'altra parte, se bastano talvolta a significare un sentimento, un affetto, non giungono mai ad esprimere un ragionamento.
Per pochi minuti, quando si furono alzati e la consuetudine li ebbe condotti in giardino, Enrico potè finalmente tirare in disparte Aloise. Ma il loro dialogo era a mala pena cominciato, che le dame inoltrandosi da quella banda, vennero a rompergli il filo.
– Voi siete un guastafeste, Pietrasanta; – disse la Ginevra, con un accento che imparadisò il giovine Aloise; – le dame escono a passeggio; e voi rapite loro i cavalieri.
– Perdonatemi, signora; parlavo ad Aloise di un mio negozio piuttosto grave…
– Parlatene a me! – entrò a dire la Giulia. – Le donne ci hanno spesso di buoni consigli in serbo. —
E prese, come aveva già fatto da prima, il braccio di Enrico. Ed egli, che non era sant'Antonio, cedette a quella dolce violenza.
Qui certamente era da scorgersi un deliberato proposito delle signore. La Giulia voleva far ricredere il Pietrasanta di tutte le sue chiacchiere contro l'amore, e questo era facile ad immaginarsi. Ma Ginevra! Che cosa pensava Ginevra? Ella mirava a trattenere Aloise, ed anche questo s'intendeva facilmente. Ma perchè? Voleva forse fare ammenda con lui della sua solita severità? O non era che un capriccio di donna, che aveva notato un segreto tra i due giovani, e s'impuntava a tenerli divisi? O c'era ad un tempo dell'una cosa e dell'altra?
Comunque