«Non valeva la pena di lasciar la Scozia per raccoglier tanti dolori! Ah, Mary!… Ed è mio fratello che ti rapisce a me!… Ma già io sono il bastardo!…»
«I vostri ordini, signore,» ripetè il secondo di bordo.
Il Corsaro parve scuotersi. Si passò due o tre volte una mano sulla fronte madida di freddo sudore, poi chiese:
«Non abbiamo alberi di ricambio; è vero, signor Howard?»
«No, sir William.»
«Vi sono dei pennoni di maestra?»
«Sì, due o tre.»
«Ponetene uno al posto dell’albero e lasciate che il vento ci porti…»
«Dove?»
«Torniamo a Boston: solo in quel porto potremo sanare la nostra grave ferita,» rispose il Corsaro con un sospiro.
«Non tutta la flotta inglese è uscita, sir,» osservò il secondo. «Howe ha lasciato un buon numero di navi.»
«Succeda quel che Dio vuole, andiamo a Boston,» rispose il Baronetto. «Se le navi inglesi ci affonderanno, tanto meglio: tutto sarà finito una buona volta, caro Howard.»
Poi guardando Testa di Pietra che gli stava dinnanzi insieme coll’inseparabile Piccolo Flocco, gli chiese:
«E tu, che cosa dici, vecchio mio?»
«Io dico, per tutti i campanili della Bretagna! che le cose nostre non vanno troppo bene, comandante. Spezzarci un’ala! Che artiglieri ha dunque a bordo quella maledetta fregata? Eppure non sono mai stati forti gl’Inglesi coi grossi pezzi da caccia.»
«E credi che potremo rientrare in Boston?»
«E perché no, comandante? Le navi che lord Howe ha lasciate nella baia cercheranno, certo, di darci addosso, ma per tutti i campanili della Bretagna! siamo ancora in duecento, sempre pronti a montare all’abbordaggio! I nostri pezzi sono intatti, e le nostre sciabole e le nostre scuri bene affilate. Morremo forse, ma berremo sangue inglese.»
«E se anche entriamo in Boston, che cosa faremo noi?»
«Per tutti i campanili della Bretagna! Cantieri non ne mancano laggiù, ora che gli Americani si preparano ad armare una squadra. Rimetteremo a posto il nostro albero e faremo nell’Atlantico settentrionale una crociera che non cesserà finché non avremo ritrovato quel caro Marchese… se fosse qui, per tutti i campanili della mia Bretagna! gli mangerei il cuore!… Far soffrire in questo modo un fratello!… È una cosa da far morire di rabbia, comandante.»
«Taci, Testa di Pietra,» disse il Corsaro, dopo un altro lungo sospiro. «Io son nato sotto una cattiva stella.»
«Anche mio nonno diceva sempre così; eppure morì a novant’anni, padrone di battelli da pesca, che svegliavano l’invidia di tutti i pescatori della Manica… Non mi fate scoppiare il cuore, comandante. Sapete bene che io darei sempre la vita per voi.»
«Ma io sono tranquillo…»
«No, mio comandante. Permettete che il vostro vecchio mastro vi faccia osservare che due lagrime vi scendono in questo momento lungo le gote.»
Il Baronetto si alzò di scatto, osservò il mare, poi scese nel quadro, mentre Testa di Pietra diceva scotendo la testa:
«Son cose da vedersi ai nostri giorni? Una fanciulla che fa piangere il più valoroso corsaro che io abbia mai conosciuto! Via, vipere dalla pelle smagliante e dagli occhi seducenti! Me non mi avete preso e non mi prenderete mai.»
«Sfido io!…» disse una voce dietro di lui.
Il mastro si voltò colla mano alzata, ma vedendosi dinanzi Piccolo Flocco, che aveva adottato come figlio, tutta la sua collera sbollì d’un tratto.
«Che cos’hai da dire tu, eterno monello?» chiese.
«Che papà Testa di Pietra alla sua età, con quei denti gialli come un topo vecchio e quella barba bianca, che punge peggio d’un porco spino, non troverebbe una moglie.»
