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Appare subito chiaro che la «riforma» ha per Francesco un’impronta missionaria. «La riforma è la conversone missionaria –personale, comunitaria, strutturale– di tutto il popolo di Dio», ha scritto C. M. Galli, richiamando sia l’espressione Chiesa in uscita missionaria di Evangelii gaudium 17, sia la convinzione di Bergoglio che questa riforma evangelica e missionaria della Chiesa «implica processi lunghi», comprende l’attivazione del sensus fidei di tutti i credenti e ad ogni livello, e si realizza attraverso «processi sinodali animati dall’utopia del regno di Dio inaugurato dalla Pasqua». «Francesco –conclude Galli– promuove una riforma evangelica ed evangelizzatrice dalle periferie delle povertà» 7.
Nel linguaggio di Francesco ricorre pure, benché in contesti diversi, l’espressione Ecclesia semper reformanda. Così il 9 novembre 2013, festa della Dedicazione della basilica Lateranense, nell’omelia in Santa Marta quando, commentando il vangelo della purificazione del Tempio (cf. Gv 2,13-22), disse che da esso dobbiamo trarre «l’icona della riforma della Chiesa: Ecclesia semper reformanda, la Chiesa ha sempre bisogno di rinnovarsi perché i suoi membri sono peccatori e hanno bisogno di conversione». La prima eco, dunque, che la parola «riforma» suscita nell’animo di Francesco è una riforma della propria vita.
Il tema della reformatio Ecclesiae Francesco lo riprese in modo informale (con riferimenti espliciti e impliciti alla riforma della Curia romana) nelle risposte alle domande dei giornalisti durante il viaggio di rientro dalla Terra Santa il 26 maggio 2014: «Ci saranno incongruenze, ancora ci saranno sempre –disse–, perché siamo umani, e la riforma deve essere continua. I Padri della Chiesa dicevano: Ecclesia semper reformanda. Dobbiamo stare attenti per riformare ogni giorno la Chiesa, perché siamo peccatori, siamo deboli e ci saranno i problemi» 8.
In un contesto più ufficiale, Francesco tornò a parlare di Ecclesia semper reformanda in occasione del V Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze il 10 novembre 2015 a Firenze:
La riforma della Chiesa poi –e la Chiesa è semper reformanda– è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività. | La reforma de la Iglesia –y la Iglesia es semper reformanda– es ajena al pelagianismo. Ella no se agota en el enésimo proyecto para cambiar las estructuras. Significa, en cambio, injertarse y radicarse en Cristo, dejándose conducir por el Espíritu. Entonces todo será posible con ingenio y creatividad. |
«Riforma», dunque, è ben più di un qualunque mutamento strutturale, ma ciò che è necessario perché nel fluire del tempo e nel cambiamento delle situazioni la Chiesa conservi la sua «sacramentalità», ossia la sua trasparenza nei riguardi di Dio che la fa esistere e in essa dimora 9.
Un altro luogo in cui sulle labbra di Francesco si ritrova l’espressione Ecclesia semper reformanda è il discorso natalizio alla Curia romana del 21 dicembre 2015, quando disse:
La riforma andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza, perché Ecclesia semper reformanda. | La reforma seguirá adelante con determinación, lucidez y resolución, porque Ecclesia semper reformanda. |
Quest’ultima, breve affermazione è importante anche per comprendere anche gli altri interventi negli analoghi discorsi natalizi. Sbaglierebbe chi pensasse che i rilievi e le questioni ivi emerse riguardassero esclusivamente la Curia romana. Aveva ragione V. M. Fernández quando, rispondendo alla domanda di un giornalista, disse con simpatica ironia: «Non credo che dovremmo concentrarci tanto sulla riforma della Curia romana. Non è un tema che toglie il sonno alle persone, come si usa dire […] la riforma della Chiesa va infinitamente più in là […] perché il suo fine è quello di farla tornare ad essere, in tutto il mondo, un migliore strumento di trasmissione del bene, di diffusione della luce del Vangelo, di creazione di una civiltà dell’amore, di comunicazione dell’amore di Dio che salva, guarisce, unisce, nobilita. Per portare a termine questa missione, è necessario che la Chiesa si trasformi in uno spazio di viva partecipazione dove tutti siano soggetti attivi grazie alla ricchezza dei propri carismi. Credo che la vera riforma debba andare in questa direzione» 10.
Su questa medesima strada l’ecclesiologo italiano S. Dianich auspica che si muova pure l’ordinamento canonico. Anch’egli rimanda alla teologia dei carismi (per la quale attinge in particolare dalla lezione di san Tommaso), nella convinzione che il carisma va fatto emergere nella vita del fedele dall’interno della sua particolare esperienza e dalle sue particolari competenze, perché il carisma non è un superadditum, ma è la sorgente di ogni qualità del cristiano 11.
Quando, dunque, Francesco parla della «riforma della Curia romana», egli non lo fa mai a prescindere dalla reformatio Ecclesiae. È ad essa, anzi, che guarda principalmente e questo mi pare importante al fine di, per usare una sua espressione, «recorrer parcelas pero avizorando pampas, mirar fragmentos pero contemplando formas» («percorrere cortili scorgendo praterie, guardare frammenti, ma contemplare forme») 12. In tal senso, allora, potrà rileggersi il discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2014, quando la paragonò al corpo umano e perciò, come ogni realtà umana esposto anch’esso «alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità». Si ricorderà che in quella circostanza il Papa elencò alcune probabili malattie curiali, e pure che nel successivo 2015, dopo avere rilevato che quelle malattie posso colpire «ogni cristiano, ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia e movimento ecclesiale», aggiunse un «catalogo delle virtù necessarie per chi presta servizio in Curia e per tutti coloro che vogliono rendere feconda la loro consacrazione o il loro servizio alla Chiesa». Si ricorderà pure che al termine dell’analogo discorso del 2016 donò ai presenti una traduzione in lingua italiana delle Industriae ad curandos animae morbos (Accorgimenti per curare le malattie dell’anima), opera scritta dal P. Claudio Acquaviva, S.J. (1543-1615), quinto preposito generale della Compagnia di Gesù, e destinata ai superiori della medesima Compagnia di Gesù. Ora è ben noto che la prospettiva «terapeutica» scelta da Francesco per trattare della riforma curiale ha un buon fondamento non soltanto nell’antica tradizione dei padri del deserto e nelle regole monastiche, ma pure nell’ecclesiologia patristica, ad esempio di san Giovanni Crisostomo e di san Basilio 13.
Un rimando alla reformatio Ecclesiae si può rintracciare anche in ciò che disse il 22 dicembre 2016 alla Curia romana: «Non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!». Le «rughe», infatti, possono essere il risultato di una età avanzata, laboriosa e feconda. L’affermazione potrebbe sembrare estemporanea, benché in linea col linguaggio di Francesco che spesso ricorre alle immagini; non è difficile, però, riconoscervi anche qui una radice patristica: Soltanto la conversione può restituire giovinezza alla Chiesa togliendo le sue rughe e rendendola di nuovo bella 14.
Alla luce di questi richiami (il cui elenco potrebbe allungarsi) si potrà convenire sul fatto che Francesco, quando parla di reformatio pensa certo ad una riforma delle strutture ecclesiastiche: in primo luogo, però, guarda ad una riforma