La guerra del Vespro Siciliano vol. 2. Amari Michele. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Amari Michele
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Зарубежная классика
Год издания: 0
isbn: http://www.gutenberg.org/ebooks/47114
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in terraferma le armi nostre. Avuti i messaggi del conte di Catanzaro, re Carlo, esausto di danari, dopo molta deliberazione, avvisò munir le città marittime di Puglia, senza affaticarsi a impotenti aiuti nelle Calabrie; onde scorsi i dì quaranta, vennero in poter di Federigo tutta la contea di Catanzaro e la Terra Giordana. Il re con l’esercito, Loria con l’armata, venuti in questo sopra il conte di Monforte, lo fean levare dall’assedio di Rocca Imperiale. Poi l’uno, cavalcando ambo le Calabrie vittorioso, piegò agli accordi il feroce arcivescovo di Sanseverina; occupò, dato il guasto al contado, Rossano fortissima di sito, e le terre d’attorno; e inanimito da’ successi, minacciava le province di sopra. L’ammiraglio, valicato il golfo di Taranto, assaltava Terra d’Otranto. Dapprima innoltratosi sull’asciutto fino a Lecce, d’improvviso assalto di notte, la sorprese e depredò. Rientrato in nave, presentasi ad Otranto; senza fatica se n’insignorisce, mentre gl’irresoluti cittadini nè difendeansi, nè venieno a’ patti; e perchè gli parve comodo il porto, la rafforzò di torri e di mura, lasciovvi tre galee e scelta gente di presidio165. Dopo ciò tentava un colpo su Brindisi.

      Ma perchè vel prevennero secento cavalli francesi, Ruggiero, posti in terra i suoi, trinceossi alla Rosèa con pali e corde intorno, a sua usanza; e non potendo assaltar la città, dava il guasto al paese. Avvenne un dì, che conducendo egli stesso la cavalcata infino al ponte di Brindisi, i fanti che ’l seguiano, spinsersi oltre il fiume in cerca di verzure e più limpid’acque, in un luogo che l’ammiraglio non tardò a riconoscer atto ad insidie: ond’ei sopra un ronzino corse lor dietro, gridando che tornassero. Ed ecco una torma di cavalli francesi, uscita dall’agguato, a corsa drizzarsi al ponte. Voltò la briglia Ruggiero; a mala pena guadagnò il ponte; gridò che gli recassero il suo destrier di battaglia; e ansando facea montare gli uomini d’arme: perchè nella difesa del ponte stava la salvezza de’ suoi, sparsi e pochi incontro al grosso stuolo nimico. Già il capitano, Goffredo di Joinville, con un altro nobil guerriero, trasvolavan oltre l’arco di mezzo; eran perduti i nostri, se Peregrino da Patti e Guglielmo Palotta, cavalieri siciliani, non si gittavan soli sul ponte. Costoro a’ due Francesi fecer testa, indi a tutta la torma accalcatasi allo stretto varco: bagnati di sangue da capo a piè, coperti di ferite, tennero il ponte finchè l’ammiraglio sopravvenne co’ suoi, gridando: «Loria, alla riscossa!» Allora si strinse più aspra la zuffa. Sotto i colpi delle spade e delle mazze volavano, scrive Speciale, in pezzi le armature; fronte con fronte, petto con petto, cozzavano i guerrieri. L’ammiraglio e Joinville per caso affrontansi: e alza questi la mazza per ferire; Ruggiero al tempo, gli vibra una punta tra corazza ed elmo; ondechè il Francese, avvampando di vendicarsi, immerge gli sproni ne’ fianchi del cavallo per gittarlo addosso al nemico; e gittossi a morte, perchè l’agil animale, spiccato un salto, precipitava giù dal ponte. Nè finì la tenzone a questo; dura e ostinata si travagliò, finchè i balestrieri siciliani, bersagliando la massa de’ nemici serrata sul ponte, laceraronla, diradaronla e volserla in fuga. Molti, fitti nella melma del fiume, restarono uccisi o prigioni; i fuggitivi non inseguì Loria co’ suoi, laceri e ansanti poco men che i nimici, per la disuguale battaglia. Indi non s’ebbe dalla vittoria altro frutto166. Ma la virtù di Peregrino da Patti e di Guglielmo Palotta, che ricorda per la somiglianza del caso, illustri esempi antichi e recenti, degnissima è della nostra memoria. Speciale la registrò nelle istorie siciliane; poi l’hanno obbliato i più, perchè tutto quaggiù, anche la gloria, vien da fortuna. E maggior mancamento mi sembra che nel toccar questi fatti, pochi scrittori e vagamente, s’innalzavano alla considerazione politica, che travagliandosi in guerra i due reami di Sicilia e di Puglia, il primo vinse per lo più il secondo, ch’è tanto maggiore di territorio: e nella state del novantasei, non che difendersi, conquistava tutto il paese dalla punta di Reggio al capo di Roseto167; infestava Terra d’Otranto; e più addentro portava le armi, se non ch’entrovvi di mezzo l’interesse degli altri potentati d’Europa.

