Il disco del sole era già intieramente fuori delle acque, allorquando il signor almirante del mare Oceano diede il comando di gettare le áncore e di mettere in mare i palischermi. Il doppio lavoro fu compiuto alla svelta, da una marinaresca giubilante. Nella barca, come più capace, Cristoforo Colombo volle compagni i primari ufficiali della spedizione, Diego di Arana, grande alguazil, o capo di giustizia, Pietro Gutierrez, gentiluomo di camera, anzi cantiniere del re, diventato ragionier generale della squadra, Rodrigo Sanchez, ispettore d'armamento e revisore dei conti, Rodrigo d'Escovedo, regio notaio, Bernardino di Tapia, istoriografo, e Luigi de Torres, ebreo convertito ed interpetre per le lingue [pg!63] orientali, che si supponevano parlate laggiù. Seguivano i piloti, o luogotenenti di bordo, Pedro Alonzo Nino, Bartolomeo Roldan, Sancio Ruiz, Giovanni di Cosa. Il quinto, Perez Matteo Hernea, restava di guardia a bordo. Il ringhioso uomo non aveva creduto alla terra; lo puniva la sorte, non lasciandogli toccare fra i primi la terra.
Nel bargio, che era il palischermo minore, l'almirante fece discendere i tre scudieri, addetti alla sua persona: Diego Mendez, il fedelissimo, Francisco Ximenes Roldan, il futuro ingrato, e Diego di Salcedo. Con essi, tra i marinai, diede posto a Cosma e a Damiano; segno di particolare cortesia per i suoi due genovesi. E non vorrete mica imputarlo di parzialità, per aver egli pensato in quella occasione ai suoi concittadini. Erano stati due marinai esemplari per tutto il viaggio; l'obbedienza, la prontezza al lavoro, meritavano un premio. Egli, del resto, quantunque li sospettasse di condizione superiore a quella che dalla loro scelta appariva, non mostrava di distinguerli dagli altri marinai, poichè li chiamava appunto tra i rematori.
Ed egli, nella barca, ritto sulla poppa, dirigendo la voga, torreggiava su tutti i suoi ufficiali. Stringeva nel pugno l'asta dello stendardo; lo stendardo della capitana, quello che portava il gran crocifisso in campo bianco; mentre gli altri comandanti, Martino Alonzo Pinzon, della Pinta, e Vincenzo Yanez, della Nina, discesi anch'essi nei loro palischermi, impugnavano gli stendardi delle loro navi; di bianco, alla gran croce di verde, accostata dalle iniziali del re Ferdinando e della regina Isabella, sormontate dalla corona reale.
I sei palischermi mossero a voga arrancata verso la riva, andando primo fra tutti quello che portava l'almirante. Questi e i compagni suoi erano presi [pg!64] d'ammirazione alla vista delle ampie foreste che vestivano le basse colline dell'isola, e dei frutti di specie sconosciute, che pendevano dagli alberi, fin sopra alle sponde. Il cielo era puro, le acque trasparenti come cristallo, l'aria tiepida e fragrante di profumi silvestri; tutto ciò che vedevano, tutto ciò che sentivano, era un incantesimo lieto.
In prossimità del lido i vogatori presero a sciare coi remi, facendo girar destramente sul proprio asse la barca, affinchè presentasse la poppa alla spiaggia. Cristoforo Colombo fu il primo a balzar sulla rena, e i suoi ufficiali lo seguirono, ma a rispettosa distanza, reverenti e commossi, vedendo com'egli, toccato a mala pena il lido, cadesse ginocchioni, baciando tre volte la terra. In questo atto di omaggio a Dio lo imitarono tutti; ma forse nessuno versò le calde lagrime che un vivo sentimento di profonda gratitudine gli strappava dagli occhi.
Alzatosi poscia da quella adorazione, Cristoforo Colombo sguainò la spada, dispiegò lo stendardo reale, e chiamati al suo fianco i comandanti della Pinta e della Nina, mentre facevano ala tutti gli altri ufficiali, recitò la preghiera latina che egli stesso aveva composta in viaggio, per quella circostanza:
—Signore Iddio eterno ed onnipotente, che col sacro tuo verbo creasti il cielo, la terra ed il mare; sia benedetto e glorificato il tuo nome, sia lodata la tua maestà, che si è degnata di fare, per opera di questo umile servo, che il tuo sacro nome sia conosciuto e predicato in quest'altra parte del mondo1.
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—Amen!—risposero divotamente gli astanti.
Finita la preghiera, l'almirante piantò lo stendardo, levò la spada, e battendone la punta sul terreno, prese solenne possesso dell'isola in nome del re e della regina di Castiglia, imponendole il nome di San Salvatore.
