“Ma che diavolo?” borbottò con voce strozzata. Il suo cervello elaborò all’impazzata l’informazione delle ferite quasi guarite sul collo dell’uomo, la sensazione di familiarità lo travolse. Piccoli puntini neri apparvero davanti ai suoi occhi. Gesù, doveva essere completamente impazzito.
“Chi sei tu?” riuscì a dire, sentendosi leggero e fuori fuoco, i suoi occhi fissi su quelle sbiadite ferite familiari. Non può essere, non può essere…
“Sono Mika,” rispose l’uomo, la sua profonda voce rombante riempì la mente di Gabe con uno strano ronzio mentre cercava di combattere l’oscurità che lo stava travolgendo.
Merda! Mika si gettò verso la soglia per cercare di impedire che Gabe si rompesse la testa, riuscendo a malapena ad afferrarlo prima che colpisse il pavimento. Non era andata proprio come aveva pianificato, era decisamente chiaro. Non che avesse l’idea romantica che il suo compagno lo avrebbe guardato per poi gettargli le braccia al collo e giurargli amore eterno in modo che potessero copulare come conigli. No, quella era solo una fantasia, ma veramente non si era aspettato quello.
Mika aveva pensato alle varie possibilità, solo per scoprire che non ne aveva nessuna. Senza abiti, denaro o mezzi di trasporto—tutto quello che aveva posseduto era ancora nella terra del suo ex branco—Mika semplicemente non aveva saputo che altro fare. Era sgattaiolato dentro la camera di Gabe mentre dormiva e aveva preso in prestito alcuni vestiti. Aveva desiderato così tanto toccare Gabe mentre era disteso. Era stupendo, tutto muscoli lunghi e tesi e pelle tirata. Non si era permesso di guardarlo troppo a lungo, timoroso che avrebbe ceduto al bisogno di toccarlo. Stupidamente, come sembrava ben chiaro ora, aveva deciso che un approccio diretto era l’unica scelta che aveva.
“Forse avrei dovuto pensare a un altro modo.” Certamente avrebbe potuto pensare a qualcosa di diverso…solo che non voleva lasciare quel posto, quell’uomo a lungo abbastanza per formulare un piano alternativo. E ora era troppo tardi; lo aveva già spaventato a morte.
Lo portò in camera e si sedette sul letto, la schiena appoggiata alla testiera, cullandolo nel suo grembo. Stava così bene, disteso e stretto contro il suo petto. Mika vide i suoi occhi aprirsi, lo sentì irrigidirsi e cominciare a spingerlo via. Levò velocemente le sue braccia, sentendo una stretta al cuore quando il suo compagno si allontanò velocemente da lui per restare tremante dall’altra parte del letto. I loro sguardi si incontrarono e dovette lottare con se stesso per non avvicinarsi a lui e alleviare la paura che vedeva riflessa in quei sospettosi occhi verdi.
Non sapeva cosa fare per calmare il nervosismo dell’uomo. Cercare di mettersi nei panni di Gabe si stava rivelando difficile con il desiderio che pulsava in tutto il suo corpo. Doveva trovare un modo per far capire la situazione al suo compagno, senza però terrorizzarlo. Le sue mani stavano tremando per il timore di rovinare tutto. Incontrando lo sguardo di Gabe, fece un profondo respiro e aspettò.
“Fammi vedere la tua schiena,” ordinò Gabe, le braccia incrociate mentre aspettava che lui eseguisse i suoi comandi.
Mika lo fissò, desiderando che accettasse la realtà di quello che stava per vedere. Si sporse in avanti dalla testiera, si levò la maglietta presa a prestito e poi si piegò fino a quando la pancia quasi gli toccò le cosce, osservando sempre il suo compagno. Vide la bocca dell’uomo aprirsi fino a formare una ‘o’ molto carina, sentì uno stupito ‘oh merda’ mentre Gabe sollevava una mano per seguire dolcemente il punto dove un proiettile si era fatto largo tra la pelle e i tessuti. Il calore di quella dolce carezza gli fece sfuggire un gemito prima che riuscisse a fermarlo. Invece di allontanarlo come aveva temuto, Gabe lasciò che il suo palmo riposasse sopra la ferita, accarezzando la pelle corrugata alcune volte con la punta delle dita.
