Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro. Giovanni Pascoli. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Giovanni Pascoli
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066070403
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       LA FONTE PRIMA

       I.

       II.

       III.

       LA MIRABILE VISIONE

       I. LA DONNA GENTILE E LUCIA

       II. VIRGILIO

       III. MATELDA

       IV. CATONE

       V. BEATRICE BEATA

       VI. LA MIRABILE VISIONE

       INDICE-SOMMARIO

      Seconda edizione

      BOLOGNA

       NICOLA ZANICHELLI

       MCMXII

      L'Editore adempiuti i doveri

       eserciterà i diritti sanciti dalle leggi

      Bologna — Tip. A. Cacciari — VI — '912.

      MESSINA

       ACCOLGA NELL'ANNIVERSARIO CCCL DELLA SUA UNIVERSITÀ

       DA UN LETTORE DI QUELLA

       L'OMAGGIO DI QUESTO LIBRO

       CHE SOLLEVA ALQUANTO IL VELAME DEL POEMA SACRO

       NELL'ANNO DALLA MIRABILE VISIONE SECENTESIMO

       Indice

      Questo volume sarà seguito, se la vita e la forza mi basteranno, da due altri libri: La mirabile visione, che svolgerà l'ultimo capitolo di questo; La poesia del mistero Dantesco, che tenterà di dichiarare le bellezze del poema, quali adulterate, quali celate dalla non esatta interpretazione che se ne suol dare. Sono in vero alcuni che sdegnano e schifano queste indagini del pensiero di Dante. Dicono: Lasciateci sognare! ammirare! godere! Dicono: Non c'impedite la vista del monumento solenne con le vostre catapecchie! Dicono: Non ci guastate con le vostre cantafere quel murmure infinito di musica morta e inafferrabile! Dicono: Non sollecitate la tenebra sacra con la vostra lucernina! Or io a costoro, col terzo volume, vorrò mostrare che il pensiero di Dante è meglio conoscerlo e contemplarlo qual'è, e che la sua parola echeggia da ben più profondo mistero di quel che essi credano, e che la lucernina può rivelare, in queste catacombe, qualche meandro nuovo, qualche nuovo abisso, qualche improvviso simulacro, qualche scritta ignorata. Non perde nulla Dante, a essere capito. Chè poi non è gran modestia un tale orrore allo studio diligente del Poeta. È come credere che il nostro pensiero e la nostra imaginazione siano più alti e più grandi di quelli di Dante. E potrebbe anche essere. Io dimostrerò, con quel libro, che non è. E spero che già da ora ognuno s'accorga che gli sfuggiva gran parte del bello, poichè gli era nascosta gran parte del vero. Valga per esempio il passaggio dell'Acheronte. A costoro che preferiscono sè a Dante, sembrano avvicinarsi altri, che hanno la consuetudine degli studi serii ed esatti; eppur, no, quando si tratta di Dante, cominciano a dire che non si deve ricorrere ai teologi, e non si deve sottilizzar troppo, e non si deve dar retta a Dante stesso, che vuole che il lettore aguzzi gli occhi e cerchi la sentenza nascosta e denudi le parole dalla lor vesta di figura. E a questi altri dirò che tornino a loro scienza; non altro: chè in vero il fatto loro non è un bel fatto. E prenderò in pace i loro disdegni e le loro accuse di “troppa sottiglianza„, e le loro ingiurie di sofisticheria e peggio; pago che l'ombra di Dante mi dica: Vien dietro a me, e lascia dir le genti!