Testa di Pietra incrociò le braccia sul suo larghissimo petto, e assumendo una posa quasi tragica, così parlò:
«Sappi, monello, che alla tua età io facevo girare la testa a tutte le ragazze non solo di Batz, ma anche di Roskoff. Ne ho contate ventiquattro… Ma ho preferito l’odore del catrame e i colpi di mare, e le ho lasciate tutte… Ed ora lasciami anche tu tranquillo, Piccolo Flocco. Siamo feriti, e l’ospedale è un po’ lontano, ed anche pericoloso l’andarvi.»
Scese dal cassero e raggiunse il signor Howard, il quale, aiutato da una cinquantina di marinai, cercava di rimettere in corsa la corvetta. Una grossa baleniera era stata calata in mare, e quindici uomini avevano data la caccia al troncone mozzato dalle palle della fregata, per recuperare cavi e vele che potevano servire alla corvetta. E intanto gli altri, sotto la direzione di Howard e di Testa di Pietra, dopo lunghi sforzi erano riusciti, non senza ricorrere agli argani, a strappare dalla scassa l’estremità inferiore della maestra e piantarvi dentro, con gran numero di grossi cunei, un pennone di gabbia, il migliore della riserva.
Non poteva servire molto alla corvetta, tuttavia con una buona vela di parrocchetto e molte sartie e molti paterazzi, e coll’aiuto del trinchetto, che portava pure la sua brava randa, e del bompresso e del timone in ottimo stato, la cosa poteva ancora andare. D’altronde, Boston non era lontana.
Vi era il pericolo di dare dentro alla flottiglia che lord Howe aveva lasciata nella baia, affinché avvertisse le navi provenienti dai mari d’oltre oceano che ormai la città era caduta, e vi era più probabilità di prenderle che di darle.
L’armamento della Tuonante era completo; il suo equipaggio, degno d’una grossa fregata, pronto a qualunque cimento, quindi poteva affrontare gli ultimi avanzi della squadra inglese, ormai invecchiata fra quelle acque che divorano presto le carene, e che distruggono con le febbri gli uomini più vigorosi.
Cominciavano a scendere le tenebre quando la Tuonante riprese finalmente la sua corsa verso il sud. Solamente i cantieri di Boston potevano rimetterla in gambe e in grado d’intraprendere quella famosa crociera nell’Atlantico settentrionale, come aveva detto Testa di Pietra, alla caccia del marchese d’Halifax e di Mary di Wentwort.
Frescava dal settentrione, ma senza guastare la calma delle acque. Sir William era salito in coperta per dirigere la rotta. Egli appariva molto abbattuto; ciò nondimeno i suoi comandi uscivano limpidi dal portavoce. E la corvetta, quantunque mutilata, si era rimessa al vento e poggiava su Boston.
2. Il forte Moultrie
La luna era sorta sull’Oceano, dapprima rossa come un disco di metallo incandescente, poi purissima, versando i suoi pallidi raggi azzurrini. Fluttuavano le meduse e le nottiluche dentro le acque, sprigionando qua e là miriadi di scintille strane. Le une andavano alla deriva dolcemente, contorcendo le lunghe zampe da polipo; le altre sorgevano dalle profondità del mare come stelle, per spegnersi al primo colpo delle onde.
La corvetta, spinta da un buon vento, scendeva verso il sud abbastanza rapidamente, quantunque mutilata, e nessun pericolo per il momento la minacciava, poiché la squadra di lord Howe, vigorosamente incalzata in coda dai brigantini dei corsari delle Bermude, quantunque formidabile, aveva preferito appoggiare verso la costa americana per rifugiarsi in qualche porto amico.
Il pericolo vero stava in Boston dove gl’Inglesi, come abbiamo detto, avevano lasciato buon numero di navi, per avvertire le veliere provenienti dall’Europa della caduta della città ed evitare loro di cadere dentro una trappola irta di cannoni; ché se la guarnigione se n’era andata, gli Americani, temendo sempre un colpo di mano, avevano occupati i canali e le isole ed avevano soprattutto formidabilmente armato il forte Moultrie con trentasei grossi pezzi, per impedire alle navi inglesi di entrare nella baia.
Già avevano saputo dai loro corsari, i quali vigilavano l’Atlantico, che una squadra, comandata dall’ammiraglio Peter-Parker e dal conte di Corwallis, aveva lasciato i porti dell’Irlanda con un grosso contingente di montanari scozzesi,