La logica lottò contro il desiderio. Il suo uccello era così duro da fargli veramente male. Poteva sentire l’umidità fuoriuscire dalla punta, il calore del fluido quasi bruciare la pelle dove arrivava mentre il suo pene pulsava a ogni battito. Sforzandosi di allontanare i pensieri delle reazioni del suo corpo verso il suo compagno, rimase perfettamente immobile, aspettando di vedere quale sarebbe stata la mossa successiva di Gabe. Quando non fu più in grado di reggere il silenzio, si allungò per afferrare il braccio di Gabe, tenendogli il polso prima di sedersi di nuovo contro la testiera.
“Per favore, Gabriel. Siediti con me. Prometto di fare del mio meglio per spiegarti.”
Gabe si liberò il polso ed esitò per un momento così lungo che Mika temette che avrebbe dovuto pregarlo. Chiudendo gli occhi per il dolore del suo uccello pulsante, sapeva che giunto a quel punto lo avrebbe supplicato. Avrebbe fatto qualunque cosa per tenere il suo compagno vicino a lui. Diavolo. Per tenerlo. Punto. Questa attrazione tra compagni era molto più forte di quanto avrebbe mai pensato potesse essere—e molto più spaventosa a causa della sua intensità.
Aprendo gli occhi, Mika si rese conto che Gabe stava fissando l’asta rigida che stava tendendo i suoi vestiti, provocandogli un malessere non da poco. Gemette quando il suo uccello rispose all’ispezione di quei bei occhi verdi.
“Gabe, non puoi guardarmi in questo modo e aspettarti che io mi possa concentrare sul parlare,” borbottò. Gabe rialzò il suo sguardo verso quello di Mika e divenne di un rosso brillante. Dio, il suo compagno era stupendo, seduto lì con le labbra leggermente aperte, l’imbarazzo che lo travolgeva. Il pomo di Adamo di Gabe andò su e giù un paio di volte prima che fosse in grado di parlare.
“È solo che …ecco, quell’uccello è così…distraente,” borbottò Gabe, lanciando un’altra occhiata veloce verso la parte del corpo di cui stavano parlando.
Mika cercò di trattenere una risatina. Quindi il suo uccello lo distraeva? Beh, era sicuramente bello sapere che non era il solo travolto dalla lussuria. Gli dava speranza che Gabriel fosse attirato da lui quanto lui lo era verso il suo compagno. Avrebbe cercato di spiegargli quanto più poteva, ma se non ci fosse riuscito, forse il desiderio che scorreva vorticoso tra lui e Gabe gli avrebbe dato un modo per legare l’uomo a sÈ. Le parole prima dell’azione, però, almeno in quel caso.
“Gabriel—”
“Cosa sei?” Quegli occhi acuti lo fissarono, bloccandolo sul posto e fermandogli il respiro. Nonostante sapesse che doveva rispondere a quella domanda, esitò. Sarebbe stato meglio dire a Gabe il più possibile, chiaro, ma quanto? Quanto poteva dire al suo compagno prima che Gabe sbroccasse di nuovo o prima che gli domandasse di andarsene? Dopo tutto se il suo stesso branco non lo voleva, perchÈ avrebbe dovuto volerlo il suo compagno? La paura avvolse e gli bruciò lo stomaco mentre combatteva per trovare una risposta che non allontanasse Gabe.
“Sei certo di voler sapere la risposta?” PerchÈ sapeva bene che, una volta dette, le parole non potevano essere ritirate. Guardò il suo compagno tremare, sentì la sua paura e la confusione espandersi sulla sua pelle. Mika non riuscì a fermare il modo di orgoglio che provò quando Gabe abbassò le spalle, si sedette diritto e lo guardò come se fosse preparato per qualsiasi risposta potesse arrivare.
“Devo sapere la risposta.” Lo sguardo di Gabe lo esaminò, esitando solo brevemente sul rigonfiamento del suo inguine, poi tornò verso il suo viso. “Tu c’eri, in qualche modo, nei miei sogni…” Allungò la mano verso la sua guancia, fermandosi all’ultimo secondo e lasciando ricadere la mano sul letto.
Come poteva sentire la perdita di un tocco che non era avvenuto? Allungò la mano verso quella di Gabe, le punte delle sue dita indugiarono sulla sua pelle calda prima di stringerla.