      Perchè papa Bonifazio, vedendo torcer Federigo dalle sue vie, più si ristrinse con Giacomo, per lanciarlo contro il fratello. E prima a ventuno gennaio del novantasei, col titol sonante di gonfaloniere, ammiraglio e capitan generale della santa sede, condusse il re di Aragona ai suoi soldi; da combattere in Terrasanta, e quest’era il pretesto, o altrove, e quest’era l’effetto, contro qualunque nimici e ribelli della Chiesa, con sessanta galee, armate da lui, pagate dal papa; e n’avesse Giacomo la metà della preda, l’investitura di Corsica e di Sardegna, del rimanente gli acquisti fossero della Chiesa o degli antichi signori cristiani168. Poco appresso il sollecitò Bonifazio a venir, com’avea promesso, a Roma169. E punto al vivo da Federigo, che tentava in questo tempo gli animi dei Napolitani, praticava con usciti lombardi e toscani, e fin co’ romani Colonnesi già disposti a ribellione contro il papa, più gravemente scaricò i colpi spirituali il dì dell’Ascensione; cassò l’atto del coronamento del re di Sicilia; scomunicato lui, co’ popoli e loro amistà; dato termine a pentirsi il dì di san Pietro, nel quale rinnovò le maledizioni170. Intanto spandea le indulgenze a chiunque portasse armi contro Sicilia; aiutava Carlo con le decime ecclesiastiche del regno e di Provenza171. Talchè il re di Napoli, non ostante que’ rovesci, volendo ritentar la guerra, o farsen pretesto a cavar moneta da’ popoli, bandi general parlamento a Foggia, pel dì venti settembre; disse di nuova impresa sopra la Sicilia172, ingiungendo ai feudatari che venissero in armi o pagassero173. Giacomo s’apprestava anch’egli al combattere; ma, ritenuto da pudore, e dalla briga che davangli in casa le guerre di Murcia e Castiglia174, volle tentar prima nuovi ammonimenti a Federigo.

      Al cader della state, guerreggiando Federigo in Calabria, giunsegli messaggio del re di Aragona Pietro Corbelles, de’ frati predicatori, parlando blandizie di pace; e finiva con minacce, che Giacomo, fatto or capitano della santa sede, non starebbe in dubbio tra quella e il proprio suo sangue; nel petto della madre, nelle viscere de’ figli immergerebbe la spada a’ comandi del santo pontefice; aprisse pur gli occhi Federigo, a ciò il fratello il richiedea d’un abboccamento ad Ischia. Ma Federigo, nulla mosso, palesava l’ambasceria ai suoi baroni; e vistili balenare, con generose parole li confortò. Riferissi del negozio al general parlamento, secondo i freschi patti fondamentali; e perchè pensava che troverebbevi spiriti più generosi. Lasciato dunque luogotenente in Calabria con giuste forze, Blasco Alagona, ei tornato di fretta in Messina, dà giorno e luogo al parlamento; richiama Loria con l’armata175. Costui pe’ narrati sdegni, o perchè pareagli disperato il caso di Federigo, avea già in Terra d’Otranto ascoltato pratiche de’ nemici. Bartolomeo Machoses di Valenza, inviatogli da Giacomo in agosto, sotto colore d’ingiunger che risegnasse il feudo di Gerace in Calabria, l’avea indettato forse a tradigione: e anco si sospettò che se ne fossero allacciate le prime fila, fin dal tempo della esaltazione di Federigo, quando i baroni aragonesi leali a Giacomo si partiron di Sicilia. Altri messaggi in tutto questo tratto il re di Aragona avea spacciato alla madre, allo stesso Federigo, alle città di Palermo, Messina, e altre prime dell’isola176. Talchè l’ammiraglio, tornato immantinente a Messina, e abboccatosi col frate spagnuolo che stava ad aspettar la deliberazione, non fu senza speranza di avviluppare il vicin parlamento, che si calasse agli accordi. Convenuti in Piazza, di mezz’ottobre, i baroni e’ sindichi delle città, scopertamente diessi ad aggirarli, far partigiani, sparger terrori e promesse. Ma Vinciguerra Palizzi e Matteo di Termini, con più caldo s’adoprarono per lo contrario effetto; speser la notte innanzi l’adunata, girando qua e là a scongiurare che non si lasciasse partir Federigo. Indi forte si combattè in parlamento.

      Esposta l’ambasceria, si dava liberissimo voto a ciascuno; e pendeano i più alla ripulsa, per amor di Federigo o di sè stessi, temendo Giacomo noli seducesse, allorchè Loria col pianto sugli occhi, quasi per pietà del paese, s’alzava ad orare: «Non ingannassero sè medesimi; sarebbero irresistibili le congiunte forze di Giacomo e di Carlo; ripiglierebbero le Calabrie in un batter d’occhio; porterebbero


<p>165</p>

Nic. Spedale, lib. 3, cap. 9, 10, 11.

<p>166</p>

Nic. Speciale, lib. 3, cap. 15 e 16.

<p>167</p>

Anon. chron. sic., cap. 55.

<p>168</p>

Raynald, Ann. ecc., 1297, §§. 19 a 24, porta questa bolla dell’anno precedente.

Gio. Villani, lib. 8, cap. 18.

<p>169</p>

Raynald, 1296, §. 11, breve del 5 febbraio.

<p>170</p>

Bolla, In Lünig, Cod. Ital. dipl. Nap. e Sicilia, num. 65; e presso Raynald, 1296, §§. 13, 14, 15.

Le pratiche di Federigo coi Colonnesi, sono rinfacciate da Bonifazio nel manifesto contro questa famiglia, in Raynald, 1297, §§. 27 e 28.

<p>171</p>

Raynald, 1296, §§. 13 e 15.

<p>172</p>

Diploma del 28 agosto 1296, nell’Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. II, pag. 171.

<p>173</p>

Ibid., pag. 172, 177, diplomi di sett., 1296, e febb., 1297.

<p>174</p>

Surita, Ann. d’Aragona, lib. 5, cap. 20, 21.

<p>175</p>

Nic. Speciale, lib. 3, cap. 12, 13, 14.

<p>176</p>

Nic. Speciale, lib. 3, cap. 17.

Surita, Ann. d’Aragona, lib. 5, cap. 21, 23.