«Corpo di tutti i campanili di Batz!» esclamò Testa di Pietra, il quale insieme con Piccolo Flocco e quattro artiglieri serviva il suo pezzo favorito di prora. «Che cosa dici tu, monello, di tutto questo affare?»
«Io dico che con tante palle andrebbero giù anche tutti i campanili della Bretagna.» rispose il giovane marinaio, il quale fumava tranquillamente un grosso sigaro virginiano.
«Quelli del Pouliguen forse; non quelli di Batz, che sono di pietra durissima, più della tua testa.»
«Che il diavolo ti porti!»
«Guardati, Piccolo Flocco; grandina.»
«Odo la grandine cadere, ma disgraziatamente non la vedo, se non quando è già sulla tolda della corvetta. Tu invece, Bretone di Batz, vedrai benissimo anche per aria le bombe che ci lanciano gl’Inglesi.»
«Questo poi no!» disse Testa di Pietra. « Non sono compare Trombone io… Il trombone l’ha sonato mio nonno quando montava le navi corsare di Giovanni Bart. Ah, che bei tempi eran quelli, ragazzo mio!»
«Testa di Pietra, tu chiacchieri, e intanto la grandine continua. Ti confesso che mi seccherebbe assai assai avere una gamba spezzata.»
«Mai si colpiscono i Bretoni alle gambe: sempre alla testa.»
«E le bombe vi si spaccano come se fossero… bolle di sapone.»
«Già.»
«Ma io non vorrei farne l’esperimento.»
Testa di Pietra, che teneva la miccia in mano, in attesa che i suoi aiutanti avessero terminato di ricaricare il suo pezzo favorito, lo guardò un po’ di traverso, poi rispose sorridendo:
«E nemmeno io. Ma ora ho da spaccare delle teste d’Inglesi.»
Come abbiamo detto, la battaglia si era impegnata con grande slancio da ambe le parti. L’ammiraglio inglese Pete-Parker e lord Campell incoraggiavano gli equipaggi, credendosi sicuri di demolire ben presto il forte, che sapevano guardato da pochi soldati d’ordinanza e da alcune compagnie di milizie racimolate in fretta, ridurre al silenzio i trentasei grossi pezzi e smontare i ventisei di piccolo calibro.
La notte, assai oscura, era illuminata da lampi vivissimi, ed un frastuono orrendo si propagava attraverso la baia, giungendo fino a Boston e a Charlestown. Granate grossissime e palle infocate solcavano l’aria in gran numero, lasciando dietro strisce di fuoco.
Gl’Inglesi lottavano rabbiosamente, decisi a togliere quell’ostacolo; ma con non meno valore si difendevano gli uomini del Colonnello Moultrie. I loro pezzi di grosso calibro toreavano imberciando meravigliosamente le navi nemiche, mentre le leggiere artiglierie spazzavano i ponti con una grandine non interrotta di mitraglia, straziando molta gente.
Le navi che inquietavano soprattutto il valoroso colonnello ed il Corsaro erano l’Altione, la Sfinge e la Sirena, le quali, avendo gettate le loro ancore verso l’estrema punta di ponente dell’Isola Sullivan, potevano facilmente impedire la ritirata della guarnigione, nel caso d’un disastro, e l’arrivo di nuovi soccorsi d’uomini e di munizioni. Perciò contro di quelle si accaniva maggiormente la corvetta di sir William, la quale, riparata dentro una minuscola cala, ben poco poteva soffrire.
«Sgangheriamole!» gridava Testa di Pietra fra una cannonata e l’altra. «Lasceremo qui le loro alberature, e così la Tuonante sarà vendicata.»
La fortuna non proteggeva quella notte gli abilissimi marinai inglesi, impegnatisi forse troppo imprudentemente fra i bassifondi dei canali.
Già un gran numero di bombe e di palle infocate si erano scambiate, quando la Sfinge, l’Altione e la Sirena, che costituivano il maggior pericolo per il forte, guidate da piloti poco pratici, diedero dentro in un renaio chiamato Middle-Grounds, sbandandosi talmente sui fianchi, da rendere quasi inservibili le batterie di babordo e di tribordo. E allora i difensori del forte, i quali cominciavano a dubitare di poter resistere al terribile bombardamento, anche perché il generale Lee aveva consigliato Moultrie di far saltare tutto e di rifugiarsi in Boston, assistettero ad uno spettacolo terrificante.