       Possono invece altri più ragionevolmente appuntarmi di non aver seguìta in tutto e per tutto la buona via, non vedendo in questo volume qui, come non videro nella “Minerva oscura„, col mio, riferito il lavoro altrui. A questo più ragionevole appunto risponderò col secondo volume, che dissi. La mirabile visione conterrà, con le conclusioni del presente volume spogliate della loro ridondanza d'argomenti, anche una diligente notazione delle altrui sentenze, concordanti o discordanti. E il lettore può sin d'ora da sè vedere quanto io mi accordi con alcuni interpreti di Dante; e penserà ancora che questi coi quali mi accordo io, non sono quelli coi quali più consentono gli altri. Ebbene, sono certo che la loro sorte muterà, e spero che di tal mutamento qualche merito si attribuirà a me. Come mai? È un po' difficile a dirsi. Ecco: a me pare che codesti valentuomini abbiano adoperato al contrario di me. Essi hanno avuto di mira il complesso delle dottrine filosofiche del Poeta, e appena hanno scorta la somiglianza di esse con quelle di altri filosofi, l'hanno annunziata, e sono poi discesi, quando sono discesi, a interpretare, con quella guida, i singoli luoghi del Poema. Io, no; non così; mi pare. Io ho cercato d'interpretare via via i luoghi del Poema, e da questa interpretazione mi provo di risalire alla conoscenza del sistema filosofico del Poeta. La Comedia ha per argomento l'abbandono della vita attiva per la vita contemplativa. Sta bene. Altri aveva detto questo avanti me: tutti, sto per dire. Ma tutti avevano diritto di restare in dubbio, finchè non si fosse provato che, la selva essendo il manco di prudenza, e le tre fiere essendo i vizi contrari a temperanza, fortezza e giustizia, il corto andare consisteva dunque nell'operare con queste quattro virtù: il che è “l'uso pratico dell'animo„. E potrei moltiplicare gli esempi; ma lascerò fare al lettore, che è candido. Ora a lui voglio soggiungere che le sentenze di tali nobili interpreti, quali il Bennassuti, il Perez, il Lubin, tanti altri, io riferirò, non per coscienza ch'io abbia di debito a loro, ma per conferma di ciò che essi pensarono prima di me, e di ciò che io pensai senza dipender da loro. E così mi sembra di far a quelli più degno onore. E così spero di dare alle loro dottrine quella virtù persuasiva che per ora non hanno. Ciò dunque nel volume che seguirà questo: volume in cui sarà l'indice minuto che in questo, per la sua già soverchia mole, non ha luogo.

       E questo? Questo si ricongiunge alla “Minerva Oscura„.[1] La “Minerva Oscura„ si può dire che consista, quant'ell'è, nel riconoscere che i sette peccati, quanti sono enumerati da Virgilio come discendenti da incontinenza, malizia e bestialità, sono i sette peccati mortali e capitali. Non è gran che; e questa non grande cosa si ottenne con una ben menoma osservazione: che, essendovi due passioni dell'anima, la libidine e l'ira, il concupiscibile e l'irascibile, il Poeta dopo gl'incontinenti di libidine o di concupiscibile, aveva indicati, con le parole “color cui vinse l'ira„, gli incontinenti d'ira o d'irascibile. Oh! la cosa piccina! Ma questa cosa piccina era una pietra sporgente nell'impiantito d'una grande casa. Per molte generazioni quelli che abitavano o convenivano in quella casa, vi urtavano col piede. Nessuno fu che una volta presto o tardi, non inciampasse in quella piccola cosa. Finalmente uno, che non era un grand'uomo, si trovò nella grande casa, e dopo aver picchiato nella pietra, la guardò, e... fece quello che nessuno, dal primo abitatore all'ultimo, da sei secoli su per giù, aveva pensato a fare: tolse la pietra. La pietra era quella paroletta “ira„. Questo libro toglie, credo ogni questione e ogni dubbio, non dico mediante le mie argomentazioni, ma con la scoperta di quella che è la principal fonte del Poema. Dalla quale si ricava come il numero settenario nell'inferno e nel purgatorio sia richiesto dalla essenza stessa dell'argomento. L'argomento del poema in vero è l'abbandono della vita attiva per la contemplativa. La vita attiva è raffigurata in Lia, la contemplativa di Rachele. Alla contemplativa si giunge dopo l'esercizio delle virtù, diretto a mondar l'anima da ogni macchia. Ebbene questo esercizio è