Rodrigo di Escovedo, regio notaio, mise mano alla carta e stese l'atto, che Cristoforo Colombo firmò, e dopo di lui gli altri ufficiali. In quella occasione egli assumeva, firmando, i titoli di almirante, vicerè e governatore. E gli ufficiali, innanzi di firmare a lor volta, gli giurarono tutti obbedienza.
Le cerimonie erano finalmente adempiute. Ufficiali e marinai potevano abbandonarsi alla gioia di quelle ore stupende, indimenticabili, che seguivano a tanti giorni, a tante settimane di stenti e di terrori. A tutti gli equipaggi fu data licenza di scendere a terra; armati, per altro, e con ordine di non allontanarsi dalla spiaggia, dove potevano preparare il loro pasto quotidiano.
L'arrivo di quei marinai a terra fu la scena più graziosa, nel suo gaio disordine, che si potesse immaginare. Barcollavano tutti, come ubbriachi, un po' perchè disusati da tanto tempo al saldo terreno, un po' perchè la commozione era forte, e si reggevano male. Nell'eccesso della loro allegrezza, preferivano saltare. Giunti alla presenza dell'almirante, che ritto a' piè di un albero li stava contemplando, gli si strinsero attorno, quale baciandogli le mani, quale abbracciandogli le ginocchia, e tutti gridando [pg!66] i più sperticati evviva al grand'uomo, al protettore, al dio della gente di mare. Ed erano gli uomini che una settimana prima volevano disfarsi di lui, buttandolo a mare!
E frattanto, le creature umane poco vestite, anzi punto vestite, a cui aveva accennato Cosma, dov'erano? Sulla riva, affollate, al primo apparir delle navi, di quei mostri ignoti, che fendevano coi negri corpi le onde marine, spiegando in aria lunghissime ali di cigno. Ma ben presto avevano veduto ripiegarsi quelle ali, i mostri fermarsi a mezzo il loro cammino, cavandosi dal seno due mostricini per ciascheduno, e quei mostricini affrettarsi alla spiaggia. Tanto era bastato perchè quelle povere creature umane si allontanassero in fretta dalla spiaggia, andando a nascondersi nelle vicine boscaglie. Da principio non avevano ardito neanche di ricogliere il fiato, tanta era la furia del correre in salvo; poi, dalla vetta di un palmizio su cui qualcheduno dei più audaci si era arrampicato, giungeva l'annunzio che i piccoli mostri toccavano terra, balzandone fuori uomini stranamente fatti, coperti di vivi colori, e taluni di essi con la persona vestita di squamma lucente alla guisa dei pesci. Quegli uomini strani si erano fermati, non mostravano intenzione d'inseguire i poveri abitanti dell'isola. I piccoli mostri si erano allontanati dalla riva, per ritornarsene là, d'onde erano venuti, presso i mostri maggiori; e ai più savi uomini della tribù non era stato troppo difficile argomentare che si trattasse di piroghe, ma più grandi e più capaci delle loro, tanto sottili e così poco sicure, scavate com'erano grossamente nei tronchi degli alberi.
Che cosa facevano quegli esseri maravigliosi, rimasti soli sul lido? che riti compievano, agitando quelle aste, da cui pendevano quei pezzi di tela? [pg!67] Perchè si buttavano alle ginocchia di uno tra loro, notevole per la statura elevata e per quello splendore di rosso scarlatto? Perchè alzavano le mani al cielo? Invocavano in quella maniera i loro spiriti tutelari? Ma quell'uomo alto, dai lunghi capelli d'oro, non era egli stesso uno spirito buono, disceso per essi, o con essi, dal cielo?
La curiosità aveva vinto il timore. I più giovani ed animosi incominciarono a farsi avanti tra gli alberi, venendo fino al limite estremo del bosco. Gli esseri strani avevano l'aria di non avvedersi neanche della loro presenza; se pure accadeva che volgessero gli occhi da quella parte, non si trattenevano mai a guardare, e tranquilli attendevano ai loro discorsi. Taluni, anzi, andando attorno per la spiaggia, raccoglievano stipa e rami secchi, che portavano a certi focolari improvvisati, per accendervi il fuoco e preparare il pasto all'aperto. Non avevano dunque cattive intenzioni; erano esseri buoni, discesi a quella spiaggia per riposarsi, non per nuocere ai tranquilli abitanti dell'isola. E allora i selvaggi osservatori prendevano animo, si facevano sempre più avanti; qualcuno di essi era già uscito dalla macchia, e, mettendo piccole grida, cercava di destar l'attenzione dei nuovi venuti. I quali, finalmente, incominciavano a voltarsi, a guardare, e, senza muoversi dal posto che s'erano scelto sulla