Il Corsaro, accortosi subito della cattiva situazione in cui si trovavano le tre navi inglesi, si era messo a tirare con una furia infernale. La Tuonante avvampava come un vulcano e toreava nella notte buia, seminando la morte sulle tolde delle navi avversarie. Testa di Pietra mitragliava più gente che poteva, avendo abbandonata l’idea di far cadere le alberature nemiche.
«Dentro, Piccolo Flocco!» gridava. «Sono in nostra mano ormai quei cani ringhiosi. Fà portare dell’altra mitraglia! Vedrai come spazzerò i ponti di quelle navi.»
E le artiglierie grosse e piccole rombavano con un crescendo spaventevole. Tirava il forte, imberciando le navi che aveva dinanzi; toreava la corvetta più che fosse un vascello d’alto bordo.
Quantunque oppressi da una vera tempesta di ferro, di ghisa e di piombo, che faceva volare braccia, teste e gambe, gli equipaggi inglesi non avevano perduta la loro famosa calma e, guidati da ufficiali abilissimi quanto valorosi, si erano subito accinti a rimettere a galla le tre navi, prima che venissero completamente sfasciate. Lavorando agli argani, gettando ancorotti a prora e a poppa, tracciando e contrabbracciando le vele, si sforzavano di sottrarsi il più presto a quella pioggia di fuoco, che aveva già ormai orrendamente insanguinati i ponti.
Il Bristol soprattutto, essendosi rotte le stacche dei cavi, era rimasto esposto ai tiri del forte e della corvetta per parecchie ore, senza poter quasi rispondere, tanto era critica la sua posizione. Le sue murate fracassate cadevano a larghi pezzi nelle acque del canale; i suoi pennoni, fracassati dalla mitraglia dei pezzi da caccia della Tuonante, piombavano in coperta aumentando la strage. Il capitano Morris, che lo guidava, teneva ostinatamente duro, tentando di condurre ancora in salvo la sua nave, quantunque quasi tutti i marinai gli fossero caduti intorno morti o gravemente feriti. Il sangue arrossava la tolda, e seguendo il pendio della coperta, sfuggiva dagli ombrinali, tingendo le acque.
«Date dentro!» non cessava di gridare sir William.
E la sua voce non andava perduta, poiché se il forte cominciava a rallentare per mancanza di munizioni, la Tuonante, ben fornita per le lunghe crociere, non cessava di seminare palle, bombe e mitraglia.
Alle sette del mattino sul Bristol non rimanevano che pochi uomini, e la nave cominciava a fare acqua, quantunque fosse adagiata su un largo banco sabbioso. Una mezz’ora più tardi, il capitano Mortis, che aveva giurato di non calare la bandiera, quantunque ormai tutto fosse perduto per lui, già ferito da scaglie di mitraglia, cadeva sul banco di quarto con una gamba fracassata da una palla di cannone. Portato nella sua cabina, pochi minuti dopo spirava, mentre la sua nave, ormai quasi deserta, andava ad insabbiarsi, per poi rompersi sulle rive dell’Isola Lunga. Né miglior sorte avevano le altre navi cacciatesi dentro il canale: la Sfinge, l’Altione e la Sirena. Battute furiosamente attraverso i banchi fra i quali si dibattevano con immensa difficoltà, perdevano uomini in gran numero ad ogni scarica delle batterie della corvetta.
Lord Campell, già governatore della Carolina, era stato ferito così gravemente, che qualche mese dopo intraprendeva il gran viaggio; anche l’ammiraglio Pete-Parker era stato colpito da una scaglia di mitraglia e aveva dovuto abbandonare il comando della Sfinge. Nemmeno le altre navi, che combattevano sulla fronte del forte, ottenevano buon successo, malgrado l’enorme spreco di munizioni. Tuttavia le due squadre, quantunque ridotte in cattive condizioni, tennero testa ai difensori del forte fino alla sera, colla speranza che